Dizionario di eretici, dissidenti e inquisitori nel mondo mediterraneo
Edizioni CLORI | Firenze | ISBN 978-8894241600 | DOI 10.5281/zenodo.1309444
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Juan de Vergara (Toledo, 4 settembre 1492 – Toledo, 20 febbraio 1557) è stato umanista, teologo e filologo spagnolo, figura di primo piano negli ambienti erasmiani iberici e protagonista di una vicenda processuale che lo rese uno degli intellettuali più sorvegliati e controversi del suo tempo. Marcelino Menéndez Pelayo lo definì il “padre della critica storica” in Spagna. Le sue origini conversas furono attenzionate dagli inquisitori e contribuirono a renderne sospetta la posizione.
Formazione e primi incarichi
Formatisi nell’Università di Alcalá de Henares, centro di eccellenza dell’umanesimo spagnolo, Vergara conseguì il dottorato in teologia distinguendosi per la conoscenza di greco, latino ed ebraico. Partecipò alla redazione della Bibbia poliglotta complutense, traducendo e revisionando testi biblici e aristotelici su incarico del cardinale Cisneros, del quale divenne segretario nel 1516. Alla morte di quest’ultimo mantenne l’incarico sotto l’arcivescovo Guillaume de Croÿ, legato alla corte imperiale, e nel 1520 accompagnò Carlo V nelle Fiandre. In quell’occasione conobbe Erasmo da Rotterdam, con cui intrecciò un rapporto epistolare di lunga durata, e strinse contatti con Juan Luis Vives. Nel 1521 fu presente alla dieta di Worms, dove assistette al confronto con Lutero, esperienza che lo segnò ma non lo spinse ad aderire alla Riforma. Da quel momento si impose come figura di riferimento del primo erasmismo spagnolo, difendendo più volte l’opera e il pensiero di Erasmo dai suoi detrattori.
Impegno erasmiano e prime controversie
Rientrato in Spagna nel 1522, Vergara si pose sotto la protezione dell’arcivescovo di Toledo Alonso de Fonseca, prelato di corte e convinto sostenitore dell’umanesimo, che gli garantì appoggio e prestigio. In quegli anni si consolidò la sua immagine di intellettuale erasmiano di riferimento: da un lato continuava a coltivare la corrispondenza con Erasmo, dall’altro si adoperava a difenderne il pensiero nell’arena spagnola, sempre più divisa fra entusiasmo e diffidenza verso l’umanista di Rotterdam. Non a caso raccomandò Juan Luis Vives per la cattedra di retorica ad Alcalá, riconoscendo in lui una delle figure più rappresentative della nuova cultura europea.
Il prestigio di Erasmo in Spagna raggiunse in quegli anni il culmine, ma non mancavano critiche e sospetti. Vergara assunse un ruolo attivo nel sostenere la legittimità dell’Enchiridion militis christiani, testo che era stato attaccato da ambienti monastici e che finì al centro della conferenza di Valladolid del 1527, convocata dall’inquisitore generale Manrique per verificarne l’ortodossia. In quella sede, Vergara difese l’opera con argomenti dottrinali e filologici, insistendo sulla consonanza dell’insegnamento erasmiano con la tradizione patristica.
Non meno significativa fu la sua presa di posizione nel caso del Diálogo de doctrina cristiana di Juan de Valdés (1529), opera sospettata di deviazioni dottrinali e sottoposta a esame dall’Inquisizione. Vergara intervenne presso i teologi di Alcalá affinché evitassero una condanna definitiva e optassero per una revisione del testo. La soluzione proposta – correzioni in vista di una nuova edizione – consentì di sottrarre l’opera alla messa all’indice, almeno in quella fase, e mostrò ancora una volta la capacità di Vergara di operare come mediatore tra istanze di rinnovamento e difesa dell’ortodossia.
Processo inquisitoriale
L’arresto della beata illuminata Francisca Hernández (1529) segnò l’inizio di una vasta operazione repressiva che colpì numerosi esponenti degli ambienti erasmiani e spiritualisti di Castiglia. Le sue deposizioni coinvolsero presto figure eminenti: tra esse anche Juan de Vergara, che nel 1530 si trovò trascinato in un procedimento inquisitoriale dagli sviluppi lunghi e complessi. Le accuse erano pesanti: possesso di libri luterani e di altri testi sospetti acquistati all’estero, simpatia per dottrine eterodosse, atteggiamenti di insofferenza verso la prassi tradizionale. Gli venivano contestate, in particolare, affermazioni polemiche contro il sistema delle indulgenze, contro la Sorbona (colpevole, a suo dire, di aver condannato Erasmo senza basi canoniche solide) e contro lo stesso Santo Uffizio, di cui denunciava l’eccessiva severità.
