Valentini, Bonifacio

Dizionario di eretici, dissidenti e inquisitori nel mondo mediterraneo
Edizioni CLORI | Firenze | ISBN 978-8894241600 | DOI 10.5281/zenodo.1309444


Bonifacio Valentini (Modena, 1501 ca. – presumibilmente Modena, post 21 giugno 1559) è stato un prevosto e canonico tesoriere della cattedrale di Modena, perseguitato dall’Inquisizione romana a causa della sua dubbia ortodossia confessionale.

Definizione della figura di Bonifacio Valentini

L’analisi delle numerose fonti storiche giunte fino a noi, riguardanti Bonifacio Valentini, permette di fissare la nascita di quest’ultimo intorno ai primi anni del XVI secolo ed inoltre è possibile individuare i genitori del Nostro in Francesco Valentini ed in una delle figlie di Giovanni Calori, i quali appartenevano a due tra le più influenti famiglie della Modena cinquecentesca; l’appartenenza ad un lignaggio così prestigioso, i cui membri ricoprivano importanti uffici all’interno delle istituzioni cittadine, rese agevole l’inserimento in società del giovane Bonifacio che si guadagnò ben presto l’incarico di canonico della cattedrale.
Il ritratto del Valentini, che risulta dalle testimonianze pervenuteci, è quello di un uomo ben lontano dall’essere un retto ecclesiastico dedito alla riflessione teologica: egli veniva descritto come un individuo caratterizzato da quella degenerazione morale, frequente nel clero cinquecentesco, contro la quale hanno rivolto le proprie invettive i riformatori religiosi del tempo.
Nella Cronaca modenese di Tommasino Lancellotti sono reperibili numerosi episodi della vita del canonico geminiano, e, trovandosi a rileggere quei passaggi, non si avverte la sensazione di avere a che fare con un integerrimo uomo di chiesa: frequenti alterchi, tanto da sfociare in aggressioni fisiche nei suoi confronti, interessi decisamente mondani (si pensi che il canonico celebrò la sua prima messa solamente nel 1548, alfine di ottenere ulteriori benefici ecclesiastici), feste e ricevimenti con le più influenti personalità cittadine del tempo, dove il gioco d’azzardo era l’abitudine, sembrano essere tratti distintivi di quella che fu l’esistenza di Bonifacio Valentini.
La lista di esempi di scarsa moralità riguardanti il prevosto modenese si può ancora allungare con il tentativo di quest’ultimo di sviare dagli studi il giovane Filippo Valentini, introducendolo ai passatempi poco edificanti nei quali si dilettava, oppure ricordando che Bonifacio cercò di spacciarsi, in una lettera inviata al governatore di Modena Francesco Villa, in data 28 dicembre 1544, come autore de Il principe fanciullo, trattato composto invece dal cugino Filippo; tuttavia, la figura di Bonifacio Valentini non si può ridurre solamente a quella di uno sconsiderato rampollo di un’insigne famiglia modenese, infatti, egli ebbe un importante ruolo all’interno della vita religiosa della sua città, diventando una delle guide dei canonici della cattedrale nello scontro portato avanti da questi ultimi contro il vescovo Giovanni Morone ed i suoi progetti riformatori della Chiesa geminiana.
