Guicciardini, Francesco

Dizionario di eretici, dissidenti e inquisitori nel mondo mediterraneo
Edizioni CLORI | Firenze | ISBN 978-8894241600 | DOI 10.5281/zenodo.1309444


Francesco Guicciardini (Firenze, 6 marzo 1483 – Firenze, 22 maggio 1540) è stato dottore in legge, “politico in atto”, storico.

Biografia

Nasce a Firenze il 6 marzo 1483, in una famiglia patrizia, da Piero di Iacopo e da Simona di Bongianni Gianfigliazzi, terzogenito di undici figli, tra cui cinque maschi (Luigi, Iacopo, Francesco, Bongianni e Girolamo). Piero, suo padre era un seguace moderato di Savonarola e un amico del filosofo Marsilio Ficino che fu il padrino di Francesco. Egli inizia la sua formazione di giurista nel novembre 1498, a Firenze, poi a Ferrara da marzo 1501 a novembre 1502; si trasferisce allora a Padova, dove per due anni vive presso il suo maestro Filippo Decio. Rientra a Firenze fine luglio 1505, si addottora in ragione civile il 15 novembre 1505 e comincia a esercitare l'avvocatura.
Il 4 gennaio1507 si fidanza con Maria Salviati, quarta figlia di Alamanno Salviati, oppositore del gonfaloniere a vita Piero Soderini. Il contratto rimane segreto fino al 22 maggio 1508 e il matrimonio è celebrato il 2 novembre 1508. I primi scritti sono di quel periodo: Ricordanze, Memorie di famiglia, Storie fiorentine (relative agli anni 1494-1509 e rimaste inedite fine all’Ottocento).
Il 17 ottobre 1511, è eletto ambasciatore in Spagna dal Consiglio degli ottanta. Parte da Firenze il 29 gennaio 1512. Raggiunge la corte di Ferdinando a Burgos, il 23 marzo (Diario del Viaggio in Spagna; Relazione di Spagna). Durante il soggiorno stende un primo nucleo di ricordi (Q1 e Q2) e scrive un Discorso del modo di ordinare il governo di Firenze (Discorso di Logrogno). Ma riceve pochissime indicazioni dai Dieci sulla sua missione presso il re cattolico.
A Firenze, un esercito spagnolo provoca la caduta di Soderini e il ritorno dei Medici: Guicciardini ne ha notizia il 25 settembre 1512. Rimane ancora un anno in Spagna e ne parte solo nell'ottobre 1513; sulla via del ritorno, a Piacenza, impara la morte del padre, (21 dicembre). A casa ritrova la moglie con una bimba nata il 14 aprile 1512. Un'altra figlia nascerà l'anno successivo (il 30 ottobre 1514). Dopo la divisione del patrimonio del padre, i cinque fratelli danno vita a diverse società commerciali di cui si occupano soprattutto Iacopo e Girolamo.
Guicciardini fa parte della Balia di diciassette cittadini creata dai Medici per riformare il Monte. Nel 1514, è eletto tra gli Otto; nel 1515 è uno dei Signori. Riprende l'avvocatura e verso la fine del 1515 Leone X gli conferisce il titolo di avvocato concistoriale. Rimane però convinto che i Medici non devono distruggere la forma repubblicana di Firenze “facendosi principi”: nel Del modo di assicurare lo Stato ai Medici (1516) continua a affermare che una forma di repubblica nella quale i patrizi sono dominanti è la soluzione migliore per Firenze.
Con un breve del 5 aprile 1516, Guicciardini è nominato commissario pontificio a Modena, dove entra il 29 giugno con il compito di pacificare le lotte tra fazioni. Ottiene anche il governo di Reggio, dove entra il 7 luglio, con l’intento, come a Modena di fare severa giustizia per restaurare l'ordine: il 14 luglio 1519 obbliga le diverse fazioni a firmare una pace generale. Ottiene allora dal cardinale Giulio de' Medici di potere tornare a Firenze, dal 24 luglio al 2 ottobre poi di nuove nel luglio 1520 dove vede le due figlie gemelle nate il 28 aprile; rientra in Emilia all'inizio di ottobre.
