Colonna, Vittoria

Dizionario di eretici, dissidenti e inquisitori nel mondo mediterraneo
Edizioni CLORI | Firenze | ISBN 978-8894241600 | DOI 10.5281/zenodo.1309444


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Vittoria Colonna (Marino, 1492 - Roma, 25 febbraio 1547), Marchesa di Pescara, è stata una nobildonna e poetessa.

Biografia

Figlia di Fabrizio Colonna e Agnese di Montefeltro, Vittoria Colonna venne cresciuta con la migliore educazione. Nel 1509 sposò Francesco Ferrante d’Avalos, Marchese di Pescara e in seguito vittorioso comandante dell’esercito imperiale di Carlo V. Con il matrimonio si trasferì nel Castello Aragonese di Ischia ed entrò a far parte del vivace ambiente culturale napoletano. Dopo la morte del marito (3 dicembre 1525), la Colonna cambiò totalmente il proprio stile di vita: abbandonò i palazzi di famiglia e gli abiti sontuosi, con l’intenzione di trascorrere i suoi giorni in povertà in un convento romano. I suoi propositi furono però ostacolati da papa Clemente VII, che le vietò di prendere i voti monastici. Tornò allora a Ischia, dove visse circondata da illustri scrittori. Alla fine degli anni ’20 prese avvio l’amicizia (prima solo epistolare) con Pietro Bembo, amicizia che l’accompagnò fino alla morte. A Napoli ebbe forse la possibilità di incontrare Juan de Valdés (che vi si era trasferito nel 1534), benché non vi siano documenti che lo attestino. Intanto, pur da lontano, Vittoria seguiva attentamente le vicende fondative dell’Ordine Cappuccino; insieme a Caterina Cibo, si batté strenuamente in difesa dei frati, impegnando energie e denaro. Rientrò a Roma solo nel marzo 1535, e qui assisté alle prediche del cappuccino Bernardino Ochino, che avrebbe poi esercitato un forte ascendente su di lei. Nell’Urbe la Colonna conobbe Michelangelo, probabilmente nel 1536. Nel 1537 si diresse verso Venezia per imbarcarsi da lì per la Terra Santa e fece sosta a Ferrara, dove si stabilì per 10 mesi una volta fallito il viaggio a Gerusalemme. Nella città estense ascoltò nuovamente le prediche di Ochino, strinse amicizia con Renata di Francia e conobbe i futuri gesuiti Rodriguez e Claudio Jajo. In questo periodo va collocato l’inizio dell’amicizia con Margherita di Navarra. La Colonna seguì poi l’Ochino a Pisa, a Firenze e a Lucca. Tornata a Roma sul finire del 1538, prese alloggio nel monastero delle clarisse di S. Silvestro in Capite, di cui rimase ospite fino al 1541. Poiché le tensioni tra il fratello Ascanio e papa Paolo III stavano per esplodere nella Guerra del Sale, nel marzo 1541 la Colonna preferì trasferirsi ad Orvieto, presso le monache domenicane savonaroliane di S. Paolo. Quando il cardinal Reginald Pole (dal 1540 guida spirituale della Marchesa) fu nominato legato del Patrimonio di San Pietro a Viterbo, Vittoria decise di raggiungerlo e prese dimora presso le suore domenicane savonaroliane del convento di S. Caterina (1541-1543). A Viterbo partecipò, con costanza e discrezione, al cosiddetto Circolo degli Spirituali, che vide fra i protagonisti Marcantonio Flaminio, Alvise Priuli, Vittore Soranzo, Giovanni Morone. L’agosto 1542 fu per la Colonna un mese di perdite importanti: a distanza di pochi giorni moriva il cardinal Gasparo Contarini, a cui Vittoria era molto legata, mentre Ochino, che si era rifiutato di presentarsi davanti all’Inquisizione, fuggiva in Svizzera abbandonando definitivamente la Chiesa di Roma. Guarita da una malattia che aveva molto preoccupato gli amici, la Marchesa tornò ancora a Roma e alloggiò nel convento delle benedettine di S. Anna. Prese parte alla Compagnia della Grazia, nata per proteggere e amministrare la Casa Santa Marta, fondata da Ignazio di Loyola per il recupero delle prostitute pentite. Oltre a questa, innumerevoli sono le testimonianze relative alle sue opere di carità, specie relative alla costruzione di chiese e conventi. Morì nel Palazzo Cesarini il 25 febbraio 1547, con il Flaminio, il Priuli e don Tommaso Maggi (segretario del Pole) al suo capezzale.

