Inquisizione a Napoli (1547)

Dizionario di eretici, dissidenti e inquisitori nel mondo mediterraneo
Edizioni CLORI | Firenze | ISBN 978-8894241600 | DOI 10.5281/zenodo.1309444


Nel 1510 vi fu un primo tentativo di introdurre a Napoli e nel viceregno meridionale l’Inquisizione “all’uso di Spagna” (Creata nel 1480). Ma l’insorgenza cittadina, durata circa un anno, indusse il re Ferdinando il Cattolico ad abbandonare il progetto. Dopo la creazione dell’Inquisizione Romana, o Sant’Ufficio (1542) Carlo V nel 1547 tentò nuovamente di introdurre l’Inquisizione spagnola, con l’appoggio del viceré don Pedro di Toledo, che voleva limitare la potenza dei feudatari, in primis Ferrante Sanseverino, principe di Salerno. Ma anche questo tentativo fallì per la viva protesta dei cittadini, sia nobili che popolo. Ferrante, inviato come ambasciatore in Spagna, per la sua protervia cominciò ad essere oggetto di attenzione, anche perché si vociferava di connivenze coi francesi e coi turchi. Perciò nel 1551 fuggì insieme al suo segretario Bernardo Tasso, anch’egli “in odore di eresia”.

1.L’Inquisizione spagnola

Tra il 1474 e il 1479 i re Cattolici Ferdinando d’Aragona e Isabella di Castiglia avevano riunito il territorio iberico in un unico regno: per poter governare al meglio bisognava esercitare uno stretto controllo sulla nobiltà turbolenta che si era affermata durante le guerre civili, risanare le finanze e controllare le potenti minoranze, moriscos ed ebrei per assicurare l’unità religiosa del paese.Nel 1480, dopo l’assedio turco di Otranto, per fermare l’avanzata degli “infedeli” musulmani (ma anche gli ebrei), re Ferdinando il Cattolico, con l’aiuto del vescovo di Valencia Rodrigo Borja (Borgia), futuro papa Alessandro VI, ottenne dal pontefice Sisto IV, Francesco della Rovere la concessione di poter creare il Tribunale dell’Inquisizione, con sede a Siviglia, affidato al primo inquisitore Tomás de Torquemada il compito di organizzare l’ufficio per trovare e punire i conversi (moriscos ed ebrei), anche con la tortura, comminando loro il sequestro dei beni ed accettando anche le denunce anonime (Bennassar, 2003).

2. Il primo tentativo di introdurre l’Inquisizione Spagnola a Napoli (1510)

Dopo la conquista del viceregno meridionale (1503) re Ferdinando cominciò a riorganizzare tutto il territorio, concedendo anche ai feudatari “filoanzuini”, come i Sanseverino di Salerno e Bisignano, la riconferma dei loro feudi per ottenere una pacificazione interna. Il primo viceré, don Gonsalvo Hernandez de Cordova, il Gran Capitano, tornò in Spagna nel 1507 insieme al re venuto in visita nella nuova capitale. Fu sostituito da Juan de Aragon, conde de Ribagorza (Ripacorsa), ripote di re Ferdinando che cominciò a riorganizzare il Regno con l’ausilio del Consiglio Collaterale, composto da tre ministri (Pilati, 1994) e a ricostruire la flotta regnicola per opporsi ai barbareschi che stavano occupando le coste dell’Africa settentrionale, partecipando alla spedizione contro Orano. Richiamato in Spagna nel 1509 fu sostituito da Ramon de Cardona, viceré di Sicilia dal 1506, che divenne interprete della politica spagnola, impegnandosi con la nascente flotta napoletano nelle imprese contro Algeri e Tripoli (Sirago, 2018). Il viceré, per aderire meglio ai dettami religiosi in uso nella penisola iberica ai primi di gennaio del 1510 cercò di introdurre l’Inquisizione “all’uso di Spagna”, provocando un malcontento generale: i nobili e il popolo riunitisi nel Tribunale di San Lorenzo “dichiararono … di voler perdere i beni e la vita, anziché permettere s’istituisse tale Inquisizione”, eleggendo Francesco Filomarino che partì in primavera per andare a Madrid a perorare la loro causa con le istruzioni dei Seggi nobili e del popolo. In un primo momento il re reiterò l’ordine di inserire l’Inquisizione spagnola, il che fece insorgere tutta la città e furono chiuse tutte le botteghe. Poi, vista l’insorgenza popolare, in novembre fece pubblicare dal viceré una prammatica in cui si decideva di non introdurre tale tipo di Inquisizione ma di mantenere solo quella svolta in loco “secondo l’ordinario”. (Amabile)

