Gamberini, Ginevra

Dizionario di eretici, dissidenti e inquisitori nel mondo mediterraneo
Edizioni CLORI | Firenze | ISBN 978-8894241600 | DOI 10.5281/zenodo.1309444


Ginevra Gamberini, donna, moglie, meretrice e concubina, fu processata dall'Inquisizione di Modena all'inizio del XVII secolo per sortilegi ad amorem.

La storia del processo contro Ginevra Gamberini nasce da una denuncia presentata dal proprio cognato, Benedetto Rubini, al vicario foraneo di San Giovanni in Persiceto, Paolo Castelvetro, il 5 luglio del 1603. In quella sede l'uomo dichiara che, essendo morto suo fratello Orlando – marito di Ginevra –, era andato nella sua casa a Bologna per sgomberarla, ma nel rimuovere la paglia del letto aveva trovato una 'pezza' avviluppata con dentro delle 'pitture' (ossia dei fogli scritti) dove aveva letto «che erano certe diavolarie» (Archivio di Stato di Modena, F. Inq., b. 22/20, fasc. Contra Iuniperam quondam Ioannis Baptistae Gambrini […], p. 7 ), inoltre dentro delle casse appartenenti a Ginevra erano state rinvenute delle fave e un sacchetto di tela con all'interno del carbone, dell'allume di rocca (usato allora 'anche' come emostatico) e dei pezzi di ramo d'olivo. Nel granaio della casa del fratello defunto, racconta Benedetto al vicario, era stato trovato un scaldaletto con dentro un 'pignattino' contenente dell'acqua che emanava uno sgradevole odore; infine la moglie, che lo aveva aiutato a sgombere la casa, aveva trovato in un'altra cassa di Ginevra un sacchetto di sale e un altro involucro di stoffa con all'interno tre fogli di carta con delle scritture, di cui però ignorava il contenuto. L'uomo conclude la deposizione facendo i nomi di tutti i testimoni circa i ritrovamenti fatti durante lo sgombero della casa di Orlando, fra questi c'erano la moglie Giovanna e il cugino Giovanni Maria Rubini; interrogati nei giorni successivi dal vicario, tutti confermarono la deposizione rilasciata da Benedetto Rubini.
Il vicario di San Giovanni in Persiceto, a quel punto, sapendo che Ginevra si era trasferita a Finale, località nei pressi di Modena, invia tutti gli atti processuali, il 24 agosto dello stesso anno, all'inquisitore di suddetta città, nel rispetto dei confini giurisdizionali e per procedere contro la donna.
Arcangelo Calbetti da Recanati, l'inquisitore di Modena, lette le deposizioni inviate, decide di emanare un mandato di cattura nei confronti di Ginevra, l'8 novembre del 1603, eseguito da Giovanni Battista de Gatti, il vicario del Sant'Uffizio di Finale; la donna viene infatti arrestata e portata nelle carceri della sede inquisitoriale modenese.
Il primo interrogatorio contro Ginevra si tiene alcuni giorno dopo, il 22 novembre, e alle consuete domande dell'inquisitore sulla sua identità, la donna risponde di essere figlia del defunto Giovanni Battista Gamberini, di essere nata a Longara, località appena fuori Bologna, di essere vedova di Orlando Rubini e che al momento abitava a Finale con un signore, Giovanni Francesco de Vecchi. Ginevra, incalzata dalle domande dell'inquisitore, inizia a narrare diversi particolari della sua vita: era madre di una bambina di 7 o 8 anni circa; a volte, con il consenso dello stesso marito, intratteneva degli uomini, a parole sue, facendogli «carezze e cortesie» (Ivi, p. 48); il marito era stato ferito a morte in sua presenza l'estate passata e l'assassino, per evitare che la donna testimoniasse, l'aveva nascosta in casa di amici, per poi farla andare via da Bologna. Ginevra si era infatti recata a Modena per alcuni giorni, lasciando la figlia con i cognati, e successivamente aveva preso dimora a Finale. L'inquisitore, tuttavia, inizia a indagare sulle deposizioni fatte dai parenti a San Giovanni in Persiceto