Fregoso, Federico

Dizionario di eretici, dissidenti e inquisitori nel mondo mediterraneo
Edizioni CLORI | Firenze | ISBN 978-8894241600 | DOI 10.5281/zenodo.1309444


Federico Fregoso (Genova, ca. 1480 – Gubbio, 22 luglio 1541) è stato un cardinale e teologo.

Biografia

Federico Fregoso nacque a Genova nel 1480 da Agostino Fregoso, condottiero a servizio della Repubblica e del papa, membro di una delle due famiglie dogali della Superba, e da Gentile da Montefeltro, figlia naturale del duca di Urbino Federico da Montefeltro. Nel 1487, alla morte di Agostino, per il prevalere in patria dei rivali Adorno, Federico dovette trasferirsi con il fratello maggiore Ottaviano e con la madre alla corte dello zio materno, Guidobaldo, nuovo duca di Urbino. In quell’ambiente colto e raffinato ebbe la sua formazione letteraria, politica e militare, accanto a insigni rappresentanti della vita culturale e artistica dell’epoca, da Raffaello a Pietro Bembo, da Baldassar Castiglione a Bernardo Dovizi da Bibbiena. Durante la guerra tra Cesare Borgia e Guidobaldo della Rovere, Federico accompagnò in esilio a Venezia la duchessa Elisabetta Gonzaga, con la quale collaborò poi nel 1503 al ristabilimento dell’autorità dei Montefeltro nel ducato riconquistato. Come molti altri esponenti della corte urbinate, durante il pontificato di Giulio II, Federico si trasferì a Roma, dove poté godere del favore del pontefice in virtù delle comuni origini liguri e della parentela con il nuovo duca di Urbino, Francesco Maria della Rovere, nipote del papa e cugino dei Fregoso. Sulle sponde del Tevere attorno alla dimora di Federico, nominato vescovo di Salerno nel 1507 e di Gubbio nel 1508, gravitavano l’umanista Iacopo Sadoleto, il pittore Raffaello e l’amico di una vita, il veneziano Pietro Bembo. Giulio II si servì di Federico per diverse missioni diplomatiche sia a Urbino, in occasione della morte di Guidobaldo nel 1508, sia a Bologna, dove ricoprì la carica di castellano della fortezza cittadina tra il 1508 e il 1511. In cambio Federico e Ottaviano ottennero il sostegno del papa ai loro reiterati tentativi di riprendere il controllo di Genova, scacciandone gli Adorno. Infine, nel 1513 i Fregoso pervennero a imporsi grazie a una coalizione composta da truppe spagnole, veneziane e pontificie: nel giugno Ottaviano fu eletto doge della città e Federico divenne il suo secondo. Per lo status ecclesiastico Federico curò in particolare i legami con la curia, presso la quale si recò in missione nell’inverno tra il 1514 e il 1515 per informarsi sulle imminenti mosse diplomatiche di Leone X. Negli stessi mesi tuttavia i due Fregoso scelsero di intavolare trattative con il re di Francia Luigi XII in vista della discesa nella penisola dell’esercito regio; quando nel 1515 il nuovo re, Francesco I, diede avvio alla sua trionfale campagna culminata con la vittoria di Marignano, i Fregoso abbandonarono l’alleanza ispano-pontifica che li aveva insediati al potere e divennero fedeli alleati del re: Genova divenne parte del Regno, Ottaviano rinunciò al titolo di doge per la carica di governatore regio, e Federico ricevette diversi onori e benefici in Francia. Nel 1516 Federico guidò una flotta cristiana, sotto le insegne della Santa Sede, contro le coste africane con l’obiettivo di smantellare le basi dei corsari musulmani; negli anni successivi sostituì spesso il fratello malato nella gestione della città, e dovette far fronte ai ripetuti colpi di mano della fazione avversa, appoggiata dagli spagnoli. Il tracollo del potere francese nel Nord Italia in seguito alla battaglia della Bicocca (aprile 1522) segnò il tramonto del dominio fregosiano. Cinta d’assedio da truppe ispano-pontificie, la città venne brutalmente saccheggiata per più giorni a fine maggio 1522. A differenza di Ottaviano, catturato e trasferito in catene a Napoli, Federico riuscì a mettersi in salvo sulle navi di Andrea Doria e a rifugiarsi alla corte di Francia. Per diversi anni ancora egli militò nell’esercito regio e tentò di recuperare il controllo della patria, anche assoldando truppe mercenarie a proprie spese. Ma i tentativi falliti nonché la scarsa fiducia dimostrata nei suoi confronti da una parte almeno della corte lo spinsero a rinunciare a ogni velleità politica e a ritirarsi nel monastero benedettino Saint-Bénigne di Digione, di cui era stato fatto abate commendatario da Francesco I fin dal luglio 1525. Proprio nel corso degli anni venti, a contatto con la cerchia della sorella del re, Margherita duchessa d’Angoulême e poi regina di Navarra, e con