Nei decenni precedenti alla grande sistemazione cattolica del Concilio di Trento, era possibile scorgere le prime tracce di rinnovamento della Chiesa in alcune personalità che anticiparono i tempi, introducendo innovazioni che saranno in seguito definite più precisamente dall’assemblea tridentina: tra queste figure riformatrici si trovava il vescovo veronese Gian Matteo Giberti ed è quest’ultimo che ispirò Giovanni Morone per il suo progetto di ammodernamento della diocesi di Modena; l’episcopo di Verona fece della sua presenza stabile in città uno dei punti di forza del proprio disegno d’innovazione, inoltre egli puntò su di un maggior disciplinamento del clero e cercò di eliminare, o perlomeno di regolamentare, la miriade di benefici ed autonomie dei quali godevano gli appartenenti al clero locale: il vescovo Morone trovò le maggiori difficoltà della sua opera innovatrice proprio nel tentativo di far valere il potere episcopale sugli ecclesiastici cittadini, ed in particolar modo nei confronti dei canonici della cattedrale.
La rivendicazione della supremazia vescovile, perseguita da Giovanni Morone, andava a ridimensionare il ruolo di numerose famiglie di spicco della città estense, i cui esponenti monopolizzavano il capitolo del duomo di Modena: come ricordato, Bonifacio Valentini fu una delle figure che più si spese nella difesa delle autonomie del clero locale, battaglia che all’ombra della Ghirlandina significava anche la protezione della situazione privilegiata di diversi lignaggi urbani.
In una realtà come quella della Modena tra gli anni Trenta e Quaranta del XVI secolo, così effervescente dal punto di vista confessionale, le aspre controversie fin qui descritte non potevano che implicare anche risvolti legati all’interpretazione religiosa: Bonifacio Valentini, definito da Giovanni Morone, negli interrogatori del suo processo inquisitoriale, come l’unico nemico che ha avuto durante il suo ufficio pastorale geminiano, si pose alla testa di una parte del capitolo del cattedrale e cercò d’introdurre in duomo alcune modifiche liturgiche di derivazione riformata, come l’abolizione del culto dei santi e di preghiere tipiche del rito romano.
Il vescovo Morone, spesso lontano dalla sua diocesi a causa degli importanti incarichi diplomatici affidatigli da papa Paolo III, veniva costantemente informato da Giovanni Domenico Sigibaldi, suo vicario in città, a proposito dei numerosi focolai ereticali presenti all’ombra della Ghirlandina e nelle lettere di quest’ultimo compare spesso il nome di Bonifacio Valentini, che viene descritto come un individuo contraddittorio, opportunista e solito a mascherare, dietro un’apparente adesione alla religione tradizionale, un’accettazione delle dottrine riformate.
Gli esempi di quanto riportato dalle missive del Sigibaldi, a proposito dell’accoglimento del messaggio eterodosso da parte del prevosto, non mancano: il canonico era vicino a membri del circolo ereticale dell’Accademia, difese apertamente il dissidente religioso Giovanni Bertari contro le accuse che gli furono mosse dai domenicani modenesi, frequentava stranieri i quali propagandavano le idee riformate nella città estense, figurava nella lista dei riconciliati privatamente da Egidio Foscarari, successore di Giovanni Morone nella diocesi emiliana, e sono numerose le testimonianze processuali che lo dipingevano come un luterano convinto, tanto da possedere diversi libri proibiti; al tempo stesso sono altrettanto copiose le prove del comportamento doppiogiochista del Valentini, giacché egli, nel 1541, chiese l’autorizzazione alla Penitenzieria apostolica per leggere e confutare testi luterani, e, nel 1542, per riabilitare la propria dubbia posizione confessionale, prima si liberò dei libri sospetti che possedeva e poi, in settembre, sottoscrisse il formulario di fede moroniano, proposto agli eretici modenesi nel tentativo di pacificare la città dal punto di vista religioso.

