Calbetti, Arcangelo

Dizionario di eretici, dissidenti e inquisitori nel mondo mediterraneo
Edizioni CLORI | Firenze | ISBN 978-8894241600 | DOI 10.5281/zenodo.1309444


Arcangelo (o Angelo) Calbetti da Recanati è stato un inquisitore domenicano.

Fu inquisitore di Modena dal 9 novembre 1600 al 5 aprile 1607, data in cui si trasferì a Piacenza. Fu inquisitore di Piacenza nel 1607-08, poi Inquisitore ad Ancona (dal 1609 al 1611), infine a Bergamo, dal 1617 al 1619.
Da atti dell’Archivio di Stato di Modena (una lettera del 27 ottobre 1612 indirizzata al Duca Cesare d’Este) apprendiamo dalla sua firma, che …P.Arcang. Calbetti, fu priore del Convento di S. Domenico a Bologna - come viene esplicitato dalla Cancelleria Ducale all’atto della ricezione della sua missiva – e confermato dalla firma apposta in calce ai resoconti dei Consigli del Convento, agli atti del Liber Consiliorum conservati nell’Archivio Storico del Convento di San Domenico a Bologna, il che comproverebbe, che prima del suo ultimo incarico di Inquisitore a Bergamo, fu Priore dei Domenicani a Bologna.
La sua attività inquisitoriale a Modena è molto ben documentata negli atti del Fondo archivistico del Tribunale dell’Inquisizione di Modena, come denota il suo carteggio con la Sacra Congregazione di Roma, le minute delle sue lettere agli altri Inquisitori, con i suoi Vicari foranei e con il Maestro del Sacro Palazzo a Roma, per quanto era attinente ai problemi della censura libraria.
Padre Arcangelo Calbetti da Recanati, articolò e mise in piedi una moderna ed efficiente struttura inquisitoriale a Modena - diventata dal 1598 capitale degli stati Estensi, dopo la devoluzione di Ferrara alla Santa Sede e sede generale di un Tribunale dell’ Inquisizione; infatti negli anni precedenti dipendeva da Ferrara e da un Vicario, e vi mostrò appieno le sue migliori qualità di zelo e scrupolosa vigilanza innervandola giuridicamente al territorio, ampliandola nella sua sede urbanistica, allacciando rapporti di equilibrio con l’autorità politica del Duca Cesare d’Este e con la sua corte, ed infine teorizzando la prassi dei compiti e delle funzioni del buon Inquisitore. Norme che investivano anche i suoi collaboratori extra-territoriali (Vicari foranei) come enunciò in un agile compendio inquisitoriale la Sommaria Instruttione del M.P.R. Fr.Arcangelo Calbetti da Recanati…ai suoi RR.Vicari del 1604 - contenuta nel testo Scriniolum Sanctae Inquitionis Astensis dell’Inquisitore di Asti Giovan Battista Porcelli, conservata alla Biblioteca Casanatense di Roma - che gettò le basi della manualistica inquisitoriale, prima versione di un prontuario per Vicari alla base dell’opera del suo successore, p. Michelangelo Lerri,autore a sua volta di un fortunato compendio Breve informatione del modo di trattare le cause del S .Officio (1608), felici prototipi di un genere letterario di ampia diffusione nel corso del sec. XVII.
Sempre lo stesso Calbetti ci ha lasciato nel dettagliato e corposo Inventario, che alla fine del suo mandato,al momento della sua dipartita per la sede di Piacenza, inviò alla Sacra Congregazione di Roma, un elenco-testamento delle opere fatte – dall’ ampliamento della fabbrica del S. Officio, all’apporto economico e all’organizzazione materiale dato all’Ufficio, che diventa una memoria del suo impegno nell’erigere e sviluppare la novella sede inquisitoriale di Modena con moderno piglio manageriale.
Il nuovo Tribunale dell’Inquisizione nacque all’insegna dell’equilibrio dei poteri politici, laico ed ecclesiastico, conformandosi a modelli già adottati nello Stato dei Farnese e dei Gonzaga, stabilì un modus vivendi di pacifica convivenza fra autorità laiche ed ecclesiastiche, senza permettere intromissione laddove ledeva il potere concesso all’Inquisitore dal Papa.
Tutto ciò gli permise di elaborare un’accorta strategia, incardinata su alcune direttrici:
1) aumentare le entrate del S. Uffizio, con pressanti richieste formulate a Roma, fornite poi da altre sedi inquisitoriali più ricche (come Bologna),
2) gestire dei processi contro alcune ricche famiglie ebraiche di Modena (i Sanguineti) infliggendo vantaggiose pene pecuniarie, investite in parte nella ristrutturazione dell’edificio del S. Uffizio e nell’ampliamento delle carceri, nonchè a beneficio di opere pie della città, con la collaborazione del Vescovo,
3) dopo la pacificazione sociale, fece seguire una strategia di ampliamento e consolidamento della giurisidizione inquisitoriale su altre terre del Ducato – Carpi, Nonantola e la Garfagnana – con la costituzione di due Vicarie foranee nella Diocesi di Lucca e Sarzana. A completare il radicamento dell’Inquisizione nel territorio, vi impiantò un reticolo di Vicarie foranee,utilizzando le preesistenti Vicarie foranee Vescovili, ma con esse non coincidenti, come strutture di intervento locale che toccarono anche zone ai margini del territorio e piccole parrocchie sia montane che della campagna.
Anche la sua attività processuale fu intensa, quantitativamente doppia rispetto al periodo precedente; la casistica delittiva ricalcava la vasta tipologia delle superstitiones e della blasphemiae ereticales, come documentano le 20 buste dei suoi processi nell’Archivio del Tribunale.
Uno dei primi problemi che dovette affrontare il Calbetti nel suo compito di censore, fu la censura dei libri ebraici, dal momento che la caccia al libro ebraico era diventato il primo campo di intervento. La norma generale imponeva agli Ebrei di ripulire i loro libri da espressioni reputate ingiuriose verso la fede cristiana; mentre in alcune città limitrofe - Reggio, Mantova, Cremona - si faceva appello all’opera di correttori ed espurgatori (come Frate Luigi da Bologna, converso Domenicano che fu attivo fino al 1600 a Modena e Reggio), la Sacra Congregazione impose ad un certo punto agli Ebrei di Carpi e di Modena l’autoespurgazione dei loro testi; alle loro giuste rimostranze (documentate da atti d’archivio) impose al Calbetti, di promulgare un Editto per l’osservanza del decreto, affinché non si adducesse l’ignoranza come scusa. Ma se la posizione ufficiale del Calbetti fu ligia agli ordini imposti, non lesinò (con lettera del 20 luglio 1603) ad appoggiare le proteste degli Ebrei modenesi e richiedere l’ausilio di correttori per la corretta espurgazioni dei loro libri.
