Calvino e calvinismo mediterraneo

Dizionario di eretici, dissidenti e inquisitori nel mondo mediterraneo
Edizioni CLORI | Firenze | ISBN 978-8894241600 | DOI 10.5281/zenodo.1309444


Giovanni Calvino (Jean Calvin, Noyon, 10 luglio 1509 - Ginevra, 27 maggio 1564) è stato un teologo e riformatore. Il corpo delle sue dottrine è noto come calvinismo, il quale ha rappresentato un importantissimo filone della Riforma protestante, la cui diffusione fu particolarmente potente in Francia, scatenando la reazione cattolica che condusse alle guerre di religione, e non trascurabile nell'insieme del mondo mediterraneo.

Cenni biografici su Giovanni Calvino

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Figlio di un notaio, studiò a Parigi, a Orléans e a Bourges (qui fu allievo di Andrea Alciati).
Negli anni trenta a Parigi frequentò gli ambienti evangelici e fu costretto a fuggire dopo l'esplosione dell'affaire des placards (1535). Riparò allora a Basilea, dove nel 1536 pubblicò una prima versione della sua Institutio. In questo periodo viaggiò molto e fu anche brevemente, tra il marzo e l'aprile 1536, a Ferrara alla corte di Renata di Francia. Nel 1536 fu reclutato da Guillaume Farel a Ginevra, che si era appena ribellata al dominio sabaudo, per collaborare con lui all'introduzione della Riforma nella città. A questo primo soggiorno ginevrino risalgono gli Articuli de regimine Ecclesiae (1536) e il Catéchisme (1537). Espulso col Farel nel 1538 da Ginevra a causa delle forti opposizioni cittadine al suo programma "teocratico", riparò a Strasburgo, dove nel 1539 pubblicò una seconda edizione, assai ampliata, dell'Institutio. Nel 1541 poté tornare a Ginevra ed imporre la "sua" Riforma, della vita civile e religiosa e civile, attuata tramite la ferrea applicazione delle sue Ordonnances ecclésiastiques. Il nuovo organismo "misto" (composto da anziani laici, dottori, pastori, diaconi) da lui introdotto per attuare la Riforma, il Concistoro, assunse progressivamente la direzione della vita politica e religiosa ginevrina.
In questi anni Calvino fu molto contrastato dalla fazione dei "libertini" guidata dal sindaco Ami Perrin e dalla sua famiglia. La condanna a morte di Serveto nel 1553 fu una importante prova del suo trionfo. La forte emigrazione religionis causa verso Ginevra, soprattutto di francesi, rafforzò la posizione di Calvino che negli anni cinquanta aveva ormai un controllo incontestabile sul governo della città. Calvino si consacrò quindi una forte opera di propaganda, soprattutto verso la Francia, e nel 1559 istituì l'Accademia di Ginevra, dove si formavano i pastori (molti dei quali destinati a propagandare il calvinismo in Francia e altrove).
Morì il 27 maggio 1564.

La dottrina calviniana

In questi paragrafi si tratterà brevemente la teologia di Giovanni Calvino, così come da lui esposta nella sua opera maggiore, l’Institutio christianae religionis. Per differenziare la sua dottrina dagli sviluppi teologici successivi, attestatisi nei primi decenni del Seicento, si adotterà in questa esposizione l’aggettivo “calviniano” piuttosto che “calvinista”, accezione quest’ultima più idonea ad indicare tutto il dibattito teologico e le attestazioni dottrinarie che dalla morte di Calvino hanno segnato i movimenti riformati.

Calvino scolastico

All’età di 19 anni (1528), Calvino ha già conseguito il baccellierato in arti, si sposta ad Orléans, dove la facoltà di diritto era molto quotata, per acquisire un bagaglio giuridico che gli servirà per tutta la vita. Scrive Theodore de Bèze : «[Calvin] progressa tellement en peu de temps qu’on ne le tenait pas pour étudiant mais pour l’un des enseignants réguliers. En réalité, il enseignait plus souvent qu’il n’apprenait. On lui offrit un poste de professeur mais il refusa»1.
Calvino proseguì gli studi giuridici a Bourges, dai quali si dovette allontanare per la morte del padre (1531). Fu in quell’occasione che decise di restare a Parigi e seguire i corsi presso il prestigioso College de France, dove apprese il greco e l’ebraico. La sua preparazione accademica, che si completa a ventiquattro anni con il dottorato in diritto, non previde lo studio della teologia. La sua prima opera, nella quale non si ravvisa alcun riferimento all’evangelismo di matrice luterana o del teologo piccardo Lefèvre d’Etalpes2, il commento al De clementia di Seneca, verrà pubblicato nel 1532. Calvino venne influenzato, secondo le fonti di Theodore de Bèze, dal cugino e da due amicizie di rilievo. Se Olivetain Calvin aveva messo tra le mani del futuro riformatore una Bibbia in traduzione francese, stampata a Neuchâtel, con la quale – scrive il Bèze - «il commençait a se distraire des superstitions papales», gli amici Melchior Wolmar (luterano) e Nicolas Cop (rettore dell’Università di Parigi) non fecero altro che rafforzare il legame di Calvino con le dottrine riformate.

