Dizionario di eretici, dissidenti e inquisitori nel mondo mediterraneo
Edizioni CLORI | Firenze | ISBN 978-8894241600 | DOI 10.5281/zenodo.1309444
Giulia Colonna Gonzaga (Gazzuolo 1513 - Napoli, 19 aprile 1566) è stata una nobildonna del Cinquecento sospettata di eresia.
Biografia
Appartenente alla famiglia dei duchi di Sabbioneta, sposò a 13 anni, nel 1526, Vespasiano Gonzaga conte di Fondi, che morì prematuramente, nel 1528.
Governò quindi da sola il suo stato, impegnandosi nel mecenatismo e trasformandolo in un raffinato centro di cultura.
Nel 1535 conobbe Pietro Carnesecchi e Juan de Valdés. Nel 1536 rimase folgorata dalla predicazione quaresimale a Napoli di Bernardino Ochino. La sua conversione ispirò Juan de Valdés nella stesura dell'Alfabeto cristiano, dialogo tra il Valdés stesso e la nobildonna mantovana. Impegnatasi a diffondere la conoscenza delle opere del Valdés, alla sua morte nel 1541 ne ereditò tutti i manoscritti.
Nel 1553, allorché un'indagine inquisitoriale si stava già svolgendo a suo carico, si ritirò in monastero a Napoli. Sempre più sospetta di eresia, la morte, avvenuta nell'aprile 1566, pochi mesi dopo l'elezione di Pio V (gennaio 1566), la sottrasse a conseguenze peggiori. Ma la sua abitazione napoletana fu perquisita e il suo carteggio, sequestrato, fu il capo d'accusa principale della brutale persecuzione di Pio V contro quel che restava del gruppo degli "spirituali", la cui vittima più illustre fu Pietro Carnesecchi, che con la Gonzaga ebbe una fitta corrispondenza.
Bibliografia
- Bruto Amante, Giulia Gonzaga contessa di Fondi e il movimento religioso femminile nel secolo XVI. Con due incisioni e molti documenti inediti, Zanichelli, Bologna 1896.
- Guido Dall'Olio, Gonzaga, Giulia, in DBI, vol. 57 (2002).
- Susanna Peyronel Rambaldi, Una gentildonna irrequieta. Giulia Gonzaga fra reti familiari e relazioni eterodosse, Viella, Roma 2012.
Link
- Scheda su Giulia Colonna Gonzaga sul sito Symogih.org
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et tamen e summo, quasi fulmen, deicit ictos
invidia inter dum contemptim in Tartara taetra
invidia quoniam ceu fulmine summa vaporant
plerumque et quae sunt aliis magis edita cumque
[Lucretius, "De rerum natura", lib. V]