Giudici, Susanna

Dizionario di eretici, dissidenti e inquisitori nel mondo mediterraneo
Edizioni CLORI | Firenze | ISBN 978-8894241600 | DOI 10.5281/zenodo.1309444


Susanna, figlia di Giovanni Agostino Giudici, è stata una donna residente nella parrocchia di S. Maria del Campo presso Rapallo, accusata tra 1696 e 1698 di stregoneria.

La donna fu accusata di essere la responsabile della morte di Giacomo Molfino e di suo figlio, oltre che della malattia di Benedetto, fratello del defunto. Le accuse contro Susanna furono alimentate da Vincenzo Curotto, un guaritore ed esorcista "abusivo" noto per il suo controverso coinvolgimento in esorcismi e pratiche curative. Curotto avrebbe diagnosticato i malesseri di Benedetto come il risultato di un maleficio causato da Susanna. Per liberarlo, il guaritore sottopose la presunta strega a un rituale in cui fu costretta a sputare vino sul malato per tre volte – sul viso, sul ventre e sul petto – e a pronunciare una formula magica. Nonostante un miglioramento temporaneo, Benedetto morì.
A seguito di ciò, la fama di Susanna si deteriorò rapidamente. Fu imprigionata per tre giorni su richiesta dei parenti del defunto e successivamente costretta a lasciare la sua parrocchia, Santa Maria del Campo, per rifugiarsi a San Martino di Noceto presso la figlia, temendo per la sua vita. Durante il suo esilio, fu nuovamente trascinata in uno scandalo quando, passeggiando per Rapallo, fu aggredita dalla moglie di un negoziante, che la accusava di aver maleficiato un bambino malato.
Susanna attribuì la sua rovina a Vincenzo Curotto, che considerava il responsabile della sua cattiva reputazione. Sottolineò che altre donne accusate di stregoneria, come Caterina, moglie di Bernardo Multedo, erano state assassinate a causa delle dicerie che spesso portavano a faide violente. La sua testimonianza offre uno spaccato drammatico della vita delle donne accusate di stregoneria, in bilico tra superstizione, credenze popolari e conflitti personali.

Bibliografia

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et tamen e summo, quasi fulmen, deicit ictos
invidia inter dum contemptim in Tartara taetra
invidia quoniam ceu fulmine summa vaporant
plerumque et quae sunt aliis magis edita cumque

[Lucretius, "De rerum natura", lib. V]

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