3. L’Inquisizione romana

Preoccupato dal diffondersi del protestantesimo sia in Europa che in Italia il cardinale Gian Pietro Carafa nel 1532 inviò da Venezia al papa Clemente VII, Giulio Zanobi di Giuliano de’ Medici, un memoriale per sollecitarlo ad agire fermamente. Perciò il pontefice nominò l’agostiniano Callisto Fornari come “inquisitore generale dell’eresia luterana” in tutta l’Italia.
Nel 1542 papa Paolo III, Alessandro Farnese, si decise ad intervenire in modo drastico per reprimere le dottrine ereticali che si stavano diffondendo in Italia. Con la bolla “Licet ab initio” del 21 luglio istituì in Roma la Congregazione del Santo Uffizio. Affidandone l’organizzazione al Carafa. La congregazione aveva il compito di coordinare la repressione dell’eresia e l’attività dei tribunali locali, istituiti in epoca medievale, dove operavano frati domenicani e francescani, che dovevano essere riorganizzati e potenziati.

4. La sollevazione napoletana del 1547 contro l’introduzione dell’Inquisizione “all’uso di Spagna”

Don Pedro de Toledo, un cortigiano fedele a Carlo V che aveva già dato buona prova della sua efficacia, nel 1532 fu nominato viceré di Napoli, una città e un viceregno molto importanti per il sistema imperiale spagnolo, antemurale a difesa degli attacchi turchi e barbareschi. Il Toledo era stato scelto per riorganizzare la difesa del viceregno con la ricostruzione della flotta, affidata al giovane don Garcia. Ma doveva anche limitare la potenza dei feudatari “filoanzuni”, in primis i Sanseverino principi di Salerno e Bisignano (Musella Guida, 2008-2009; Hernando Sánchez, 1994 e 2016). Dopo la vittoriosa “impresa” di Tunisi (1535) Carlo V risalì trionfalmente la penisola acclamato come “novello Scipione”, accolto fastosamente in Calabria dal principe di Bisignano Pietro Antonio Sanseverino e a Salerno dal principe Ferrante (Sirago, 2018). Poi raggiunse Napoli dove rimase fino alla primavera del 1536. Durante la sua permanenza i Sanseverino ed altri feudatari manifestarono il loro disagio per la politica repressiva del Toledo (Sánchez, 2016). Anche il generale Andrea Doria, che forniva 12 galere in ausilio alle flotte napoletana e spagnola, non approvava la politica toledana poiché il viceré aveva nominato generale della flotta il figlio don Garcia, di appena quattordici anni (Sirago, 2018). Ma, malgrado le rimostranze, il viceré fu riconfermato nell’incarico, rimanendo fino alla morte (1552), contrariamente alla norma che stabiliva un avvicendamento ogni te anni, talvolta rinnovato per un altro triennio (Pilati, 1994). Il Toledo continuò ad esercitare una politica repressiva, preoccupato anche per il diffondersi delle dottrine ereticali.
Nel 1542, lo stesso anno in cui fu creato il Santo Uffizio, il Toledo cominciò ad attuare una ulteriore svolta nella politica vicereale, inserendo uomini suoi nei gangli vitali dell’apparato statale., in primis il Segretario del regno, che doveva espletare un compito delicatissimo, redigere i verbali del Consiglio Collaterale, il più importante organo di governo (Pilati, 1994). Queste restrizioni si riverberarono anche in ambito culturale. Nel 1544 il viceré emanò una prammatica in cui si sanciva che il controllo della stampa, della vendita e dei libri di teologia editi negli ultimi 25 anni era delegato al Cappellano Maggiore, che doveva controllare i pensieri ereticali diffusi da Juan de Valdés, venuto a Napoli nel 1534, attivo fino alla sua morte nella capitale partenopea (1541). Anche dopo la sua morte alcuni eruditi napoletani che avevano conosciuto il Valdés e Bernardino Ochino (a Napoli nel 1536) avevano continuato a diffondere il messaggio in alcune Accademie, chiuse poi dal Toledo (Pilati, 2015). Le accademie erano frequentate anche da nobildonne “in odore di eresia”, in primis Vittoria Colonna e Giulia Gonzaga, amiche di Bernardo Tasso, segretario del principe Ferrante