Bartoli, Bernardo

Dizionario di eretici, dissidenti e inquisitori nel mondo mediterraneo
Edizioni CLORI | Firenze | ISBN 978-8894241600 | DOI 10.5281/zenodo.1309444


Bernardo Bartoli (Firenze, 1513 - Viterbo?, dopo la fine degli anni sessanta del XVI secolo) è stato un frate domenicano, dapprima fautore degli "spirituali" e predicatore eterodosso, quindi delatore al servizio dell'Inquisizione romana.

Biografia

Entrò nell'ordine domenicano attorno al 1527. All'inizio degli anni quaranta soggiornò a Viterbo, nel locale convento domenicano, dove aderì con entusiasmo al circolo di Reginald Pole, divenendo amico stretto di Alvise Priuli, Marcantonio Flaminio, Vittore Soranzo e Vittoria Colonna. Nel 1543 fu introdotto anche al cardinal Morone, che a partire da quell'anno se ne servì a Modena, dove Bartoli predicò la quaresima nel 1543. Nel 1544 predicò a Otranto, diocesi allora governata da Pietro Antonio Di Capua, altro membro del gruppo degli "spirituali". Di lì a poco Bartoli decise di abbandonare le idee eterodosse, e nel 1552 Gian Pietro Carafa raccolse sue pesanti accuse contro Pole, Morone e gli altri ex amici "spirituali" nei procedimenti inquisitoriali intentati dal Sant'Uffizio contro costoro all'insaputa di Giulio III. Scoperta la cosa, Giulio III lo indusse a ritrattare le accuse attraverso il maestro del Sacro Palazzo Girolamo Muzzarelli, appositamente inviato al convento romano della Minerva, dove allora risiedeva Bartoli.
All'elezione di Paolo IV, le indagini ripresero, e Bartoli, interrogato da Tommaso Scotti, confermò le accuse smentite. Il suo nome ricorre più volte nel processo Morone a sostegno delle accuse al cardinale milanese.
Alla fine degli anni sessanta si trovava di nuovo in convento a Viterbo, ultima traccia che si ha di lui.

Bibliografia

  • Processo Morone2, vol. 1, pp. 54 sgg. e ad indicem.

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Article written by Daniele Santarelli | Ereticopedia.org © 2013

et tamen e summo, quasi fulmen, deicit ictos
invidia inter dum contemptim in Tartara taetra
invidia quoniam ceu fulmine summa vaporant
plerumque et quae sunt aliis magis edita cumque

[Lucretius, "De rerum natura", lib. V]

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