L’opera di comunicazione del Calbetti sulle attività da espletarsi nei “negotij del S.Ufficio con decoro e maestà convenevoli” fu teorizzata nella ‛Sommaria Instruttione …ai suoi Vicarii della S. Inquisitione di Modena’ (1604), compendio per i Vicari foranei, una delle prime teorizzazioni del modo di formare i processi, diretta ad un corpus di collaboratori in maniera semplice, chiara ed efficace, formulata nella lingua d’uso (il volgare) e antesignana di tutti i compendi per Vicari che seguirono in tutto il sec. XVII, il più felice esito della manualistica inquisitoriale.
L’opera ebbe delle formulazioni manoscritte in due codicetti conservati nell’archivio modenese del Tribunale, che anticipavano temi poi più estesamente trattati nel compendio a stampa, a beneficio dei Vicari, che dovevano istruire in modo corretto le cause che sarebbero poi state completate dall’Inquisitore in città. Fu poi incapsulata nella più fortunata opera del suo successore nel Tribunale modenese, p. Michelangelo Lerri, la nota Breve informatione del modo di trattare le cause del S.Officio per li molto reverendi Vicarii della Santa Inquisizione istituiti nella Diocesi di Modena del 1608, che era la codificazione definitiva delle regole del funzionamento del sistema delle Vicarie foranee organizzate dal Calbetti. È divisa in 4 parti: la parte prima, Del modo di cominciare i processi; la parte seconda, Del modo di formare le citazioni, precetti e decreti; la parte terza, Avvertimenti in materia de libri proibiti, sospesi; la parte quarta, Alcuni ordini ricevuti dalla Sacra Congregazione di Roma; le prime due parti fornivano un prontuario ad uso giuridico sul modo di formare correttamente i processi e riportavano alcuni formulari per formare i decreti e i precetti, che fossero di ausilio ai Vicari per impostare correttamente il processo e raccogliere gli indizi e le testimonianze. La terza invece era dedicata ai libri proibiti, vi si ricordavano i decreti di censura e forniva un elenco delle orazioni e delle historie ed officioli da proibire accanto ad alcune categorie di opere (come quelle del Du Moulin) particolarmente perniciose. Ma era soprattutto il magma di quella tipologia di opere che venivano liquidate come ‛historie prohibite’ ad essere colpite dal divieto poichè viste dalla Chiesa quale diffusione di orazioni e forme di culto superstizioso. Il Calbetti recepì l’indirizzo della Congregazione, che faceva fatica a districarsi in questa incalzante marea di opere contenenti «cose false, superstiziose, apocrife e lascive» che proliferava in forma manoscritta e a stampa, in fogli volanti e in altre forme tipografiche di facile smercio e diffusione e lasciava agli Inquisitori delle sedi locali il compito di attivarsi nelle proibizioni, visto che costituivano la materia di tanti processi che venivano istruiti nei fori locali, apparentati al più vasto crimine della superstizione. Il Calbetti redasse nel suo compendio una lista di orazioni proibite, che, da 28 nel suo elenco, proliferarono nelle successive edite da altri Inquisitori (Lerri, Masini) che se ne servirono per ampliarla in parallelo alla crescita della produzione editoriale; non a caso liste di orazioni proibite furono poi pubblicate in forma autonoma fino al sec. XVIII e stampate al di fuori dagli indici di Libri proibiti.
Gli atti archivistici modenesi illuminano anche sui rapporti con il Maestro del Sacro Palazzo, Giovanni Maria Guanzelli da Brisighella, ed evidenziano lo scrupoloso impegno del Calbetti nell’applicare le norme dell’Indice Clementino, nonché le direttive imposte dalle lettere circolari inviate dalla Sacra Congregazione alle sedi, in un momento storico, che vedeva regnare una certa confusione di competenze fra le due Congregazioni di Roma, del S.Uffizio e dell’Indice. Infatti ai primi anni del ‘600 si ipotizzò di affidare ad un autorità ‛altera’ il compito di dirimere le controversie espurgatorie ed emanare un Indice espurgatorio compito affidato poi al Maestro del Sacro Palazzo Giovanni Maria Guanzelli di Brisighella, cui si demandò la questione. Il carteggio intercorso fra il Calbetti e il Guanzelli (documentati da atti d’archivio) coglie questo momento di impasse nell’attività espurgatoria, i dubbi del Calbetti in materia - a proposito della opere del modenese Ludovico Castelvetro rivolse molte sollecitazioni al riguardo per la rapidità delle espurgazioni - le difficoltà del Brisighella, che si muoveva in un territorio infido e contradditorio ed esalta la loro amicizia (come traspare dalle lettere) tanto da indurre il Guanzelli ad inviare a Modena i due editti che aveva promulgato stampati a Roma, rispettivamente nel 1603 e nella riedizione del 1605, e persino una copia dell’Indicis librorum expurgandorum, Tomus primus del 1607, che l’Indice dopo un anno ritirò dalla circolazione.
L’ultimo editto del Calbetti (che si rinviene fra quelli modenesi) è del 1606, relativo all’Interdetto papale contro Venezia, che lo vede schierato apertamente a fianco della Chiesa Romana, anzi suo paladino nella battaglia dell’ortodossia cattolica. L’occasione fu l’editto promulgato dalla Sacra Congregazione il 20 settembre 1606, ristampato a Modena dal Calbetti il 3 ottobre 1606, che vedeva il Papato contro Venezia in merito ai diritti della Chiesa e dello Stato; mentre le parti sostenevano la loro causa davanti al tribunale dell’opinione pubblica con opuscoli e trattati di ampia diffusione, in quella che fu detta ‛la guerra delle scritture’, scendeva in campo la più selezionata intelleghentia del tempo (Paolo Sarpi, Cesare Baronio, Roberto Bellarmino, Antonio Possevino) per porre il problema della censura in una prospettiva storico-politica e segnare un momento che voleva legittimare una legislazione della stampa non condizionata dalle ingerenze romane.
Quando nel 1607 il Calbetti lasciò l’incarico di Inquisitore a Modena potè dire, con giusto e incontestabile orgoglio, «ho condotto a quest’hora la giurisdizione del S. Officio di termine tale, che, qualunque Inquisitore che venga dopo di me potrà (come poss’io) esercitare l’officio suo liberamente»; giudizio che gli storici successivi hanno poi pienamente convalidato.