l’ambiente degli esuli toscani lionesi, spesso discepoli di Savonarola, Federico maturò una svolta spirituale che lo portò a dedicarsi in maniera esclusiva allo studio delle Sacre scritture e all’amministrazione della sua abazia. A partire da quegli anni, in compagnia del benedettino Gregorio Cortese, approfondì lo studio delle lingue originarie della Bibbia, il greco e l’ebraico, nonché la conoscenza della patristica antica e della sapienza cabalistica, sotto la guida del frate lucchese Sante Pagnini a Lione e poi del cardinal Egidio da Viterbo a Roma. Al febbraio 1528 risalgono due sue meditazioni sui salmi, fortemente connotate in senso evangelico, dalle quali emergono sia la radicalità del suo approdo spirituale – per molti versi affine alle scelte teologiche di Lutero e dei riformati in materia di giustificazione per sola fede –, sia l’influenza esercitata su di lui dai discepoli di Jacques Lefèvre d’Étaples, padre dell’evangelismo francese e fautore di una riforma della Chiesa senza il ricorso allo scisma. Al suo ritorno in Italia, dal 1529, Fregoso fece tesoro dell’insegnamento dei fabristi e contribuì alla diffusione del loro modello pastorale oltreché spirituale nella penisola: dopo una breve sosta a Roma scelse di insediarsi nella sua diocesi di Gubbio, all’interno del ducato di Urbino, dove si dedicò al rinnovamento della vita religiosa della sua diocesi. La scelta della residenza fu condivisa in quegli anni da altri vescovi riformatori come Gian Matteo Giberti a Verona, Cosimo Gheri a Fano, o ancora, in qualche misura, Ercole Gonzaga a Mantova, uomini con i quali i rapporti e gli scambi furono frequenti e intensi. Parallelamente Fregoso avviò una direzione spirituale nei confronti delle duchessa di Urbino, Eleonora Gonzaga, e della duchessa di Mantova, Margherita Paleologo, ed esercitò una diretta influenza sull’evoluzione spirituale di amici di lunga data come Bembo e Sadoleto, o di uomini sul crinale dell’eresia come Giulio Landi, Antonio Brucioli, Pietro Panfilo, Girolamo Fondulo. Agli anni trenta risalgono la stesura del Pio et christianissimo trattato dell’oratione, che per i suoi echi savonaroliani e luterani, nonché per le sferzanti critiche agli abusi perpetuati dal papato, era destinato a un certo successo tra gli eretici italiani degli anni quaranta dopo la sua stampa veneziana del 1542 e le due ristampe del 1543 e 1546. Due trattatelli teologici – Della gratia e del libero arbitrio, Della fede e delle opere – rimasti manoscritti risalgono alla fine del decennio e si inseriscono nel più ambio dibattito su quei temi innescatosi tra Gasparo Contarini, Marcantonio Flaminio e Girolamo Seripando. Fregoso adottò una posizione moderata, favorevole alla centralità della grazia divina nel processo di salvezza, ma contrario a una negazione del libero arbitrio, in linea con l’insegnamento di Lefèvre e con le convinzioni di Seripando e Contarini. La sua partecipazione alla commissione di riforma della curia convocata nel 1536-37 da Paolo III, da cui sarebbe stato elaborato un ambizioso programma di riforma della Chiesa romana – il Consilium de emendanda ecclesia – sancì il suo pieno coinvolgimento nella scalata dei vescovi riformatori guidati dal Contarini al centro del potere papale. Dopo aver rifiutato una prima volta il cardinalato nel dicembre 1536, tre anni più tardi, nel 1539, lo accettò: si trasferì così a Roma potendo contare sulla collaborazione oltreché del Contarini, anche di altri amici quali il Bembo, il Sadoleto, il Pole e il Gonzaga, tutti ascesi nel Sacro Collegio, fautori di una riforma incisiva della curia e della ricerca di un compromesso teologico con i protestanti. Proprio in tale prospettiva va letto il sostegno del genovese alle iniziative del Contarini a Roma e poi a Ratisbona nel corso del 1541: egli fu tra i pochissimi cardinali a schierarsi apertamente in difesa dell’operato del porporato veneziano, tanto da attirarsi sospetti di eresia da parte dei cardinali più intransigenti. Dopo aver percepito l’ostilità dello stesso Paolo III, Fregoso preferì lasciare Roma per Gubbio nel luglio 1541; poche settimane più tardi si spense all’età di 61 anni. Dopo la sua morte i sospetti degli inquisitori nei suoi confronti si fondarono oltreché sulla lettura dei suoi testi, tutti segnati da una condivisione del principio della giustificazione per sola fede, anche sull’amicizia con dissidenti ereticali come Bernardino Ochino e Pier Paolo Vergerio, e sull’approdo tra le file valdesiane di diversi suoi famigliari quali Onorato Toffetti e Fabrizio Brancuti.