e sugli allegati acclusi; sottopone Ginevra a domande mirate circa il materiale ritrovato nelle sue casse, ma la donna dichiara inizialmente di essere all'oscuro del contenuto. Arcangelo Calbetti, spazientito, inizia a mostrare gli allegati alla donna, in particolare gli involucri contenenti le fave, il sale e tutto il materiale portato dal cognato, comprese le scritture sospette e a quel punto Ginevra decide di parlare. La donna spiega che gran parte di quel materiale lo aveva portato in casa sua un prete, Giacomo Lodovisi da Bologna, la scorsa pasqua in quanto era interessato a una donna e voleva sapere se anche lei gli voleva bene; il religioso le aveva chiesto le fave, i bastoncini di olivo e tutto il resto che era stato ritrovato nella sue casse. Ginevra dichiara che i sortilegi erano stati eseguiti dal prete, fra l'altro senza aver sortito alcun effetto, e lei si era limitata a riporre il tutto nelle casse una volta terminata l'operazione; inoltre – continua la donna – non aveva assistito personalmente alle pratiche. Per quanto riguarda i fogli scritti, Ginevra racconta di averli portati a casa una sera il marito e, senza spiegare di cosa si trattasse, le aveva detto di nasconderli bene; la sera stessa prima di andare a dormire la donna li aveva posti sotto il letto (il «pagliarizzo»). Ginevra continua le sue deposizioni evitando di ammettere un suo diretto coinvolgimento nelle accuse estrapolate dalle deposizioni e a ogni lettura di atti che la indicano come protagonista di orazioni e sortilegi, la donna rimanda ad azioni di terzi o a situazioni a lei estranee. Ginevra, tra un interrogatorio e l'altro, si ammala e per alcuni giorni viene lasciata in carcere, ma nel frattempo il vicario di San Giovanni in Persiceto invia all'inquisitore di Modena altre deposizioni rilasciate dai parenti contro la donna. L'interrogatorio riprende il 10 dicembre dello stesso anno, e nei nuovi atti ci sono deposizioni che coinvolgono anche la figlia, da cui si evince che la madre le ungeva la mano, le inseriva delle candele fra le dita e le faceva gettare delle fave a mo' di pronostico, ma la donna nega tutto con grande fermezza, anzi aggiunge: «la mia puttina è di sette o otto anni e dice quello che gli fanno dire e son mal voluta et odiata e faccino mó loro che son padroni» (Ivi, p. 48). L'affermazione di Ginevra, d'altra parte, trova conferma nella prima denuncia da parte del cognato al vicario di San Giovanni in Persiceto; alla domanda del ministro del Sant'Uffizio circa i rapporti che intercorreva fra la sua famiglia e quella del fratello, Benedetto aveva risposto che non erano più in contatto a causa del suo “discutibile” modo di vivere, «per la sua mala vita che teneva» (Ivi, p. 13). Giovanna, la moglie di Benedetto, aveva usato le stesse parole, ma riferendosi a Ginevra. Tuttavia gli interrogatori procedono e, alle ripetute domande dell'inquisitore circa i presunti sortilegi ad amorem, Ginevra continua a negare il suo coinvolgimento e la sua pratica con queste cose. Il 18 dicembre viene proposto alla donna, come consuetudine della prassi inquisitoriale, un avvocato d'ufficio, ma Ginevra lo rifiuta rimettendosi alla “misericordia” dell'inquisitore. Il giorno dopo, il 19 dicembre del 1603, iniziano le sedute di tortura della “corda”, la donna viene sottoposta per tre volte agli strattoni della fune, ma senza arrivare a una dichiarazione di colpevolezza. Ginevra è infatti condannata a delle pene salutari, consistenti in un periodo di alimentazione a base di pane e acqua, alla recita quotidiana della corona della Beata Vergine per tre mesi, e, nella pasqua successiva, alla recita di cinque Pater Noster e cinque Ave Maria, in ginocchio, davanti a un'immagine sacra.