Bibliografia

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  • Albano Biondi, La «Nuova Inquisizione» a Modena. Tre Inquisitori (1598-1607) in «Città italiane del ‘500 tra Riforma e Controriforma», Atti del Convegno internazionale di Studi (Lucca, 13-15 ottobre 1983), Lucca, Pacini-Fazzi, 1988 pp. 61-76.
  • Albano Biondi, Gli ebrei e l’Inquisizione negli Stati Estensi, in L’Inquisizione e gli Ebrei in Italia, a cura di Michele Luzzatti, Roma-Bari, Laterza, 1994 pp. 265-285.
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  • Gigliola Fragnito, Proibito capire. La Chiesa e il volgare nella prima età moderna, Bologna, Il Mulino, 2005, pp. 122-128.
  • Elisa Rebellato, La fabbrica dei divieti. Gli indici dei libri proibiti da Clemente VIII a Benedetto XIV, Milano, Sylvester Bonnard, 2002, pp. 72-78.
  • Laura Roveri, Calbetti, Arcangelo, in DSI, vol. 1, p. 244.

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Article written by Rosa Lupoli | Ereticopedia.org © 2016

et tamen e summo, quasi fulmen, deicit ictos
invidia inter dum contemptim in Tartara taetra
invidia quoniam ceu fulmine summa vaporant
plerumque et quae sunt aliis magis edita cumque

[Lucretius, "De rerum natura", lib. V]

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