Dizionario di eretici, dissidenti e inquisitori nel mondo mediterraneo
Edizioni CLORI | Firenze | ISBN 978-8894241600 | DOI 10.5281/zenodo.1309444
Carlo Chiavello, speziale originario di Savona, fu processato per eresia a partire dal 1578 e condannato a pene esemplari dall’Inquisizione genovese. Il suo caso si protrasse fino al 1581.
Le accuse contro Chiavello includevano la negazione della presenza reale di Cristo nell’eucaristia, ritenuta da lui una semplice memoria della Passione, e la negazione del valore delle opere buone per la salvezza, sostenendo che fosse sufficiente il "sangue di Cristo." Tra le altre dottrine eretiche che gli vennero attribuite figuravano il rifiuto del purgatorio, la negazione del valore delle indulgenze e delle reliquie, e la critica alle cerimonie e alle leggi della Chiesa cattolica. Inoltre, Chiavello affermava che i santi in paradiso non vi fossero giunti per le loro opere, ma esclusivamente grazie al sacrificio di Cristo.
Durante il processo, Chiavello confessò di aver sostenuto queste idee per oltre vent’anni, influenzato dalla lettura di libri eretici e dalla frequentazione di predicatori eterodossi. Sarebbe stato convertito da un certo Antonio Viguerti, il cui figlio Giovanni Paolo Viguerti fu condannato anch'esso per eresia nel 1581. Nonostante avesse continuato a partecipare ai sacramenti, non aveva mai rivelato le sue opinioni né confessato le sue colpe.
La sentenza, emessa nel 1581, fu severa. Chiavello fu condannato a portare perpetuamente l’abitello. Fu inoltre condannato a vent’anni di galera, una pena che, considerando i 53 anni che dichiarava di avere (ma secondo l'inquisitore era più giovane ed aveva quarant'anni circa), equivaleva a una condanna a vita. Gli fu imposto il bando perpetuo dal territorio della Serenissima Repubblica di Genova, con la minaccia di galera a vita se non avesse lasciato i territori genovesi entro otto giorni dalla fine della pena. Infine, gli furono inflitte penitenze spirituali, tra cui la recita quotidiana di un terzo del rosario, la partecipazione ai sacramenti durante le principali festività religiose, e preghiere per le anime del purgatorio.
Chiavello presentò un’istanza di grazia, motivata dalla sua età avanzata e dalla necessità di sostenere la moglie e i sei figli. Tuttavia, l’Inquisizione genovese rifiutò ogni clemenza, sottolineando che il condannato possedeva risorse economiche sufficienti per sostenersi e che i suoi traffici nelle galere gli avevano permesso di arricchirsi. L’accusa, inoltre, lo dipinse come una figura influente, capace di diffondere ulteriormente le sue idee eretiche se non punito esemplarmente.
Bibliografia
- Paolo Fontana, I confini della Repubblica e i confini della fede. Eresia e inquisizione nella Repubblica di Genova tra XVI e XVII secolo tra centro e periferia, in Controllare il territorio. Norme, corpi e conflitti tra medioevo e prima guerra mondiale, a cura di Livio Antonielli e Stefano Levati, Rubbettino, Soveria Mannelli (CZ) 2013, pp. 469-488.
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et tamen e summo, quasi fulmen, deicit ictos
invidia inter dum contemptim in Tartara taetra
invidia quoniam ceu fulmine summa vaporant
plerumque et quae sunt aliis magis edita cumque
[Lucretius, "De rerum natura", lib. V]