L'8 maggio 1521, Leone X conclude con Carlo V una lega contro i Francesi. Il 12 luglio è nominato commissario generale dell'esercito della Chiesa; a Modena e a Reggio si fa sostituire dal fratello Iacopo. Prospero Colonna comanda l’esercito pontificio, Alfonso d'Avalos marchese del Vasto l'esercito imperiale. Il 1° ottobre, mentre assediano Milano, sono raggiunti dal legato Giulio de' Medici. Proprio in quei mesi, fra ottobre e novembre, Guicciardini redige la prima versione del Dialogo del reggimento di Firenze. Le forze papali e imperiali prendono Milano, Lodi e Pavia; Piacenza e Parma si arrendono alla Chiesa. Ma Leone X, pochi giorni dopo, muore il 1° dicembre 1521. Guicciardini è mandato a Parma, abbandonata dai Francesi. Riesce a difendere la città contro i francesi comandati da Federico da Bozzolo che tentano di riprenderla. Privato del governo di fatto su Modena, Reggio e Parma, Guicciardini si ritira nella rocca di Reggio, dove scrive la Relazione della difesa di Parma.
Il 5 novembre 1522, riceve un breve del papa Adriano VI (eletto il 9 gennaio1522) che lo riconferma al governo di Modena; il 13, riceve un altro breve per Reggio. Non riesce invece ad avere il governo di Parma (che ottiene solo per un mese). Chiede il suo congedo a papa Adriano e il 13 gennaio 1523 poi di nuovo il 23 marzo. Ma la morte del papa il 14 settembre1523 e l’elezione di Giulio de Medici al pontificato il 19 novembre 1523 cambia radicalmente la situazione. Il 25 dicembre il nuovo papa, Clemente VII, gli propone la presidenza della Romagna. Il 6 maggio, accompagnato dalla moglie e dalle figlie, entra in Forlì, con il proposito di mettere fine alle lotte tra fazioni guelfe e ghibelline. A Faenza, il primo febbraio 1525, gli giunge la notizia della vittoria imperiale di Pavia e della cattura del re di Francia. Presto si convince del pericolo per il papato e l’Italia della politica di Carlo V e scrive numerose lettere in questo senso al suo agente a Roma Cesare Colombo. Inoltre, in quel periodo, redige la versione definitiva del Dialogo del reggimento di Firenze e un compendio della Chronique di Jean Froissart. Nel 1525 aveva già scritto la prima raccolta dei suoi Ricordi (redazione A, di 161 ricordi).
Nel gennaio 1526, Guicciardini parte per Roma dopo aver trasferito la sua famiglia a Firenze. È uno dei principali consiglieri di Clemente VII, con Iacopo Salviati, Niccolò Schönberg (filoimperiale), il datario Gian Matteo Giberti (filofrancese). Si impegna a promuovere un accordo tra Roma, Francia, Venezia, Inghilterra e Cantoni svizzeri contro Carlo V. La lega è conclusa a Cognac il 22 maggio 1526. Clemente VII nomina Guicciardini suo luogotenente generale "con pienissima e quasi assoluta potestà". Il 17 giugno, con il capitano Giovanni de' Medici, arriva a Piacenza, luogo di raggruppamento dell'esercito pontificio.
La guerra comincia con successo; il 24 giugno, l'esercito veneziano, condotto dal capitano generale Francesco Maria Della Rovere, duca di Urbino, prende Lodi. Ma il duca d’Urbino rinuncia a prendere d’assalto Milano, ritira le forze e decide di andare a prendere Cremona. Francesco Sforza, assediato nel Castello di Milano, vedendo che le forze alleate non lo soccorrono, si arrende il 24 luglio. Cremona è presa il 23 settembre, ma si sa allora che il papa ha firmato, con l'agente spagnolo Ugo de Moncada e il cardinale Pompeo Colonna, una tregua di quattro mesi con gli spagnoli, tregua che prevede il ritiro dell'esercito pontificio di qua dal Po.
Il 30 ottobre, muore Giovanni de' Medici, capo delle Bande nere, che Guicciardini e Machiavelli considerano come l’unico capitano italiano in grado di ottenere vittorie contro gli Spagnoli. Guicciardini si ritira a Modena. In dicembre, si sa dell’arrivo dei lanzi di Giorgio Frundsberg presto raggiunti dagli spagnoli comandati dal duca Carlo di Borbone. Lanzi e Spagnoli si preparano a scendere verso Firenze e Roma: il 27 febbraio sono presso Bologna. Una nuova tregua è firmata dal papa in marzo ma non impedisce la marcia verso Roma degli imperiali. Guicciardini dirige le sue forze su Firenze dove arriva il 23 aprile, impedendo così una sommossa contro il cardinale Passerini che governava la città per il conto dei Medici (tumulto del 26 aprile). Intanto, lanzi e spagnoli, vedendo tagliata la via della Toscana, proseguono verso Roma dove arrivano il 4 maggio. Borbone è ammazzato ma i suoi soldati prendono la città che è messa a sacco per giorni e giorni; il papa si rifugia in Castel Sant’Angelo e capitola l’8 giugno.