Sanseverino, con cui conversavano di queste nuove questioni religiose (Magalhâes, 2012; Sirago Rastrelli, 2024). Una importante Accademia era quella dei “Sereni” che si riuniva in casa del principe Ferrante, un fine mecenate, che riuniva attorno a sé intellettuali, poeti, artisti. Il giro di vite effettuato in un momento di crisi economica, causato dai cattivi raccolti, esasperò sia l’aristocrazia che la popolazione, creando un diffuso clima di sospetto. Nel 1547 la situazione peggiorò, anche perché la Francia era interessata a fomentare i focolai di rivolta. In questo contesto si inseriva anche la decisione di papa Paolo III di creare il Santo Uffizio, avocando a sé la persecuzione degli eretici, introducendo l’inquisizione romana (anch’essa con il sequestro dei beni e l’accettazione della denuncia anonima) in luogo di quella diocesana, detta anche” secondo l’ordinario”. Tra il malcontento generale il viceré Toledo cercò di inserire l’Inquisizione spagnola, come era stato fatto nel 1535 nei Paesi Bassi. Ma, come era successo nel 1510, l’aristocrazia e il popolo in tumulto decisero di riunirsi nel Tribunale di San Lorenzo, sede dei cinque Seggi nobili e di quello del popolo, per deliberare sul da farsi (Amabile, 1892; Pilati, 2015). Per pacificare la città i rappresentanti dei Seggi in maggio decisero di inviare a Madrid come rappresentante il principe di Salerno Ferrante Sanseverino che doveva perorare la causa della città partenopea insieme a Placido de Sangro, scelto come ambasciatore della città, e chiedere che non fosse introdotta l’Inquisizione “all’uso di Sagna”. I due arrivarono in luglio a Norimberga per conferire con Carlo V ma fu ricevuto solo il de Sangro, che poi tornò a Napoli, mentre il Sanseverino veniva trattenuto quasi a mo’ di ostaggio, il che creò una prima frattura col principe, rappresentante dell’aristocrazia napoletana. Nello scambio di missive col suo segretario Bernardo Tasso egli manifestava perplessità sull’esito della missione, consapevole che la sua persona era stata discreditata dall’imperatore (Pilati 2015). Nella città partenopea la situazione stava degenerando, come poté vedere al suo rientro il de Sangro, il 7 agosto: egli aveva riferito che l’imperatore aveva ordinato duramente alla città di rientrare nei ranghi, cosa che il popolo fece, temendo che si sarebbero potuti verificare spiacevoli incidenti nei confronti del principe Ferrante, ottenendo però dal viceré la conferma che non si sarebbe introdotta l’inquisizione spagnola (Amabile, 1892, Osbat, 1974; Cernigliaro, 2008). Il viceré però continuava ad accusare il principe di ambire al trono di Napol, sobillando aristocratici e popolo contro di lui e la monarchia spagnola. Carlo V aveva concesso di poter tornare a Napoli, dove doveva astenersi dalla vita politica, ritirandosi a vita privata. Egli però non obbedì: tornato in patria nel giugno del 1548, fu accolto trionfalmente dalla popolazione mentre cavalcava per la città, il che inasprì ancor più l’animo del viceré e dell’imperatore. Da quel momento, anche se la città fu pacificata, iniziava per il “barone ribelle” la parabola discendente. L’incontro col viceré dopo la cavalcata fu molto freddo e distaccato. In novembre il principe si recò a Savona per rendere omaggio a Filippo, il successore di Carlo, ma fu accolto con molta freddezza. Pian piano la situazione si deteriorò, finché il principe subì un attentato, forse ad opera di don Garcia di Toledo. Così Ferrante prese contatti con la Francia, dove fuggi: qui tentò di far unire le flotte francese e ottomana per assalire Napoli, ma il piano non riuscì. Condannato a morte in contumacia rimase in Francia fino alla morte (1568), in estrema povertà. Negli ultimi anni pare si sia accostato alla fede protestante. Nella sua rovina coinvolse anche il fedele Bernardo Tasso e il piccolo Torquato (Colapietra, 1985; Sirago Rastelli, 2024).