Traversie giudiziarie del Valentini per via della sua eterodossia

Il formulario di fede del vescovo Giovanni Morone si rivelò un fallimento, giacché il reintegro, nell’alveo della Chiesa cattolica dei dissidenti religiosi geminiani, fu solamente formale e non sostanziale, cosicché in città si configurò un tipo di adesione agli ideali riformati piuttosto sfuggente e ben lontana dalle sfacciate manifestazioni confessionali dell’Accademia: questo modo di vivere la fede fu adottato dalle conventicole dei cosiddetti Fratelli modenesi; il moderato papato di Giulio III e l’ancor più permissivo ufficio pastorale di Egidio Foscarari tollerarono questa situazione negli anni Cinquanta del XVI secolo, ma le cose cambiarono notevolmente con la salita al soglio pontificio del cardinale Gian Pietro Carafa, massimo esponente della corrente intransigente.
Paolo IV, pochi mesi dopo la sua elezione, ordinò al duca Ercole II d’Este, con il breve del 1°ottobre 1555, l’estradizione verso Roma d’importanti figure del dissenso religioso presente all’ombra della Ghirlandina, con lo scopo processarle davanti all’Inquisizione dell’Urbe: Ludovico Castelvetro, Filippo Valentini, Antonio Gadaldino e Bonifacio Valentini, il quale aveva continuato la sua vita fatta di scarsa moralità e dubbia ortodossia anche negli anni del governo diocesano di Egidio Foscarari, furono i nomi espressamente richiesti da papa Carafa.
La richiesta di estradizione, che era pervenuta al duca estense, scatenò un’ondata di polemiche nella comunità geminiana, tanto che le magistrature cittadine protessero i quattro convocati poiché il breve pontificio veniva visto come un’intollerabile intromissione giurisdizionale: i Conservatori, massimi rappresentati urbani, sostenevano che Modena aveva già subito l’onta di essere considerata un luogo infestato dall’eresia, venendo poi pacificata dal punto di vista confessionale dal formulario di fede moroniano, inoltre il consiglio cittadino ricordava come non vi fosse alcuna motivazione plausibile per estradare i quattro giacché all’ombra della Ghirlandina si trovassero tutti gli uffici giudiziari, compresa la locale sede dell’Inquisizione, necessari a procedere contro i presunti rei.
Il braccio di ferro tra le autorità modenesi e Roma, con il duca di Ferrara a fare da mediatore tra le parti, si trascinò per i successivi mesi: Ercole II, interessato anch’egli a difendere l’indipendenza giurisdizionale dei suoi territori dalle intromissioni esterne, protesse nascostamente i ricercati dall’Inquisizione, tuttavia Bonifacio Valentini, l’unico ecclesiastico del gruppo e per questo motivo più sensibile agli ordini pontifici, si presentò spontaneamente alle autorità papali di Bologna nel maggio 1557; la decisione del canonico modenese di costituirsi era sintomo anche delle difficoltà incontrate dal duca nel proteggere un personaggio come il Valentini, che con il suo comportamento trasformista era inviso a gran parte dei maggiorenti della città geminiana.
La scelta del prevosto modenese di presentarsi di sua spontanea volontà nella sede bolognese dell’Inquisizione, probabilmente per ottenere uno sconto di pena, non sortì gli effetti sperati, infatti, quest’ultimo venne immediatamente trasferito a Roma, dove divenne oggetto di un procedimento giudiziario davanti al Sant’Uffizio della città eterna; il processo subito da Bonifacio Valentini fu piuttosto rapido, poiché già in data 6 marzo 1558 egli era costretto ad abiurare le proprie idee in materia di fede nella chiesa romana di Santa Maria sopra Minerva, inoltre la condanna nei confronti del canonico prevedeva che il medesimo atto pubblico di ripudio delle sue convinzioni religiose fosse ripetuto anche davanti ai suoi concittadini, cosa che avvenne il 29 maggio seguente nella cattedrale di Modena.
Bonifacio Valentini, rientrato nella sua natia città, non dovette subire solamente l’onta di sconfessare pubblicamente le proprie posizioni confessionali, le quali comprendevano molti punti tipici del messaggio riformato come il rifiuto del libero arbitrio, il raggiungimento della salvezza mediante la sola fede, la negazione del potere papale e l’inutilità del culto santi, ma egli fu anche costretto, dall’Inquisizione romana, a portare l’infamante abitello dell’eretico, gli fu imposto il carcere perpetuo nel palazzo vescovile modenese, oltre che l’inibizione ad esercitare ogni ufficio ecclesiastico, cosa che significava anche la revoca dei suoi benefici di derivazione clericale.
Le più tarde informazioni giunteci sul conto del prevosto sono ancora indicative del carattere calcolatore di quest’ultimo, infatti, pochi mesi dopo l’abiura nel duomo cittadino, egli si riavvicinò sensibilmente alla Chiesa cattolica e cercò, tramite i gesuiti, di temperare le pene che gli erano state inflitte, in particolar modo l’obbligo di portare l’ignominiosa veste che segnalava i dissidenti religiosi: la causa del Valentini venne perorata da Diego Lainez, generale della compagnia di Gesù, presso il cardinale Michele Ghislieri, il quale però non diede urgenza alla vicenda, rimandandola a tempi più opportuni.
I tentativi di riabilitazione della propria figura, da parte dell’ormai ex canonico, passavano anche per la riconquista dei propri benefici e in questo senso egli fu protagonista di una squallida vicenda famigliare, infatti, assegnando formalmente al nipote Tommaso le entrate spettanti agli ecclesiastici, il Valentini riuscì a godere nuovamente di quanto gli era stato interdetto dalla sentenza dell’Inquisizione; quest’ultimo, tuttavia, venne denunciato in data 21 giugno 1559 al duca Ercole II da Tommaso, poiché aveva trasferito i suoi benefici ad un altro nipote, ossia Giovanni Battista: l’aspra contesa tra i due appartenenti al casato Valentini si risolse tragicamente, in quanto Tommaso, risoluto a rovinare lo zio, lo denunciò anche all’Inquisizione, ma colto da sensi di colpa si tolse la vita con il veleno.