Opere

Quasi nulla si conosce della produzione poetica di Vittoria Colonna prima della morte del marito. L’unico componimento sopravvissuto è un’epistola in versi per la rotta di Ravenna del 1512. La sua fama di poetessa, però, si diffuse poi rapidamente: già nel 1532 Ariosto ne cantava le lodi nell’ultima edizione del Furioso, mentre nel 1535 un suo sonetto veniva incluso nella seconda edizione delle Rime di Bembo. Dopo un momento di sospensione della scrittura, la Colonna decise di porre i propri versi al servizio di Dio, narrando la propria esperienza di fede a beneficio del lettore. Il corpus poetico, edito da A. Bullock (1982) consta di circa 140 rime di argomento amoroso (in morte del marito), circa 210 componimenti a tema sacro nonché una trentina di testi di corrispondenza.
L’unica raccolta allestita personalmente dalla poetessa è contenuta nel ms Vat. lat. 11539 e venne donata a Michelangelo nel 1540/1541. Le edizioni a stampa, invece, non furono mai ufficialmente avallate dall’autrice: né la princeps del 1538, né l’edizione Valgrisi del 1546, che costituì la vulgata delle sue rime spirituali. Nel 1543, però, la Colonna ebbe l’onore di un’edizione commentata – la prima pubblicata vivente il suo autore – per opera di Rinaldo Corso (fu poi ristampata con integrazioni nel 1558).
Le opere in prosa erano di preferenza divulgate nella forma di lettere-trattati. È il caso della Meditatione del Venerdì Santo e dell’Oratione sopra l’Ave Maria, forse in origine indirizzate – come pure la lettera sopra il Vangelo dell’adultera (Carteggio, CXLIV) – a Bernardino Ochino. Allo stesso modo l’epistola su santa Maddalena e santa Caterina d’Alessandria (CLXX) e quella sulla Madonna (CLXIX) furono realmente spedite a Costanza d’Avalos.

Influssi delle nuove idee religiose

Già nel 1540 vi era chi riteneva che nelle rime colonnesi «v’erano di molte cose contro la fede di Gesù Christo» (lettera di Alberto Sacrati a Ercole II d'Este, duca di Ferrara). Le accuse più precise vennero pronunciate durante i processi inquisitoriali contro Pietro Carnesecchi e Giovanni Morone, quando ormai Vittoria era morta da anni: riguardano da una parte la sua «intrinsichezza» con Ochino, Pole e tutti i maggiori esponenti dell’evangelismo; dall’altra la sua presunta adesione alla dottrina della giustificazione per la sola fede. Dagli scritti della Colonna trapela poco di tutto ciò: le parole sono sfumate, talvolta contraddittorie, riluttanti ad assumere posizioni esplicitamente eterodosse. Eppure, le persone e gli ambienti che frequentò dicono di una sua attenzione per le idee ‘riformate’, nel senso più ampio del termine. La riforma della Chiesa, infatti, stava realmente a cuore della Marchesa, che incoraggiò qualsiasi esperienza religiosa le sembrasse proporre una fede autentica e coerente: oltre a Ochino e agli Spirituali, non va dimenticato il sostegno decennale fornito ai neonati Ordini dei Cappuccini e dei Gesuiti. Oltre all’incontro con tale molteplicità di carismi religiosi, occorre tener conto anche della dinamicità del pensiero della Colonna. Dopo la morte di Ferrante, la fede cominciò innanzitutto ad assumere un rilievo particolare nella sua pratica quotidiana, ma con significativi risvolti anche sul piano politico ed economico (1526-1534). Con il ritorno a Roma e l’incontro con Ochino, la devozione della Colonna acquistò uno spessore che i contemporanei non poterono fare a meno di notare. Infine, la svolta del 1540/1541 è dovuta all’approfondirsi del rapporto con Pole, che condusse la Marchesa verso una fede più intima e personale, forse meno legata ai riti della tradizione cristiana. È in questo ultimo periodo (1541-1547), il più povero di documenti storici, che la Colonna dovette assistere da vicino all’elaborazione e alla pubblicazione del Beneficio di Cristo, la cui eventuale influenza sulla sua opera è però difficile da accertare.