Le opere fondamentali: l’Institutio e Les Ordonnances

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L’Institutio christianae religionis (1536)

Dopo il discorso de la Toussaint del 1533, che l’opinione comune lesse come una dichiarazione di solidarietà di Cop al pensiero di Lutero, comincia la produzione teologica di Calvino: costretto a lasciare il regno di Francia dopo l’“affaire des placards”, Calvino trova il suo rifugio a Basilea, che diventa la prima tappa della sistematizzazione dottrinaria del suo pensiero: nel 1536 viene pubblicata l’Insitututio christianae religionis, ispirata al modello letterario del catechismo già utilizzata da Lutero nel Der Kleine Katechismus (1929). La prima edizione, latina, era tutt’altro che «seulement un petit livret contenant sommairement les principales matières» – come scriverà Calvino nel 1558 – bensì si trattava di otto capitoli in 519 pagine. La prima edizione fu presto tradotta in tutte le lingue, ma quella in francese, curata dallo stesso Calvino e pubblicata a Strasburgo nel 1541, fu una vera e propria seconda edizione, ampliata dall’autore. Ciò che contraddistingueva questa seconda edizione, che formerà la base per le successive, era la resa del lessico specifico, che secondo l’autorevole parere di Daniel-Rops «[est celle] que les artisans, les femmes de ménage, les colporteurs et les paysans pouvaient comprendre. Les formules frappées, riches de sens, abondent, amenées habilement. Sobre, discret, ce style plaçait à la portée du peuple – et là était bien le danger pour le catholicisme – une pensé personnelle, d’une logique persuasive»3.
L’Institutio Christiane Religionis, poi Institution de la religion chrétienne (d’ora in poi ICR), ebbe una rapida diffusione nell’Europa riformata (apprezzata particolarmente da Guillaume Farel, che cooptò Calvino nel progetto di riforma della Chiesa di Ginevra, dapprima come semplice predicatore e poi come pastore), con una storia editoriale che accompagnò l’autore fino alla morte: dopo le prime due versioni latine, (Basilea, 1536; Strasburgo, 1539), dalla quale fu tratta la traduzione francese (Strasburgo, 1541), seguì una terza edizione latina (Strasburgo, 1543), raggiunse i ventun capitoli e conobbe una traduzione francese (Ginevra, 1545). Dopo aver cercato di dare una struttura più organica alla materia nella quarta edizione (Ginevra, 1550), Calvino pubblicò l'edizione definitiva nel 1559 e la traduzione francese nel 1560, in quattro libri di ottanta capitoli complessivi4: 1) la conoscenza di Dio; 2) la conoscenza di Cristo; 3) lo Spirito Santo; 4) la Chiesa. I quattro libri hanno una struttura che potrebbe essere sintetizzata come fenomenologia della salvezza, e che ricorda il libro delle Sentenze di Pietro Lombardo, testo fondamentale per la formazione teologica accademica, che senz’altro avrà influito sulla strutturazione del pensiero sistematico di Calvino: il Magister Sententiarum infatti, nella sua opera, aveva ripartito la scienza cristiana nella speculazione sulla trinità e l’unità di Dio a salvaguardia della fede universale (liber primus); la salvezza della creazione attraverso la grazia che procede da Cristo (liber secundus); il mistero dell’incarnazione, della redenzione, le virtù e i comandamenti sotto il sigillo dello Spirito Santo (liber tertius); i Sacramenti e i novissimi, come segni e luoghi di cui si fa custode la Chiesa, erede della missione di Cristo (liber quartus).
Se anche la struttura dell’Institutio calviniana segue, a rigore, un'andamento discendente (Dio – Cristo – Spirito Santo – Chiesa), è la lettura che se ne può fare che parte dalla realtà che più di tutte è stata influenzata dall’azione di riforma della società civile e dell’organizzazione ecclesiastica: la Chiesa. Malgrado l’esistenza di due Chiese – afferma Calvino – una invisibile degli eletti e una visibile, in cui convivevano i “santi” e gli “ipocriti” (con riferimento al passo evangelico Sinite [granum et zizania] simul crescere usque ad messem, Mt 13: 30), non vi può essere salvezza fuori da essa, perché istituita da Cristo. La Chiesa, nella dottrina riformata, è l’assemblea dei credenti, nella quale si rende manifesta l’azione di Dio attraverso i sacramenti (il quarto libro). Tuttavia è la Chiesa nel suo insieme che attribuisce il vero significato ai segni sacri visibili (i sacramenti del battesimo e della cena, ovvero segni del lavacro dai peccati e del riscatto dalla morte), ed è rettamente costituita soltanto con l’ausilio dello Spirito Santo (materia del terzo libro). Lo Spirito discende da Cristo (il secondo libro) che è l’immagine visibile di Dio (il primo libro).