Fonti archivistiche

  • Archivio della Congregazione per la Dottrina della Fede, S. O., Decreta S. O., Index Primi Vol. Decretorum S. O. ab anno 1548 ad annum 1558, c. 49v (7 maggio 1556), c. 71r (7 ottobre 1556; appendice della sentenza dell’8 ottobre 1556), c. 37r, c. 37v, c. 38r, c. 38v (25 novembre 1557).
  • Archivio di Stato di Modena, Enti ecclesiastici, Tribunale dell’Inquisizione di Modena, Processi, b. 3, f. 25.

Edizioni di fonti

  • Tommasino Lancellotti, Cronaca modenese di Tommasino de’Bianchi detto de’Lancellotti, Pietro Fiaccadori, Parma 1862-1884, vol. V: pp. 297-298; vol. VII: pp. 59, 327-328; vol. IX: pp. 47-48, 65, 90-91, 326, 396-397; vol. X: pp. 24-25, 125, 192-193, 341, 403-405, 424-425; vol. XI: pp. 153-154, 182-183, 322, 428; vol. XII: pp. 8, 174, 182-183, 187-188.
  • Processo Morone², voll. I-III, ad indicem (in particolare vol. I: pp. 32-34).
  • Alessandro Tassoni, Rolando Bussi (a cura di), Cronaca di San Cesario (dalle origini al 1547). Cronaca di Modena (1106-1562), Fondazione Cassa di Risparmio di Modena, Modena 2014, pp. 273-276.

Bibliografia

  • Matteo Al Kalak, L’eresia dei fratelli. Una comunità eterodossa nella Modena del Cinquecento, Edizioni di Storia e Letteratura, Roma 2011, ad indicem.
  • Matteo Al Kalak, Gli eretici di Modena, Mursia, Milano 2008, ad indicem.
  • Lucia Felici, Introduzione, in Filippo Valentini, Lucia Felici (a cura di), Il principe fanciullo. Trattato inedito dedicato a Renata ed Ercole II d’Este, Olschki, Firenze 2000, ad indicem.
  • Susanna Peyronel Rambaldi, Speranze e crisi nel Cinquecento modenese. Tensioni religiose e vita cittadina ai tempi di Giovanni Morone, Franco Angeli, Milano 1979, ad indicem.
  • Pietro Tacchi Venturi, Mario Scaduto, Storia della compagnia di Gesù in Italia, La Civiltà Cattolica, Roma 1974, vol. IV: L’epoca di Giacomo Lainez. 1556-1565. L’azione, pp. 714-716.
  • Filippo Tamburini, La riforma della Penitenzieria nella prima metà del XVI secolo e i cardinali Pucci in recenti saggi, in «Rivista di Storia della Chiesa in Italia», XLIV, 1990, pp. 131-132.
  • Girolamo Tiraboschi, Biblioteca modenese o Notizie della vita e delle opere degli scrittori natii degli stati del serenissimo signor duca di Modena raccolte e ordinate dal cavaliere ab. Girolamo Tiraboschi, Società Tipografica, Modena 1781-1786, t. I: pp. 16-17, 447-451; t. V: p. 307; t. VI: p. 59.

Article written by Samuele Reggiani | Ereticopedia.org © 2017

et tamen e summo, quasi fulmen, deicit ictos
invidia inter dum contemptim in Tartara taetra
invidia quoniam ceu fulmine summa vaporant
plerumque et quae sunt aliis magis edita cumque

[Lucretius, "De rerum natura", lib. V]

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