Dizionario di eretici, dissidenti e inquisitori nel mondo mediterraneo
Edizioni CLORI | Firenze | ISBN 978-8894241600 | DOI 10.5281/zenodo.1309444
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María de Cazalla (Palma del Río?, 1487 – Guadalajara?, dopo il 1534) fu una delle figure più note dell’eterodossia spagnola del primo Cinquecento, legata agli ambienti alumbrados ed erasmisti e sottoposta a un lungo processo inquisitoriale tra il 1532 e il 1534.
Biografia
Apparteneva a una famiglia di conversos: lo erano sia il padre Gonzalo Martínez, già riconciliato con l’Inquisizione, sia la madre Isabel de Cazalla. Come i fratelli adottò il cognome materno, che sarebbe poi rimasto segnato nella memoria collettiva da molteplici episodi di sospetto religioso.Suo fratello Juan de Cazalla, frate francescano, fu cappellano del cardinale Francisco Jiménez de Cisneros durante gli anni della riforma osservante e, grazie a quell’incarico, entrò nei circuiti più vicini al potere ecclesiastico e politico. Vescovo titolare di Vera, si distinse come autore della Lumbre del alma (1528), un trattato di spiritualità che rifletteva l’influenza dell’ascetismo francescano e, al tempo stesso, la circolazione di idee nuove, vicine all’erasmismo. Attraverso Juan, María entrò in contatto con i cenacoli di Alcalá, che erano diventati una sorta di laboratorio del pensiero erasmista in Castiglia. Fu lui a introdurla anche nell’orbita dei Mendoza, signori di Guadalajara, presso i quali tanto lui quanto la sorella trovarono protezione e legittimazione. Nel patronato dei Mendoza, la famiglia Cazalla trovò uno spazio di manovra che le permise di inserirsi in quei circuiti in cui l’ansia di rinnovamento religioso conviveva con le ambizioni culturali e sociali delle élites urbane.
Sposata con Lope de Rueda, un cristiano viejo benestante, visse stabilmente a Guadalajara, dove allevò sei figli. Donna colta, padrona di una solida formazione biblica — si disse che leggesse la Scrittura in greco —, coltivò una religiosità che si nutriva di Erasmo e di Valdés, e che non ignorava neppure alcune opere di Lutero, lette forse attraverso l’amicizia con Bernardino de Tovar.
La sua attività pubblica si manifestò soprattutto nella predicazione: nel 1522 parlò a Pastrana, in anni in cui la cittadina era diventata uno dei centri del “dejamiento”. La sua proposta era però diversa da quella di Isabel de la Cruz, che pure influenzò le sue figlie e che ella stessa aveva frequentato. María non si muoveva nella logica della passività mistica, ma in quella dell’interpretazione e della divulgazione: leggeva e commentava la Scrittura, la metteva a disposizione di gruppi femminili, rompeva il monopolio clericale sull’accesso alla parola. In questo senso incarnò una forma di magistero laico ed extraecclesiastico, che dava spazio alle donne e che non poteva non apparire sospetto.
Il processo inquisitoriale
Già nel 1525, con le prime denunce contro gli alumbrados di Guadalajara e Alcalá, il suo nome era comparso nei rapporti inquisitoriali. Ma fu solo nel 1532 che la vicenda prese corpo. Le deposizioni di testimoni come Francisca Hernández e Mari Ramírez, unite a dichiarazioni di ecclesiastici del luogo, riaprirono la questione e condussero al suo arresto. María fu rinchiusa dal tribunale di Toledo e sottoposta a un processo che si protrasse per oltre due anni.
Le imputazioni erano molteplici: le si rimproverava di aver predicato e commentato le Scritture in pubblico, di avere eletto a maestra spirituale Isabel de la Cruz, di aver letto e fatto leggere libri di Erasmo e, per tramite di amici come Bernardino de Tovar, testi di Lutero; di aver esaltato il matrimonio come stato superiore alla verginità e di aver svalutato i riti esteriori, insistendo sul culto “in spirito”. In realtà il processo rifletteva la diffidenza verso una donna che, da laica e sposata, si era permessa di esercitare un magistero religioso e di parlare con libertà in un ambito tradizionalmente riservato agli uomini.