Les Ordonnances ecclésiastiques (1540)

Non dovette essere semplice per Calvino lasciare Strasburgo, nel 1540, per tornare a Ginevra. Il sodalizio con Bucero e l’apprezzamento di Melantone sembrarono frapporsi alla richiesta della popolazione della città svizzera di tornare, ma come ricorda Theodore de Bèze, «[sur] l’exemple de Jonas»5, accettò di servire il Regno di Dio piuttosto che seguire i suoi sentimenti. Calvino fece di Ginevra il laboratorio per la realizzazione della sua dottrina: la storiografia ha più volte utilizzato il termine di “teocrazia” (chi addirittura si è spinto a definire l’esperienza ginevrina come “dittatura teocratica”6) per indicare l’istituzione di un concistoro permanente, formato da pastori e da membri delle corporazioni cittadine. Ma come si vedrà, non si tratta soltanto di una posizione riduttiva, ma secondo l’interpretazione di Turchetti7, vi si possono ravvisare concetti ispiratori delle moderne democrazie. Questa “costituente”, voluta da Calvino, avrebbe presieduto all’emanazione delle Ordonnances ecclésiastiques, a completamento degli Articles ecclésiastiques cominciati nel 1537.
L’attenzione di Calvino, nella redazione delle Ordonnances, era rivolta soprattutto alla realizzazione di una “societas perfecta”, che nel suo principio fondamentale non differiva da quanto verrà difeso, sul piano politico-teologico, dal gesuita Roberto Bellarmino8: la superiorità morale dell’istituzione ecclesiastica (cattolica) rispetto alle istituzioni degli stati nazionali ne consacra autorità e autonomia. Anche Ginevra dunque, nella sua realtà, avrebbe risposto al progetto pastorale che, nelle sue linee generali, era stato indicato dall’apostolo Paolo nella lettera a Tito9. Proprio per questa ragione si più comprendere che Ginevra non sia mai stata una teocrazia (intesa come sottomissione totale dello Stato alla Chiesa) e che Calvino stesso non sia mai stato favorevole ad essa. Piuttosto, doveva difendersi contro l'eccesso inverso, il controllo dello Stato sulla Chiesa. Distinse molto chiaramente il potere ecclesiastico e il potere della città, non secondo il principio di “separazione” (ante litteram!) ma di complementarietà.