A Firenze cade, il 16 maggio, il regime mediceo; viene ripristinato il consiglio grande e eletto gonfaloniere per un anno Niccolò Capponi, uomo moderato e amico di Guicciardini. Ma Guicciardini è accusato di avere rubato sulle paghe dei soldati e, anche se la sua resa dei conti dimostra che non è vero, si risente fortemente del sospetto. Va a vivere nelle sue possessioni in campagna (prima a Finocchieto poi nella sua villa di Santa Margherita a Montici dove compone tre orazioni negli ultimi mesi del 1527 (Consolatoria, Accusatoria e Defensoria contra precedentem). Nel 1528 comincia a lavorare su una storia fiorentina, le Cose fiorentine, di cui redige i primi quattro capitoli (1375-1441). Stende la redazione B dei Ricordi (181 ricordi).
Capponi, rieletto gonfaloniere, è deposto dagli “arrabbiati” nell'aprile 1529 e Francesco Carducci diventa gonfaloniere. Il 29 giugno 1529, il trattato di Barcellona tra il papa e Carlo V prevede il restauro del governo mediceo a Firenze. In settembre un esercito comandato dal principe d'Orange entra in Toscana. Firenze si prepara a resistere all’assedio. Guicciardini raggiunge il papa a Rimini e si intromette a favore della città ma senza effetti positivi. Anzi, viene citato dagli Otto di guardia per tradimento contro la repubblica. Non si presenta ed è condannato al bando e alla confisca dei beni. Si ritira a Roma dove scrive le Considerazioni intorno ai "Discorsi" del Machiavelli e l’ultima redazione C dei Ricordi (221 ricordi). Firenze resiste lunghi mesi ma deve capitolare il 12 agosto 1530. Guicciardini vi torna il 24 settembre, ed è uno degli Otto, che deve ristabilire l’ordine e punire i colpevoli. Guicciardini si guadagna così il soprannome di "Ser Cerrettieri" (dal nome di un servitore del duca d'Atene, Gautier de Brienne che nel 1342-43 volle farsi tiranno di Firenze ma fu cacciato da una rivolta dei cittadini). Il 18 gennaio 1531 il papa gli propone di essere governatore e vicelegato di Bologna, dove arriva in giugno e si occupa dell’amministrazione della giustizia. Vi rimane fino alla morte di Clemente VII nel 1534.
Dopo la morte di Clemente VII (25 settembre 1534) e l'elezione di Alessandro Farnese, Paolo III, il 13 ottobre 1534, Guicciardini torna in Toscana, nella villa Santa Margherita dove incomincia a scrivere i Commentari della sua luogotenenza, primo nucleo della futura Storia d’Italia. Ma Alessandro de’ Medici, duca dal 1532, gli chiede di diventare uno dei suoi principali consiglieri; Guicciardini elabora la Risposta per parte del duca alle querele dei fuorusciti che avevano chiesto il giudizio di Carlo V e stimavano, con buone ragioni, che le promesse della capitolazione di Firenze non erano state osservate da Alessandro. Alessandro sposa a Napoli, il 26 febbraio 1536, Margherita, figlia naturale dell’imperatore; meno di un anno dopo, il 6 gennaio 1537, Alessandro è assassinato da un suo parente, Lorenzino de’ Medici. Guicciardini allora sostiene la scelta di Cosimo de’ Medici (figlio di Giovanni dalle Bande nere) come successore. Ma quasi subito Cosimo fa capire che non intende seguire i consigli di Messer Francesco: lo estromette dai colloqui con l’ambasciatore di Carlo V, il conte di Cifuentes, che arriva a Firenze l’11 maggio 1537.
All’inizio del 1538, Guicciardini rifiuta la proposta di un governo fattagli da Paolo III e decide di rimanere a Firenze dove ha ancora qualche ufficio onorevole ma si preoccupa innanzitutto di redigere la Storia d’Italia, dalla calata di Carlo VIII di Francia, nel 1494, all’elezione di Paolo III nel 1534, lavoro che non porta completamente a termine (gli ultimi libri non sono riveduti) e sarà pubblicato solo nel 1561, a più di 20 anni dalla morte che avviene a Firenze, il 22 maggio 1540.