Tuttavia alcuni punti di questo processo presentano delle anomalie.
La donna sia sotto interrogatorio che sotto tortura, anche pesante («nostra donna accettami che sono morta» dirà più volte Ginevra nell'ultima seduta di tortura) nega ogni suo diretto coinvolgimento nelle pratiche ad amorem, viene infatti condannata in base alle denunce e agli allegati (Ivi, p. 59).
L'ostilità dei cognati verso Ginevra, comprovata dalle deposizioni rilasciate al vicario di San Giovanni in Persiceto, trova una sua valvola di sfogo dopo appena due giorni dalla morte di Orlando, il marito della donna, un uomo – in una società prevalentemente maschilista – che avrebbe potuto prendere le sue difese. Dopo appena due giorni, infatti, Benedetto denuncia Ginevra al vicario del Sant'Uffizio di San Giovanni in Persiceto, sulla base dei ritrovamenti fatti nella casa della donna; in circostanze di normali rapporti di parentela, con molta probabilità, la vicenda non sarebbe finita nel tribunale dell'Inquisizione.
Ginevra depone che le scritture ritrovate sotto il letto di casa le aveva portate una sera il marito e che Orlando, interrogato dalla moglie in proposito, non le aveva spiegato in cosa consistessero. C'è qualcosa di verosimile nella deposizione di Ginevra: di fatto, leggendo i testi posti in allegato come prova contro la donna, risulta evidente che si tratta di scritture destinate a uomini, per “farsi voler bene”dalle donne. «Per farsi voler bene alle donne e chiavarle» è intitolato uno dei fogli messi agli atti (Ivi, p. 64). Tuttavia, la questione ancor più significativa, è che le scritture “sortileghe” sono composte – in modo anche elaborato – parte in volgare e parte in latino, ma Ginevra non sa né leggere né scrivere, il dato è comprovato dalla firma che appone sugli atti processuali: una croce… «confirmavit signo crucis cum nesciret scribere» (Ivi, p. 36). Ma la “giustizia” ancora una volta aveva fatto il suo corso.

Bibliografia

  • Laura Bandini, Aurelia Casagrande, Carla Righi, Ammaliatrici e malefiche tra Crevalcore e Persiceto, in Patrizia Cremonini (a cura di), Misfatti di confine tra '500 e '700. La lunga mano dell'inquisizione modenese su terre bolognesi, Maglio editore, Modena 2014, pp. 58-73, in part. pp. 59-62
  • Gian Luca D'Errico, I sortilegi, in Umberto Mazzone, Claudia Pancino (a cura di), Sortilegi amorosi, materassi a nolo e pignattini. Processi inquisitoriali del XVII secolo fra Bologna e il Salento, Carocci, Roma 2008, pp. 119-170.
  • Gian Luca D'Errico, Fra "cielo e terra". Inquisizione romana e disciplinamento della società in Età moderna, in Grazia Biondi, Patrizia Cremonini (a cura di), Eresie e magie tra Modena e Bologna. Il Tribunale dell'Inquisizione di Modena e il controllo della fede sul territorio in età di Controriforma, Maglio editore, Modena 2015, pp. 50-57
  • Maria Pia Fantini, La circolazione clandestina dell'orazione di santa Marta, in Gabriella Zarri (a cura di), Donna, disciplina, creanza cristiana dal XV al XVII secolo, Edizioni di Storia e Letteratura, Roma 1996

Link

Article written by Gian Luca D'Errico | Ereticopedia.org © 2016

et tamen e summo, quasi fulmen, deicit ictos
invidia inter dum contemptim in Tartara taetra
invidia quoniam ceu fulmine summa vaporant
plerumque et quae sunt aliis magis edita cumque

[Lucretius, "De rerum natura", lib. V]

thumbnail?id=1_usu8DkYtjVJReospyXXSN9GsF3XV_bi&sz=w1000
The content of this website is licensed under Creative Commons Attribution 4.0 International (CC BY 4.0) License