La vita di fede secondo Calvino

Sola fide, sola gratia

La giustificazione per sola fede è, in Calvino, tanto importante quanto in Lutero, con la differenza – sottolineata dal gesuita Charles Boyer, che mentre per il riformatore di Wittenberg la giustificazione per fede è la conditio sine qua non della dottrina cristiana, e da essa derivano di conseguenza tutti i benefici per il credente, secondo Calvino la giustificazione per fede è “uno” degli aspetti più importanti che cooperano alla salvezza.
Il riferimento alla sola fide, nell’opera calviniana, si trova nel libro terzo dell’Institutio, al cap. 11 (ed. 1560): lo sviluppo dell’argomentazione teologica riformata, segue la lettura scrupolosa delle fonti scritturistiche, con particolare attenzione all’Epistola ai Romani dell’apostolo Paolo: «Puisque Dieu nous justifie par le moyen de Jésus-Christ, il ne nous absout point en tant que nous serions innocents: mais c’est en nous tenant gratuitement pour justes, nous réputant justes en Christ, bien que nous ne le soyons pas en nous-mêmes» (ICR, III, 11: 2). Sempre sulla base delle Scritture, Calvino si oppone così alla tradizione cattolica, che sosteneva la giustificazione del credente sulla base della fede e delle buone opere (ICR, III, 13). A sostegno della propria tesi, Calvino cita un passo dell’Epistola dell’apostolo Paolo ai Filippesi: «sed quae mihi fuerunt lucra haec arbitratus sum propter Christum detrimenta […] et inveniar in illo non habens meam iustitiam quae ex lege est sed illam quae ex fide est Christi quae ex Deo est iustitia in fide» (Fil 3: 7.9).
Per Calvino, come per Lutero, qualunque sia la necessità per il cristiano di compiere le “opere della legge” (o, per meglio dire, di soddisfare la legge), queste non possono essere “in sé stesse” un valore meritorio che contribuisca alla salvezza perché, tanto quanto la giustificazione, anche la santificazione è frutto della grazia divina: «la sainteté réelle de vie, comme on dit, n’est point séparée de cette imputation gratuite de justice: c’est-a-dire que cela s’accorde bien, que nous ne soyons pas sans bonnes œuvres, et toutefois que nous soyons réputés justes sans bonnes œuvres» (ICR, III, 3: 1). Il valore delle buone opere, così come viene interpretato alla luce della dottrina della grazia di Calvino, è funzionale all’obbedienza al comandamento di Dio (un tema molto caro al riformatore era le renoncement à soi-même, ICR, III, 8: 5). Il cristiano quindi è chiamato a dispensare ciò che Dio ha donato a ciascuno, perché nulla appartiene all’uomo: «itaque nemo glorietur in hominibus omnia enim vestra sunt, sive Paulus sive Apollo sive Cephas sive mundus sive vita sive mors sive praesentia sive futura omnia enim vestra sunt, vos autem Christi Christus autem Dei» (1Cor 3: 21-23).
Cosa rimane dunque della legge? Nel Catechismo di Ginevra (1542) Calvino spiega che il ruolo principale della legge, dopo l’evento di Cristo, non è più quello di rivelare all’uomo il peccato per condurlo a domandare la grazia (Rm 8: 1-3), ma è il quadro di riferimento di colui che crede ed è salvato per mezzo della grazia. La salvezza, per mezzo della grazia, non mette così l’uomo al riparo dal peccato: la dicotomia luterana del simul iustus ac peccator assume in Calvino un senso molto più dinamico, laddove giustificazione e santificazione costituiscono l’opera gratuita e progressiva di Dio “verso” e “dentro” il cuore del credente. Anche la conversione viene intesa come l’assunzione da parte dell’uomo della natura (doni e caratteristiche) di Cristo, attraverso l’azione dello Spirito Santo. Ecco dunque che la terza persona della Trinità ritrova il suo spazio nella dottrina calviniana, allorché la sua funzione, nell’economia dell’esperienza riformata, era stata minimizzata – da certa storiografia – unicamente a “luce” della sapienza scritturistica, privando il pensiero del riformatore di una componente mistica assai rilevante10.