Bibliografia

  • Luigi Amabile, Il Santo Officio della Inquisizione in Napoli, S.Lapi Tipografo-Editore, Napoli 1982.
  • Bartolomé Bennassar, con la collaborazione di Catherine Brault- Noble, Jean -Pierre Dedieu, Claire Guilhelm, Marie- Josè Marc, Dominique Peyre, Storia dell’Inquisizione spagnola. Fatti e misfatti della “suprema” dal XV al XIX secolo, traduzione di Nanda Torcellan, (I ed., Hachette, Paris 1979), Rizzoli (BUR), Milano 2003.
  • Aurelio Cernigliaro, La rivolta napoletana del 1547 contro l’Inquisizione, in Antonio Lerra, Aurelio Musi (a cura di), Rivolte e rivoluzione nel Mezzogiorno d’Italia, Manduria, Bari-Roma 2008, pp. 13-72.
  • Raffaele Colapietra, I Sanseverino di Salerno mito e realtà del barone ribelle, P. Laveglia ed., Salerno 1985.
  • Carlos José Hernando Sánchez, Castilla y Napoles en el siglo XVI: el virrey Pedro de Toledo. Linaje, Estado y Cultura (1532-1553), Junta de Castilla y Leon, Consejeria de Cultura y Turismo, Salamanca 1994.
  • Carlos José Hernando Sánchez, Pedro de Toledo entre el hierro y el oro: construcción y fin de un virrey, in Encarnacion Sánchez García (a cura di), Rinascimento meridionale. Napoli e il viceré Pedro de Toledo (1532-1553), Pironti, Napoli 2016, pp. 3-65.
  • Anderson Magalhães, All’ombra dell’eresia: Bernardo Tasso e le donne della Bibbia in Francia e in Italia, in Rosanna Gorris Camos (a cura di), Le donne della bibbia la bibbia delle donne, Schena, Fasano (Brindisi) 2012.
  • Silvana Musella Guida, Don P. A. de Toledo. Ritratto di un principe nell’Europa rinascimentale, in «Samnium», LXXXI-LXXXII, 2008/2009, pp. 239-253
  • Luciano Osbat, L’Inquisizione a Napoli. Il processo agli ateisti (1688- 1697, Edizioni di Storia e Letteratura, Roma 1974.
  • Renata Pilati, Officia principis. Politica e amministrazione a Napoli del Cinquecento, Jovene, Napoli 1994.
  • Renata Pilati, Arcana seditionis. Violenze politiche e ragioni civili. Napoli 1547 – 1557, Istituto Italiano per gli Studi Filosofici, Napoli 2015.
  • Gregorio Rosso, Istoria delle cose di Napoli sotto l’imperio di Carlo V. Cominciando dall’anno 1535 per insino all’anno 1537. Scritta per modo di Giornali, Napoli, nella Stamperia di Giovanni Gravier, 1770.
  • Maria Sirago, La flotta napoletana nel contesto mediterraneo (1503-1707), Licosia, Ogliastro (Salerno) 2018.
  • Maria Sirago, Mario Rastrelli, Il Mediterraneo in fiamme. La cultura delle corti e le battaglie navali nella Napoli del Cinquecento, La Valle del Tempo, Napoli 2024.

Voci correlate

Article written by Maria Sirago | Ereticopedia.org © 2025

et tamen e summo, quasi fulmen, deicit ictos
invidia inter dum contemptim in Tartara taetra
invidia quoniam ceu fulmine summa vaporant
plerumque et quae sunt aliis magis edita cumque

[Lucretius, "De rerum natura", lib. V]

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