Guicciardini e le questioni religiose

In uno dei primi ricordi scritti da Francesco Guicciardini, redatto mentre era ambasciatore in Spagna (nel 1512-1513), egli esplicita quali sono le tredose che spera di vedere prima di morire : «uno vivere di repubblica bene ordinato nella città nostra, Italia liberata da tutti e Barbari, e liberato el mondo dalla tirannide di questi scelerati preti [Q2 17]». In un primo tempo, al posto di «e liberato el mondo dalla tirannide di questi scelerati preti», aveva scritto «e reformata la Chiesa».
Seguiremo nei testi guicciardiniani: 1. la critica del clero, 2. la sua concezione della religione cattolica, 3. il modo in cui concepisce i rapporti tra religione e politica, 4. il suo giudizio sulla riforma luterana.

1. «La tirannide di questi scelerati preti»

La critica del clero è sempre presente nei testi di Guicciardini e evoca la critica contro la chierica di Girolamo Savonarola: in un testo autobiografico (A se stesso, scritto nel 1513, in Scritti autobiografici e rari, p. 99), scrive che fu «allevato santamente» il che significa molto probabilmente che fu tra i fanciulli del frate e si deve aggiungere che, nel 1503, suo padre rifiutò di "maculare la conscienzia sua di fare un figliuolo prete per cupidità di roba et di grandezza" quando Francesco era sul punto di iniziae una carriera ecclesiastica (Ricordanze, p. 56). Quindi non stupisce che si trovino ricordi fino nella redazione C che condannino «la ambizione, la avarizia e la mollizie de' preti» (Ricordi, C 28), oppure che, nelle sue Considerazioni sopra i Discorsi…, commenti in questi termini il famoso passo machiavelliano dei Discorsi I, 12 : «Non si può dire tanto male della corte romana che non meriti se ne dica più, perché è una infamia, uno esemplo di tutti e' vituperi ed obbrobri del mondo».
Il punto più alto della critica della chiesa temporale si trova nella Storia d’Italia, libro IV, capitolo 12, in cui fa la storia del potere temporale dei papi (passo che fu stampato in diverse lingue da editori protestanti e diffuso in tutta Europa). Il fondamento della sua critica del clero risiede proprio nella trasformazione dei pontefici in principi secolari; egli infatti finisce il lungo excursus sulla storia del papato scrivendo:

Con questi fondamenti e con questi mezzi esaltati alla potenza terrena, deposta a poco a poco la memoria della salute dell'anime e de' precetti divini, e voltati tutti i pensieri loro alla grandezza mondana, né usando piú l'autorità spirituale se non per instrumento e ministerio della temporale, cominciorono a parere piú tosto príncipi secolari che pontefici. (Storia d’Italia, IV, 12)

La religione non dovrebbe occuparsi del temporale e la confusione dei de poteri è causa del male morale e dei danni pubblici.

2. «Né voglio derogare alla fede cristiana e al culto divino, anzi confermarlo e augumentarlo» (Ricordi, B 32)

Guicciardini si considera come un cristiano che riconosce per buone «le legge indotte dalla religione cristiana nel modo che è interpretata e intesa communemente» (Ricordi, C 28). Ma, in modo ricorrrente, insiste sull’incapacità umana a capire i giudizi divini che sono abyssus multa (Ricordi, C 92 e C 147). Si tratta di una tesi perfettamente ortodossa che si può trarre da Psalmi 35, 7 («Iustitia tua sicut montes Dei, iudicia tua abyssus multa») e da numerosi passi della Bibbia, dei dottori nonché delle prediche di Savonarola. Si vede subito che permette di lasciare da parte ogni concezione provvidenzialista della storia e di dare in ambito politico una responsabilità agli uomini che, non potendo conoscere la volontà divina e non potendo prevedere il futuro devono «andare con la ragione» (Ricordi, B 160).
Guicciardini diffida del troppo zelo religioso; egli stima che «la troppa religione guasta el mondo, perché effemmina gli animi, aviluppa gli uomini in mille errori e divertisceli da molte imprese generose e virile» (Ricordi, B 32); parla della «bontà superflua de’ nostri di San Marco [che] o è spesso ipocresia, o […] non giova niente al buono essere della città». E nel ricordo C 159 esplicita la sua posizione :
«Non biasimo e digiuni, le orazione e simile opere pie che ci sono ordinate dalla Chiesa o ricordate da' frati. Ma el bene de' beni è – e a comparazione di questo tutti gli altri sono leggieri – non nuocere a alcuno, giovare in quanto tu puoi a ciascuno».
Quel « bene de’ beni » è verità teologica (cfr. Agostino, De Civitate Dei, XIX, 14) ma anche uno dei precetti fondamentali del diritto : «Iuris praecepta sunt haec: honeste vivere, alterum non laedere, suum cuique tribuere» (Institutiones, I, I ). Se rimane forse l’ipotesi della riforma della Chiesa che era espressa nei ricordi del 1512, è diventato chiaro per il Guicciardini attore politico che bisogna distinguere ciò che è religione e ciò che è politica.