Sola Scriptura

La dottrina calviniana sulla Sacra Scrittura è più elaborata rispetto a quella di Lutero. La rivelazione è cominciata con la creazione e ha raggiunto la sua pienezza in Cristo. Dio ha aperto la sua bocca e ha parlato ai profeti e agli apostoli: per la fragilità dell’uomo, quanto è stato detto da Dio (e non "dettato") è stato scritto perché nemmeno una parola venisse perduta. Le Scritture sono le parole che Dio stesso destína e continua a destinare al suo popolo, nella misura in cui il credente ritiene «pour arrêté et conclu qu’elles sont venues du ciel, comme s’ils entendaient là Dieu parler de sa propre bouche» (ICR, I, 7: 1).
L’autorità di quelle parole non ha dunque bisogno di essere comprovata dalla Chiesa, ma sono intrinsecamente sante: anzi, la Chiesa è creatura Verbi11 suscitata dalla parola di Dio (Yves Congar). La Sacra Scrittura, continua Calvino, «bien qu’elle porte avec soi sa crédibilité pour être reçue sans contredit et n’être soumise à preuves ou arguments, toutefois c’est par le témoignage de l’Esprit qu’elle obtient la certitude qu’elle mérite» (ICR, I, 7 : 5).
Ritenendo dunque tutta la Scrittura ispirata da Dio, nella pienezza della sua autorità («omnis scriptura divinitus inspirata et utilis ad docendum ad arguendum ad corrigendum ad erudiendum in iustitia ut perfectus sit homo Dei ad omne opus bonum instructus», 2 Tim 3: 16), Calvino esorta che la Bibbia sia letta e che diventi regula fidei di ogni credente, perché è Dio stesso a parlare al cuore dell’uomo attraverso di essa. Come per Lutero, anche per Calvino il canone delle Scritture si riduce a 66 libri, così come dichiarato nella Confessione di La Rochelle (1571)12. Calvino afferma che «l’inspiration de l’Ecriture ne fut pas réalisée aux dépens de la personnalité des auteurs humains», ribadendo così che lo stile, la forma dell’argomentazione e il vocabolario sono la cifra distintiva del redattore – o per meglio dire, dei redattori – del testo sacro. Se dunque l’ispirazione letterale è fatta salva dal riformatore, è l’interpretazione letterale ad essere ridimensionata; egli infatti, nel Commentaire de la Genèse, scrive chiaramente che «n’est ici [Gn 1: 6] traité de la forme visible du monde. Que celui qui voudra apprendre l’astronomie et autres arts excellents et cachés les chaches ailleurs, car l’Esprit de Dieu a voulu ici enseigner toutes sortes de gens ensemble sans exceptions»13.
La chiarezza espositiva e la sobrietà dei commenti di Calvino, quando si considera la Sacra Scrittura, è volta interamente a considerare i due Testamenti (la première et la deuxième Alliance) nella loro unità – con una sensibilità differente a quella di Lutero – in un’ottica cristocentrica: la pienezza della rivelazione.

La Chiesa e la società civile

Calvino, appartenendo alla seconda generazione della Riforma, era ben lontano dall’idea che si dovesse tentare di cambiare la Chiesa cattolica dal suo interno, né tantomeno che si dovessero raggruppare le conventicole che, a diverso titolo, avevano rotto con il papismo romano. Il suo primo pensiero è quello di distinguere le due Chiese, quella invisibile – «la communion des saints, un assemblée d’aimes saintes» (ICR, IV, 1: 2) – e quella visibile, «l’Eglise-communauté des croyants», resa tale dalla Parola di Dio. La Chiesa ha il compito di riconoscere “i suoi”, con giudizio di carità, pur sapendo che «il y a beaucoup de brebis hors de l’Eglise, et beacoup des loups dedans» (ICR, IV, 1: 8). La vita della Chiesa non è lasciata al caso, all’improvvisazione carismatica, ma anch’essa fondata sulla predicazione dell’apostolo Paolo. Questo è quanto emerge dalla redazione delle Ordonnances, volute da Calvino per la comunità di Ginevra.
Le Ordonnances riconoscono quattro ministeri della Chiesa. I pastori predicano la parola di Dio e somministrano i sacramenti. Tuttavia, non esercitano alcuna giurisdizione civile e devono prestare un giuramento con cui si impegnano ad assicurare che il popolo rispetti le autorità della città; i dottori insegnano la santa dottrina; gli anziani vigilano sui costumi dei fedeli. Sono laici scelti dai consigli della città; infine i diaconi, secondo antica tradizione, vigilano sui bisogni dei poveri e i malati. Le Ordonnances stabiliscono inoltre la creazione di due assemblee: la Compagnia dei Pastori (Compagnie des pasteurs) e il Concistoro.
La Compagnia, che si riunisce ogni settimana, assicura la coerenza dottrinale dei pastori ed esamina la nomina dei candidati al ministero. Il Concistoro invece riunisce anziani e pastori della Chiesa di Ginevra (i laici costituiscono la maggioranza dell'assemblea), che hanno il compito di eradicare le superstizioni del cattolicesimo e denunciare i comportamenti immorali dei fedeli. Non vi è una distinzione sostanziale tra “cittadini” e “fedeli”, poiché chi godeva della cittadinanza ginevrina, era, de facto, sottoposto all'autorità di entrambi gli organi di governo.
Il nodo cruciale nel rapporto tra il magistrato (l'autorità civile) e la Compagnia dei pastori era legato alla scomunica (il divieto di partecipare alla cena del Signore): si trattava di un atto religioso o di un atto civile? Riletto altrimenti, estromettere un membro dalla vita religiosa nella quale si riconosceva tutta la comunità, e in essa risiedeva la sua propria identità (popolo-Chiesa), quali implicazioni poteva avere nella gestione del potere? Calvino difese l'interpretazione della scomunica religiosa. Tuttavia i consigli della città desiderano mantenere la prerogativa, nel tentativo – fallito – di sottrarla alla Compagnia. Un secondo nodo di conflitto con l'autorità civile era la nomina dei pastori, nella quale intervenivano i magistrati, deponendo i ministri indegni, su indicazione della Compagnia.