La posizione di Vergara si fece più precaria dopo la morte di alcuni suoi protettori, come il dottor Coronel, e con l’indebolimento dell’inquisitore generale Alonso Manrique, fautore di un orientamento “moderato” ormai in declino. Nel dicembre del 1530 subì perquisizioni nelle proprie stanze e la confisca di volumi compromettenti, tra cui commentari biblici di Oecolampadio, Lambert d’Avignone e Bugenhagen. Le dichiarazioni raccolte contro di lui durante i processi a esponenti come María de Cazalla e lo stesso Francisco Ortiz (fratello del celebre teologo Pedro Ortiz) contribuirono ad aggravare l’accusa.
Arrestato formalmente nel 1533, fu imputato come fautore e difensore di eretici, accusato di denigrare il tribunale inquisitoriale e di violare il segreto dell’istruttoria tramite scambi epistolari con altri sospetti, come Bernardino de Tovar. Dopo un’istruzione lunghissima, nel 1534-35 i qualificatori giudicarono le sue proposizioni eterodosse e prossime al luteranesimo, benché in termini meno radicali di quanto i suoi avversari avrebbero desiderato.
Il tribunale lo condannò all’abiura de vehementi, a un anno di reclusione monastica e al pagamento di una pesante ammenda di 1.500 ducati. La sentenza fu pubblicamente eseguita durante il solenne autodafé di Toledo del 21 dicembre 1535, davanti a un vasto pubblico che includeva esponenti del clero e della nobiltà locale. Trasferito al monastero agostiniano di Toledo, scontò la pena in condizioni relativamente miti, tanto che nel corso del 1536 gli fu concesso di rappresentare il duca di Calabria presso il tribunale di Valencia per un affare inquisitoriale.
Finalmente, il 27 febbraio 1537, dopo circa quattro anni complessivi di restrizioni, Vergara ottenne la liberazione definitiva e poté tornare a una vita di studio e di servizio ecclesiastico, pur segnato per sempre dal marchio del sospetto e dalla memoria del processo.
Ultimi anni e opere
Ritiratosi progressivamente dall’attività pubblica dopo la liberazione, Vergara si concentrò soprattutto sugli studi filologici e storico-eruditi, mantenendo comunque il prestigioso canonicato nella cattedrale primaziale di Toledo. La sua erudizione trovò compiuta espressione nel Tratado de las ocho questiones del Templo, pubblicato nel 1552: un’opera di carattere storico-filologico in cui rispondeva, con grande ampiezza di citazioni classiche e patristiche, a otto quesiti formulati dal duca dell’Infantado sulla ricostruzione del tempio di Salomone. Questo lavoro, frutto della sua vasta cultura biblica e antiquaria, rappresenta la testimonianza più matura del suo metodo di indagine, improntato al confronto fra testi e alla precisione filologica.
Negli ultimi anni fu coinvolto in una nuova e delicata controversia, legata alla promulgazione degli estatutos de limpieza de sangre nella cattedrale di Toledo per iniziativa dell’arcivescovo Juan Silíceo (1547). Tali norme escludevano i conversos dai capitoli ecclesiastici e minacciavano direttamente la posizione di numerosi canonici, compreso Vergara stesso, la cui origine familiare era nota. Egli figurò tra i dieci canonici che si opposero apertamente allo statuto, votando contro e redigendo scritti critici (oggi perduti, ma forse identificabili con il Voto de un canónigo ricordato da Baltasar Porreño). L’arcivescovo Silíceo, per screditarlo, non esitò a richiamare l’autodafé del 1535, mentre da più parti si evocavano le origini conversas della famiglia Vergara e le vicende inquisitoriali del fratello Bernardino de Tovar. La polemica ebbe anche eco internazionale, con reazioni negative in Francia e interventi di intellettuali e religiosi che stigmatizzavano la novità spagnola degli statuti.
Nonostante tali contrasti, Vergara rimase figura di riferimento per gli ambienti colti della Toledo del tempo. Continuò a coltivare rapporti con umanisti e studenti di greco e latino, e lasciò una biblioteca ricca di testi classici, religiosi e scientifici, espressione del suo cosmopolitismo intellettuale. Morì il 20 febbraio 1557 a Toledo, la sua città natale, e fu sepolto nella cappella di San Pietro della cattedrale, sotto una lastra con epitaffio che ne celebrava i meriti di canonico e di erudito.
Bibliografia essenziale
- Marcel Bataillon, Érasme et l’Espagne, a cura di Daniel Devoto, 3 voll., Droz, Genève 1991.
- John Longhurst, Luther's Ghost in Spain (1517-1546), Coronado Press, Lawrence (KS) 1964.
- Marcelino Menéndez Pelayo, Historia de los heterodoxos españoles, Biblioteca de Autores Cristianos, Madrid 1998 [1880-1882].
- Augustin Redondo, Luther et l’Espagne de 1520 à 1536, in “Mélanges de la Casa de Velázquez”, 1, 1965, pp. 109-165.
Article written by Daniele Santarelli | Ereticopedia.org © 2025
et tamen e summo, quasi fulmen, deicit ictos
invidia inter dum contemptim in Tartara taetra
invidia quoniam ceu fulmine summa vaporant
plerumque et quae sunt aliis magis edita cumque
[Lucretius, "De rerum natura", lib. V]