3. Parlare «cristianamente» o «secondo la ragione ed uso degli stati»

In un passo del Dialogo del reggimento di Firenze, Guicciardini esplicita la necessità di separare i precetti della morale religiosa da quelli dell’azione politica. E lo fa quando gli interlocutori del dialogo parlano della guerra per riprendere Pisa. Secondo Bernardo del Nero, per vincere è necessario impiegare «medicine forti», cioè «crudeltà»; e commenta le sue parole : «non ho forse parlato cristianamente, ma ho parlato secondo la ragione ed uso degli stati». Non saperlo è, aggiunge, «una ignoranzia crassa». Non si può ragionare nello stesso modo quando si tratta di cose spirituali e quando si tratta di cose temporali, bisogna distinguere nettamente le due sfere : «chi vuole vivere totalmente secondo Dio, può mal fare di non si allontanare totalmente dal vivere del mondo, e male si può vivere secondo el mondo sanza offendere Dio».

4. Lutero e il luteranismo: si può amare una «dottrina pestifera»?

Bisogna rendere conto di un apparente paradosso. Si sa che in due ricordi (B 124 e C 28), Guicciardini dichiara che avrebbe potuto “amare” Martino Lutero, mentre nella Storia d’Italia, XIII, 15 parla del luteranismo come una “pestifera dottrina”. Ora il paradosso sparisce se si capisce che in due casi Guicciardini pone la questione essenzialmente in termini politici. Nei due ricordi, il senso dell’amore possibile (espresso al condizionale) è chiaramente esplicitato; non è fondato sulle tesi teologiche di Lutero ma sul fatto che avrebbe potuto essere uno strumento utile per “ruinare o almanco tarpare le ale a questa scelerata tirannide de' preti » (B 124), oppure «per vedere ridurre questa caterva di scelerati a' termini debiti, cioè a restare o sanza vizî o sanza autorità» (C 28): quindi per abbattere o almeno limitare il potere temporale della Chiesa. Nella Storia d’Italia, XIII, 15, la critica del luteranismo (Lutero è presentato come il «suscitatore […] degli antichi errori de' boemi») va di pari passo con gli errori della sedia apostolica (la vendita delle indulgenze); così Guicciardini può spiegare che i «principi» di Lutero erano «forse onesti o almanco, per la giusta occasione che gli era data, in qualche parte scusabili». E quando parla dell’ «insania» di Lutero (il quale ha «libera[to] gli uomini da molti precetti, trovati per la salute universale dai concili universali della Chiesa dai decreti de' pontefici dalla autorità de' canoni e dalle sane interpretazioni de' sacri dottori»), lo spiega con ragioni politiche che spiegano sia i successi che le sconfitte del luteranismo:

Né ha tanto raffrenato il corso suo cosa alcuna quanto lo essersi conosciuto, i settatori di questa dottrina non essere manco infesti alla potestà de' príncipi temporali che alla autorità de' pontefici romani; il che ha fatto che molti príncipi hanno, per lo interesse proprio, con vigilanza e con severità proibito che ne' regni suoi non entri questa contagione: e per contrario, nessuna cosa ha sostenuto tanto la pertinacia di questi errori […] quanto la licenziosa libertà che nel modo del vivere ne hanno acquistato i popoli, e l'avarizia de' potenti per non restare spogliati de' beni che hanno occupati delle chiese. (Storia d’Italia, XIII, 15).

Dopo un percorso politico che gli ha fatto toccare con mano le opere di quelli «scelerati preti» e vedere gli effetti politici prodotti dai luterani che avrebbero dovuto «tarpare [loro]le ale», Guicciardini non pensa più che la chiesa possa essere riformata; ha ridotto il suo desiderio di una riforma spirituale della religione a una aspirazione morale intima; si è convinto che è difficile, e forse impossibile, agire “secondo la ragione” quando si tratta di religione e questa convinzione si legge nei Ricordi, B 31: «Non combattete mai con la religione, né con le cose che pare che dependono da Dio; perché questo obietto ha troppa forza nella mente degli sciocchi».