I sacramenti della Chiesa

Calvino definisce il sacramento come “un segno esterno”, con il quale il Signore sigilla le coscienze, per sostenere la debolezza della fede umana (ICR, IV, 14: 1). Il riformatore cita la definizione di Agostino, che chiama il sacramento «signum […] gratiae Dei, et invisibilis gratiae forma, ut ipsius imaginem gerat et causa existat (De Civitate Dei, X, 55). Gli unici sacramenti che rispondevano alla promessa di Dio, circa la presenza viva dello Spirito Santo, secondo Calvino - in accordo con la Scrittura - erano il Battesimo e la Cena del Signore. Quindi la Chiesa poteva celebrare soltanto questi con la garanzia della benedizione di Dio.
È chiaro che i sacramenti non sono validi o effettivi al di fuori della Chiesa (o per meglio dire, dell’ecclesialità). I sacramenti non sono niente di per loro, ma sussistono solo in relazione alla vita della Chiesa. Calvino insiste sul fatto che i sacramenti devono essere celebrati con il "consenso" del verbo di Dio che è nella Scrittura: è importante quindi che il Testo Sacro sia proclamato in connessione con il sacramento.
I sacramenti, però, secondo Calvino, sono più che meri sigilli delle coscienze. Sono anche vere rappresentazioni visibili delle cose spirituali invisibili a cui la Scrittura dirige il credente. La Scrittura è in grado di vedere nella forma dell'azione e nell'utilizzo degli elementi le promesse proprie del Verbo presentate in modo chiaro e visibile. «La testimonianza del Vangelo è incisa sui sacramenti» (Rif. 2 Cor 5: 19). I sacramenti sono anche segni dell’accettazione da parte dell'uomo della grazia di Dio. Nell'atto stesso di accettare i segni della grazia di Dio data nel sacramento e di osservare i riti connessi con questi segni, l'uomo dà testimonianza che da parte sua vive quotidianamente la grazia che figura nei sacramenti e sarà seguace di Gesù Cristo.
Per quanto riguarda la Santa Cena (si veda in particolare il suo Petit traité de la Sainte Cène, 1541), Calvino nega che il corpo di Cristo sia presente negli elementi del pane e del vino, e ancor di più, polemizza con la celebrazione dell'eucaristia secondo la dottrina cattolica perché ritiene errato il presupposto sacrificale. Questa dottrina coinvolge l'idea che il corpo di Cristo possa esistere senza dimensioni definite e senza essere limitato a un luogo particolare, avendo in effetti la possibilità di trovarsi in diversi luoghi contemporaneamente. Per la carne di Cristo assumere tali proprietà significherebbe che essa sia veramente cessata di essere carne e mette in evidenza la follia di aspettarsi un tale miracolo assurdo.
Ecco perché anche il battesimo assume un ruolo non solo iniziatico, ma costituisce il principio dell'unione con Cristo, che perdura nella cena. Calvino dunque, contrariamente all'anabattismo, è a favore del “pedobattismo”: non si richiede che il fanciullo conosca Cristo e ne accetti l'evangelo in virtù di lungo studio, o dell'adesione ad una cosciente ad una confessione, ma che anzi, venga conosciuto da Cristo e si unica a lui partecipando della grazia redentrice.

