Dizionario di eretici, dissidenti e inquisitori nel mondo mediterraneo
Edizioni CLORI | Firenze | ISBN 978-8894241600 | DOI 10.5281/zenodo.1309444
Perdìtta Basigheddu (Nuoro, 1564 – ante 1622?) è stata una donna perseguitata per stregoneria dall'Inquisizione di Sardegna.
Cenni biografici
Nata a Nuoro intorno al 1564, le uniche notizie su di lei sono poche e frammentarie, la maggior parte relative alle accuse e alla prigionia. Chiamata Pedrita (Pietrina) Basigueddo (o Basiquedo) negli atti spagnoli, nell’unico documento notarile da lei incaricato finora conosciuto (1611), si “firmò” con il suo nome in sardo, Predì(t)ta.
Non si conservano gli atti originali del suo processo, ma solo alcune righe contenute nel registro intitolato Relación de las causas pendientes y despachadas relativo al triennio 1602–1604 e sparuti cenni negli atti del secondo processo a carico di Julia Carta, una donna di Siligo accusata di stregoneria e sua compagna di cella nelle carceri segrete del Tribunale del Sant’Uffizio di Sassari.
La causa della persecuzione di Perdìtta fu la sua attività di preparazione di unguenti a base di erbe, che le valsero la qualificazione di hechizera y sortílega (fattuchiera e maga). Al momento dell’arresto non le furono sequestrati i beni, poiché la gravità del reato di cui era accusata non era tale da giustificare la confisca patrimoniale, come stabilito dal regolamento del Tribunale dell’Inquisizione di Toledo del 1561.
In carcere, probabilmente dietro tortura, confessò tutte le accuse che le erano state mosse da alcuni testimoni, ammettendo di essere idolatra del demonio e di avere abbandonato la fede. L’accusa finale fu di «eresia e apostasia formale», che in un primo momento le valse la condanna a morte, anche se non si sa con che modalità (i documenti indicano solo che fu sul punto di essere consegnata al braccio secolare). Le confessioni di Julia Carta non dovettero giocare a suo favore: Julia dichiarò che il diavolo in persona le aveva offerto la sua protezione, così come aveva già fatto con Perdìtta, la quale senza di lui sarebbe certamente morta.
Alle due donne era stato permesso di risiedere in casa di Matheo Maza, alcalde (direttore) della prigione, invece che nel carcere segreto, in cambio del loro servizio di distribuzione dei pasti ai prigionieri civili. A Perdìtta fu inoltre imposto di curare la gamba di Gregorio, un servo dell'inquisitore Martin de Ocio y Vecila, preparando gli stessi unguenti che le erano costati la prigionia. Dalla causa di Julia si evince comunque che il trattamento diverso non implicò assenza di privazioni e vessazioni: Julia accusò il Maza di intascare sette denari al giorno, corrispondenti alla differenza tra la somma per la diaria e il prezzo del cibo che le veniva servito, fra cui il vino annacquato. Era stata Perdìtta a confidarle di aver visto l’alcalde mischiare il vino con acqua.
Per ragioni che non emergono dai documenti, ma che potrebbero essere connesse alle irregolarità a cui si è accennato precedentemente (e per le quali lo stesso inquisitore fu denunciato dal fiscale Gabriel de Bañolas al Consejo de Inquisición), la pena capitale della donna fu commutata in carcere e sambenito perpetui, in seguito alla riconciliazione con la Chiesa il 23 ottobre 1605. Tale condanna in seguito dovette essere completamente annullata o comunque drásticamente ridotta, in quanto nel 1611, nell’atto notarile previamente menzionato, la si trova residente a Cagliari e sposata con un uomo di cui non fa il nome.
Si sa, inoltre, che la copia del suo sambenito non fu esposta nella Chiesa parrocchiale di Santa Maria, come previsto dalle norme. Interrogato in merito alla questione, l’inquisitore Gavino Pintor rispose che
essendo rimasto solo nel Tribunale, ed essendomi ammalato per un anno e diversi mesi, […] non ho potuto effettuare la visita per apporre i suddetti sambenitos nelle chiese dei loro luoghi di origine. Inoltre, si sono presi accordi per fabbricare stoffa nuova per i suddetti sambenitos, e per gli stessi impedimenti di cui sopra, non si son potute disbrigare in breve tempo le cause di fede.
La campana
Nel 1622 il maestro campanaro cagliaritano Giovanni Pira realizzò una campana per la chiesa della Madonna della Solitudine a Nuoro, su disposizione di Perdìtta. L’opera, ancora esistente, costituisce l’unica campana fatta realizzare da un’accusata di stregoneria in Sardegna, se non in Italia. Su di essa è presente la seguente iscrizione:
+ SANCTA MARIA DE LA SOLEDAT + LA FETA FER PERDITTA BASINQUEDDU DE CARITAT + IVAN PIRA MDCXXII
L’espressione de caritat, precedentemente interpretata dall’autore (a cui si deve la scoperta della campana nel 2018), come un ex voto per la riacquistata libertà, appare invece più probabilmente una disposizione testamentaria, anche alla luce della recente scoperta dell’età di Perdìtta. Come proposto dal genealogista Raffaele Cau, è assai probabile che la Chiesa della Solitudine a Nuoro sia stata fondata grazie a offerte spontanee dei nuoresi: la campana sarebbe il contributo dell’ex inquisita per quest’opera pia.
Il luogo e la data esatta di morte restano, tuttavia, ancora sconosciuti, in quanto gli atti del Liber Defunctorum della parrocchia di Nuoro cominciano dal 1646.
Bibliografia
- Salvatore Loi (a cura di), Inquisizione, magia e stregoneria in Sardegna, AM&D, Cagliari 2000.
- Salvatore Pinna, «La inquisición en la villa de Nuoro», in Sardegna Antica. Culture mediterranee, n. 54, 2018, pp. 16-18.
- Salvatore Pinna, Da Nùgor a Nùoro. Studi storici su un villaggio medievale sardo, NuovaPrhomos, Città di Castello 2022.
- Tomasino Pinna, Storia di una strega: l'inquisizione in Sardegna: il processo di Julia Carta, EDES, Sassari 2000.
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et tamen e summo, quasi fulmen, deicit ictos
invidia inter dum contemptim in Tartara taetra
invidia quoniam ceu fulmine summa vaporant
plerumque et quae sunt aliis magis edita cumque
[Lucretius, "De rerum natura", lib. V]