Bibliografia

Opere

Opere inedite, a cura di G. Canestrini, I-X, Barbèra, Bianchi e Comp., Firenze 1863-67; Storia d'Italia, a cura di A. Gherardi, Sansoni, Firenze 1919; Storia d'Italia, a cura di C. Panigada, Laterza, Bari 1929; Ricordanze inedite, a cura di P. Guicciardini, Le Monnier, Firenze 1930; Storie fiorentine dal 1378 al 1509, a cura di R. Palmarocchi, Laterza, Bari 1931; Dialogo e discorsi del reggimento di Firenze, a cura di R. Palmarocchi, Laterza, Bari 1932; Scritti politici e ricordi, a cura di R. Palmarocchi, Laterza, Bari 1933; Francesco Guicciardini ad Alessio Lapaccini, Lettere giovanili inedite, a cura di P. Guicciardini, Vallecchi, Firenze, 1935; Scritti autobiografici e rari, a cura di R. Palmarocchi, Laterza, Bari 1936; Carteggi, I-II, a cura di R. Palmarocchi, Zanichelli, Bologna 1938-39; III-IV, a cura di R. Palmarocchi, Istituto per gli studi di politica internazionale, Roma, 1943-51; V-XVII, a cura di P. G. Ricci, Istituto storico italiano per l'eta moderna e contemporanea, Roma, 1954-72; Scritti inediti sopra la politica di Clemente VII dopo la battaglia di Pavia, a cura di P. Guicciardini, Olschki, Firenze 1940; Cose fiorentine, a cura di R. Ridolfi, Olschki, Firenze 1945; Ricordi, a cura di R. Spongano, Olschki, Firenze, 1951; Storia d'Italia, a cura di S. Seidel Menchi, Einaudi, Torino 1971; Opere, a cura di E. Scarano, UTET, Torino 1970-81; Le lettere, I-XII, a cura di P. Jodogne (e P. Moreno per i voll. XI e XII), Istituto storico italiano per l'eta moderna e contemporanea, Roma, 1986; Compendio della «Cronica» di Froissart, a cura di P. Moreno, Commissione per i testi di lingua, Bologna 1999; Ricordi, Edizione diplomatica e critica della redazione C, a cura di G. Palumbo, Commissione per i testi di lingua, Bologna 2009.

Testi critici

Rimane fondamentale la biografia di R. Ridolfi, Vita di Francesco Guicciardini, Rusconi, Milano 1982; tra le pubblicazioni recenti : P. Moreno, G. Palumbo, Francesco Guicciardini tra ragione e inquietudine, Droz, Genève 2005; P. Carta, Francesco Guicciardini tra diritto e politica, CEDAM, Padova 2008 ; J.-L. Fournel, J.-C. Zancarini, La grammaire de la République, Langages de la politique chez Francesco Guicciardini (1483-1540), Droz, Genève 2009; E. Cutinelli Réndina, Guicciardini, Salerno, Roma 2009; M. Palumbo, «Mutazione delle cose» e «pensieri nuovi». Saggi su Francesco Guicciardini, Peter Lang, Bruxelles 2013.

Risorse on line

I testi digitalizzati si possono leggere e scaricare da "Liber Liber": http://www.liberliber.it/online/autori/autori-g/francesco-guicciardini/
L’edizione “Scrittori d’Italia” (Laterza, Bari) si può leggere in rete su "Biblioteca Italiana": http://www.bibliotecaitaliana.it/indice/elenco?author=Francesco+Guicciardini&author_id=52&submit_autore.x=20&submit_autore.y=8&title=&book_id=0
La voce di P. Jodogne, G. Benzoni, Guicciardini, Francesco, in DBI, vol. 61 (2004), è pubblicata on line sul sito della Treccani: http://www.treccani.it/enciclopedia/francesco-guicciardini_(Dizionario-Biografico)

Article written by Jean Claude Zancarini | Ereticopedia.org © 2016

et tamen e summo, quasi fulmen, deicit ictos
invidia inter dum contemptim in Tartara taetra
invidia quoniam ceu fulmine summa vaporant
plerumque et quae sunt aliis magis edita cumque

[Lucretius, "De rerum natura", lib. V]

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