Una questione controversa della dottrina calviniana: l’elezione divina (predestinazione)

Come premesso, si sono considerate, in questi paragrafi, le nozioni della teologia calviniana prima della sua sistematizzazione, avvenuta alla morte del riformatore. In particolare, le posizioni più moderate, tanto quanto quelle più estreme, si costituirono come derive teologiche complesse, basate proprio sulla dottrina della grazia in relazione alla predestinazione. Si cita, a titolo di esempio, la posizione degli arminiani (dal teologo olandese Jacobus Arminius, 1560-1609), che più di tutti hanno segnato l’evoluzione del calvinismo confessionale. Si è distanti anche dalle definizioni del Sinodo di Dordrecht (1618-1619), che segna la prima tappa del confronto teologico tra i riformati a distanza di una generazione da Calvino.
Si prova qui a riassumere uno dei capisaldi della dottrina calviniana, così come la si può ricavare dai primi scritti del riformatore, in particolare, dell’edizione del 1539 dell’Institutio, e nella querelle con Jérome Bolsec, del 1551-1552, culminata con la pubblicazione del De la prédestination éternelle de Dieu, un testo della stessa ampiezza del De servo arbitrio di Lutero.
L’elezione è, altrimenti detto, la predestinazione alla salvezza, l’azione con la quale Dio sceglie alcuni individui da salvare. Questi eletti godono della misericordia mentre altri subiscono una condanna. L’elezione incondizionata dipende dalla convinzione suprema nella sovranità di Dio: è la scelta di Dio di salvare gli uomini indipendentemente dai loro peccati o da qualsiasi altra condizione. Ciò significa che l’atto di Dio di salvare l’uomo non dipende da ciò che l'uomo può fare o scegliere di fare, ma al contrario, dimostra che l’uomo è amato da Dio incondizionatamente e indipendentemente dalle proprie azioni. L'azione di Dio per salvare gli eletti è basata esclusivamente sulla grazia (sine condicione e non sub condicione): il peccato inibisce a tal punto la volontà dell'individuo che nessuno ha il desiderio o è in grado di seguire Dio, se non con una rigenerazione iniziale dell'anima da parte di Dio, che gli dà la capacità di amarlo. Pertanto, la scelta di Dio su “chi” eleggere è e può essere solo basata sulla volontà indipendente e sovrana di Dio, e non sulle azioni degli uomini.