Bibliografia

  • Giovanni Bardazzi, Florilegio colonnese, in «Per leggere», XVI, 30, 2016, pp. 7-69.
  • Giovanni Bardazzi, Le rime spirituali di Vittoria Colonna e Bernardino Ochino, in «Italique», 4, 2001, pp. 61-101.
  • Abigail Brundin, Tatiana Crivelli, Maria Serena Sapegno (a cura di), A Companion to Vittoria Colonna, Brill, Leiden 2016.
  • Abigail Brundin, Vittoria Colonna and the Spiritual Poetics of the Italian Reformation, Ashgate, Aldershot 2008.
  • Alan Bullock (a cura di), Vittoria Colonna, Rime, Laterza, Roma-Bari 1982.
  • Emidio Campi, Michelangelo e Vittoria Colonna. Un dialogo artistico-teologico ispirato da Bernardino Ochino, Claudiana, Torino 1994.
  • Veronica Copello, La tradizione laudistica in Vittoria Colonna, in “Archivio italiano per la storia della pietà”, 28, 2015, pp. 261-309.
  • Ermanno Ferrero, Giuseppe Müller (a cura di), Carteggio di Vittoria Colonna, 2a ed. con supplemento raccolto e annotato da Domenico Tordi, Loescher, Torino-Firenze-Roma 1892.
  • Massimo Firpo, Vittoria Colonna, Giovanni Morone e gli «spirituali», in «Rivista di storia e letteratura religiosa», 24, 1988, pp. 211-261.
  • Maria Forcellino, Michelangelo, Vittoria Colonna e gli spirituali: religiosità e vita artistica a Roma negli anni quaranta, Viella, Roma 2009.
  • Francesco Gui, L’attesa del Concilio. Vittoria Colonna e Reginald Pole nel movimento degli «spirituali», EUE, Roma 1998.
  • Sergio Pagano, Concetta Ranieri (a cura di), Nuovi documenti su Vittoria Colonna e Reginald Pole, Archivio Segreto Vaticano, Citta del Vaticano, 1989.
  • Giorgio Patrizi, Colonna, Vittoria, in DBI, vol. 27 (1982).
  • Concetta Ranieri, Premesse umanistiche alla religiosità di Vittoria Colonna, in «Rivista di storia e letteratura religiosa», 32, 1996, pp. 531-548.
  • Maria Serena Sapegno (a cura di), Al crocevia della storia. Poesia, religione e politica in Vittoria Colonna, Viella, Roma 2016.
  • Claudio Scarpati, Le rime spirituali di Vittoria Colonna nel codice Vaticano donato a Michelangelo, in «Aevum», 28, 2004, pp. 693-717; ora in Claudio Scarpati, Invenzione e scrittura, Vita e Pensiero, Milano 2005, pp. 129-162.

Article written by Veronica Copello | Ereticopedia.org © 2016

et tamen e summo, quasi fulmen, deicit ictos
invidia inter dum contemptim in Tartara taetra
invidia quoniam ceu fulmine summa vaporant
plerumque et quae sunt aliis magis edita cumque

[Lucretius, "De rerum natura", lib. V]

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