Opere

Oltre al Trattato dell’oratione, ai due commenti ai salmi e ai due trattatelli teologici, il Fregoso scrisse anche una parafrasi del Pater Noster in volgare, e un Trattato della vita cristiana, di cui non è rimasta nessuna copia, ma che venne proposto dagli Accademici di Modena al vescovo Morone come formulario di fede nel 1542. Un’altra sua opera rimasta manoscritta e andata perduta fu dedicata nel 1539 al potere dei pontefici, di cui Fregoso rimetteva in discussione l’origine divina, in linea con le critiche più severe dei luterani. Infine, sotto il suo nome uscì nel 1545 a Venezia una versione italiana del commento di Lutero alla lettera di san Paolo ai Romani, nella quale vennero tagliate le parti più severe con la Chiesa di Roma.

Bibliografia

  • Le ‘Trattato dell’oratione’ du cardinal Federico Fregoso : la genèse lyonnaise d’une oeuvre en odeur d’hérésie, in Le savoir italien sous les presses lyonnaises, Droz, Genève 2017 (in corso di stampa).
  • Guilllaume Alonge, Condottiero, cardinale, eretico. Federico Fregoso nella crisi politica e religiosa del Cinquecento, Edizioni di Storia e Letteratura, Roma 2017.
  • Guillaume Alonge, Federico Fregoso nella crisi religiosa del cinquecento, in L’ebraista cristiano Federico Fregoso e l’iscrizione ebraica del 1533 nella chiesa di Castel d’Alfiolo a Gubbio, in «Materia Giudaica», XX/XXI, 2015-2016, pp. 15-24.
  • Giampiero Brunelli, Fregoso, Federico, in DBI, vol. 50 (1998).

Article written by Guillaume Alonge | Ereticopedia.org © 2017

et tamen e summo, quasi fulmen, deicit ictos
invidia inter dum contemptim in Tartara taetra
invidia quoniam ceu fulmine summa vaporant
plerumque et quae sunt aliis magis edita cumque

[Lucretius, "De rerum natura", lib. V]

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