Dizionario di eretici, dissidenti e inquisitori nel mondo mediterraneo
Edizioni CLORI | Firenze | ISBN 978-8894241600 | DOI 10.5281/zenodo.1309444
Francesco Meca, originario di Oneglia, fu processato per eresia tra 1586 e 1588. Le accuse mosse contro di lui erano di estrema gravità e, suggerendo che si trattasse di un eretico radicale antitrinitario, includevano il rifiuto di alcuni dei fondamenti della fede: la negazione della Trinità, della divinità di Cristo e della presenza reale del corpo e sangue di Cristo nell’eucaristia.
Francesco Meca era stato arrestato dai militi sabaudi su richiesta del vescovo di Albenga. Sebbene Oneglia fosse sotto il dominio dei Savoia, ricadeva sotto la giurisdizione dell'Inquisizione di Genova. Nel 1588, su ordine da Roma della Congregazione del Sant'Uffizio cui il caso era stato segnalato, l'imputato fu trasferito dalle carceri vescovili di Albenga nelle carceri inquisitoriali di Genova.
Il 6 luglio del 1588 la Congregazione del Sant'Uffizio esaminò di nuovo il caso e da Roma fu scritto all'Inquisizione di Genova di accertare la lucidità dell'imputato, che dichiarò anche di essere amico di un ebreo, suggerendo che Meca abiurasse de formali le sue opinioni eretiche e fosse condannato a penitenze salutari.
Bibliografia
- Paolo Fontana, I confini della Repubblica e i confini della fede. Eresia e inquisizione nella Repubblica di Genova tra XVI e XVII secolo tra centro e periferia, in Controllare il territorio. Norme, corpi e conflitti tra medioevo e prima guerra mondiale, a cura di Livio Antonielli e Stefano Levati, Rubbettino, Soveria Mannelli (CZ) 2013, pp. 469-488.
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et tamen e summo, quasi fulmen, deicit ictos
invidia inter dum contemptim in Tartara taetra
invidia quoniam ceu fulmine summa vaporant
plerumque et quae sunt aliis magis edita cumque
[Lucretius, "De rerum natura", lib. V]