María si difese con notevole abilità. Non negò i libri che l’avevano formata, proclamò la sua ammirazione per Erasmo, ribadì di non essere luterana, ma concesse che, agli inizi, anche Lutero aveva raccolto il consenso di molti cristiani sinceri: un’ammissione che mostrava il clima di incertezza dei primi anni Venti. La sua strategia dialettica consisteva nel trasformare le frasi incriminate in osservazioni compatibili con l’ortodossia, senza rinunciare al senso originario. In questo modo riuscì a neutralizzare l’accusa senza cedere all’abiura totale di sé stessa.
Il 19 dicembre 1534 fu pronunciata la sentenza: dopo trentadue mesi di carcere, María fu riconosciuta solo sospetta de levi ed evitò la pena capitale. Le fu imposta un’abiura pubblica e solenne, ma la sua figura uscì dal processo con un’aura di autorevolezza e resistenza che non passò inosservata.
Fortuna
La figura di María de Cazalla è stata oggetto di letture contrastanti. La storiografia conservatrice e tradizionalista, soprattutto tra Otto e primo Novecento, la presentava come un’eterodossa pericolosa, prossima al luteranesimo e dunque parte di quel fronte che avrebbe potuto destabilizzare la Chiesa spagnola dall’interno. In questa prospettiva, la sua vicenda appariva come un episodio marginale ma sintomatico, da inquadrare nelle deviazioni spirituali che l’Inquisizione ebbe il merito di estirpare.
Gli studi più recenti, a partire da Marcel Bataillon e poi da Milagros Ortega Costa, hanno restituito un’immagine molto diversa. María emerge come una delle voci più originali della spiritualità femminile del Cinquecento, capace di unire la cultura erasmiana della Scrittura, l’esperienza mistica degli alumbrados e le suggestioni provenienti dalla Riforma protestante, senza mai identificarsi interamente con nessuno di questi filoni. La sua vicenda mostra come l’inquietudine religiosa del tempo non fosse monopolio dei teologi o dei frati, ma coinvolgesse anche donne laiche colte e socialmente integrate, in grado di parlare, leggere, discutere e trasmettere testi.
In lei si riflettono alcuni nodi centrali del primo Cinquecento: la riforma “in capite et in membris”, il ruolo della Bibbia e della predicazione laica, la critica al ritualismo e la valorizzazione di un culto spirituale, il dibattito sul matrimonio e la verginità come stati di vita cristiana. Proprio quest’ultimo punto, che anticipava questioni che il Concilio di Trento avrebbe definitivamente regolato, la colloca in un crinale delicato. María di fatto mise in discussione la tradizionale superiorità della vita consacrata rispetto al matrimonio, proponendo un modello che elevava la condizione della donna sposata a luogo di piena esperienza religiosa.
Per questo, nella memoria più recente, María de Cazalla non rappresenta tanto una “eretica mancata” quanto il simbolo di un rinnovamento spirituale femminle che, pur represso, lascia intravedere spazi di libertà in una società rigidamente controllata dalle istituzioni ecclesiastiche.
Bibliografia
- Melquíades Andrés Martín, Los alumbrados de Toledo según el proceso de María de Cazalla (1532-1534), in "Cuadernos de Investigación Histórica", 8, 1984, pp. 75-81.
- Marcel Bataillon, Érasme et l'Espagne, texte établi par Daniel Devoto; edité par les soins de Charles Amiel, Droz, Genève 1991.
- Maria Laura Giordano, María de Cazalla, Ediciones del Orto, Madrid 1998.
- Anne Milhou-Roudie, Hétérodoxie et condition féminine: le cas de María de Cazalla, in Augustin Redondo (a cura di), Images de la femme en Espagne aux XVIe et XVIIe siècles, Publications de la Sorbonne, Paris 1994, pp. 269-278.
- Michele Olivari, La spiritualità spagnola nel primo trentennio del Cinquecento, in "Rivista di storia e letteratura religiosa", 1, 1993, pp. 175-233.
- Milagros Ortega Costa, Proceso de la Inquisición contra María de Cazalla, Fundación Universitaria Española, Madrid 1978.
- José Ignacio Tellechea Idigoras, El arzobispo Carranza. “Tiempos recios”, Publicaciones Universidad Pontificia – Fundación universitaria española, Salamanca, voll. I–IV, 2003–2008.
Article written by Daniele Santarelli | Ereticopedia.org © 2025
et tamen e summo, quasi fulmen, deicit ictos
invidia inter dum contemptim in Tartara taetra
invidia quoniam ceu fulmine summa vaporant
plerumque et quae sunt aliis magis edita cumque
[Lucretius, "De rerum natura", lib. V]