Il calvinismo mediterraneo

La questione di un calvinismo mediterraneo è stata posta per la prima volta da Giorgio Spini in un suo saggio pubblicato su “Rinascimento” nel 195114. Salvatore Caponetto la ripropose in modo importante nell’ambito della sua imponente sintesi sulla Riforma protestante in Italia (1992 e 1997), alcuni capitoli della quale confluirono nel 2006 in un volume dal titolo significativo: Il calvinismo nel Mediterraneo15.
Il calvinismo si diffuse nel mondo mediterraneo, seguendo le vie dei traffici, del commercio e della finanza. Un centro propulsore importante, in quanto centro di scambi economici, luogo di incontri tra mercanti e intellettuali, nonché “capitale” della stampa europea (insieme a Venezia), fu costituito dalla città di Lione, da dove transitarono molti protagonisti del dibattito religioso del XVI secolo.
Le opere di Calvino circolarono molto presto nel mondo mediterraneo, e in Italia in particolare. L’Institutio christianae religionis circolò nelle sue versioni latine del 1536 e del 1539 e nella sua versione francese del 1541. Un certo successo lo ebbe anche la traduzione italiana del 1557 del poeta e umanista messinese esule a Ginevra Giulio Cesare Pascale, così come ancor prima ebbe successo la traduzione italiana del Catechismo di Calvino, curata da Giulio Domenico Gallo (1545 e 1551). A Firenze nel 1548 il letterato piacentino Lodovico Domenichi pubblicò con il titolo di Nicodemiana la traduzione dell’Excuse à messieurs les Nicodemites, a testimonianza dell’interesse cui si guardava al riformatore d’oltralpe nell’ambiente culturale fiorentino.
L’Institutio era letta e discussa dai membri delle conventicole eterodosse attive a Grosseto e a Siena all’inizio degli anni quaranta del XVI secolo, le cui figure di spicco furono il medico Achille Benvoglienti, il notaio Fabio Cioni e il barbiere, nonché agente diplomatico, Basilio Guerrieri.
Decisamente sempre più in senso calvinista si orientò il dissenso religioso nella Repubblica di Lucca, il cui patriziato alimentò le fila degli esuli religionis causa a Ginevra.
Nella Repubblica di Genova del XVI secolo la Riforma protestante penetrò ampiamente, come testimonia l’ondata di repressione degli anni dal 1540 al 1543. I mercanti genovesi giocarono un ruolo di rilievo nella circolazione delle nuove idee religiose: significativo fu il caso di Giorgio Costa, mercante genovese condannato a morte dall’Inquisizione siciliana nel 1549 (anche se fu definito genericamente “luterano”, probabilmente era calvinista). Nell’ottobre 1567 le autorità genovesi arrestarono Bartolomeo Bartocci, mercante originario di Città di Castello, emigrato religionis causa a Ginevra, ma di passaggio nella Penisola per ragioni legate alle sue attività. Dopo molti indugi, Bartocci fu estradato a Roma, dove fu giustiziato il 25 maggio 1568. In quel frangente, la situazione genovese allarmò il Sant’Uffizio romano, tant’è che il cardinale Gian Battista Cicala lamentò l’indulgenza delle autorità della Repubblica nei confronti dei “calvinisti che hanno fatto la cena all’eretica”. All’arresto di Bartocci, seguì peraltro un’indagine inquisitoriale che individuò un gruppetto di calvinisti genovesi e che si concluse con condanne alle galere, all’abiura e all’abitello. All’inizio degli anni ottanta del XVI secolo il calvinismo era ancora diffuso nella Repubblica, come testimoniano alcuni processi eccellenti.
Il calvinismo era ampiamente diffuso anche nella Repubblica di Venezia. Clamoroso fu il caso del patrizio Andrea Da Ponte, che emigrò a Ginevra nel 1560. Particolarmente significativa risulta la vicenda di Marcantonio Varotta, tessitore veneziano, già negli anni quaranta membro del circolo eterodosso grossetano gravitante attorno ad Achille Benvoglienti. Varotta risiedette quindi a Lione e a Ginevra, dove frequentò Andrea Da Ponte e gli altri esponenti della comunità riformata italiana nella città di Calvino, rientrando poi in Italia per fare proseliti. Deluso, si rifugiò in Moravia, decidendo infine di rientrare in Italia perché frustrato dalle divisioni tra gli eretici radicali. Catturato a Vienna, fu trasferito a Udine e quindi a Venezia e infine a Roma, dove fu giustiziato il 6 dicembre 1568.
Anche molti dei protagonisti della diaspora valdesiana di Napoli approdarono al calvinismo: il caso più eclatante fu indubbiamente quello del marchese di Vico Galeazzo Caracciolo, che nel 1551 approdò a Ginevra.
Il calvinismo lasciò la sua impronta anche nella Sicilia del XVI secolo, dove era preponderante tra gli eterodossi degli anni sessanta (a Siracusa, a Messina, a Catania come a Palermo), anche grazie all’influenza dei viaggiatori stranieri che soggiornavano nell’isola per motivi di affari.
Le idee calviniane non mancarono di penetrare in Sardegna: i più rilevanti eterodossi dell’isola, Nicola e Giovanni Gallo, Sigismondo e Antonio Arquer, Francesco e Gervaso Vidini erano decisamente orientati al calvinismo ed emigrarono tutti a Ginevra, dove si integrarono e restarono fino alla morte, ad eccezione di Sigismondo Arquer, che finì i suoi giorni sul rogo a Toledo nel 1571.
In generale, nella Penisola italiana, il calvinismo fu duramente represso negli anni sessanta. Tra il 1567 e il 1569 fu colpita la comunità calvinista faentina che si raccoglieva intorno a Camillo Regnoli. Non a caso quel decennio si aprì con la dura repressione dei valdesi in Calabria e in Puglia. Valdesi che avevano organizzato le loro chiese sul modello calvinista e che da Ginevra ricevevano assistenza, missionari e predicatori. A fronte dunque del rapporto molto complicato di Calvino con gli "eretici italiani" intesi in senso cantimoriano, la sua teologia e il modello ginevrino attirarono moltissimi altri eterodossi italiani alla ricerca di un modello alternativo alla Chiesa romana verso cui far confluire la loro aspirazione a professare liberamente la propria fede religiosa.

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Nota bene

I capitoli "Cenni biografici su Giovanni Calvino" e "La dottrina calviniana" sono stati redatti da Daniele Santarelli; il capitolo "La dottrina calviniana" è stato redatto da Vincenzo Vozza.

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et tamen e summo, quasi fulmen, deicit ictos
invidia inter dum contemptim in Tartara taetra
invidia quoniam ceu fulmine summa vaporant
plerumque et quae sunt aliis magis edita cumque

[Lucretius, "De rerum natura", lib. V]

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