Dizionario di eretici, dissidenti e inquisitori nel mondo mediterraneo
Edizioni CLORI | Firenze | ISBN 978-8894241600 | DOI 10.5281/zenodo.1309444
Aquino Turra è stato uno stregone di Pordenone processato dal Santo Ufficio agli inizi del Seicento.
Aquino Cristoforo Turra nacque nel marzo 1569 a Pordenone, da una certa Maria, originaria dal Cadore e vedova di Cristoforo da Mel, la quale aveva avuto un rapporto con il vicario vescovile Nicolò Turra, curato del duomo di S. Marco in Pordenone.
Visse l’infanzia a l’adolescenza nella città natale, per poi traferirsi, a vent’anni, a Venezia, per servire in casa Zen e Dandolo.
Nel 1592 fu alle dipendenze della famiglia Panciera, residente a Zoppola, con la quale si tratterà per alcuni anni. In quel periodo si avvicinò all’esoterismo, soprattutto attraverso la lettura del libro di Cornelio Agrippa che il conte Camillo Panciera teneva nella celata libreria in camera da letto. Prima di lasciare la casa dei Panciera e portarsi al servizio dai consorti Montereale, sottrasse il volume dell’Agrippa e lo tenne sempre con sé.
I Montereale avevano case e possedimenti a Zoppola, Pasiano e in altre terre friulane, dove Aquino li seguì col resto della servitù.
Famiglio fedele e ben visto dai suoi signori, strinse amicizia con Orazio Montereale e con questi si diede alla bella vita dedicandosi in particolare alla lussuria. In questo periodo, infatti, il Turra affinò l’abilità di seduttore, che per i contemporanei padroneggiava grazie alle formule magiche tratte dal libro dell’Agrippa.
Nelle sue vicende coinvolse anche donne appartenenti all’aristocrazia locale, come Lucrezia Montereale-Mantica da Pasiano, Aurora de Rubeis ed Elisabetta Grimaldi da Meduna (oggi Meduna di Livenza).
Il 5 aprile 1598 sposò la pordenonese Francesca Zanette, dalla quale ebbe cinque figli. Apollonia Bartolomea (1599), Bartolomeo Nicolò (1601), Francesco Felice (1606), un maschietto morto neonato nel 1608 e Pasqua Tranquilla (1609).
Dopo le nozze prese alloggio con la moglie nella casa del suocero. Non è chiaro quanto tempo vi stette. Si immagina fosse una condizione transitoria, tuttavia sufficiente per riuscire a inimicarsi il cognato Gaspare. Alcuni anni dopo iniziò a peregrinare per i paesi della pedemontana friulana (Codroipo, Grizzo, Maniago, S. Martino di Campagna) prima al servizio dei nobili Giustinian in Valcellina e poi come oste nelle altre località.
Nonostante la fama lo precedesse, ovunque si trasferì, ebbe un gran numero di amanti, cosa che lo rese inviso alle comunità locali, con le quali non seppe mai legare e dalle quali non riuscì a farsi accettare.
Nell’agosto del 1610, dopo varie denunce, la Santa Inquisizione lo processò per stregoneria. Il processo si tenne nelle sale del Santo Ufficio di Pordenone, dove accorsero testimoni dalla città, da Pasiano e dalla Valcellina, per accusarlo di stregoneria “amorosa” e “divinatoria”.
Il processo prese forma, soprattutto, sulla dichiarazione di Gaspare Zanette, il quale affermava che Aquino non si serviva solo del libro proibito dell’Agrippa per i suoi sortilegi alle donne, ma anche di una statuetta di bronzo, che egli riconobbe come un diavolo - in realtà era un’immagine di Perseo – e che portò all’inquisitore Ignazio Pino da Cagli quale prova. Si pensava che il Turra riuscisse a far parlare la statuetta e così a sapere i fatti più intimi e privati delle persone. Inoltre, grazie ai poteri acquisiti nel tempo, riusciva a far levare dal campo, o addirittura dal letto coniugale, qualsiasi donna egli desiderasse, per poi dedicarsi ai piaceri carnali senza che questa potesse opporre resistenza. Aveva anche il potere di aprire le porte, nonostante queste fossero ben chiuse e custodite.
Durante il processo, vennero ascoltati alcuni testimoni che ebbero contatti col Turra, tra i quali Francesco Grassello, Bernardino Giustinian da S. Martino di Campagna e don Agostino Fabris curato del luogo. Quando si trovò davanti ai giudici, il Turra tenne un atteggiamento difensivo raffinato, non respingendo tutti i capi d’accusa, piuttosto dichiarando che quanto fatto non era in cattiva fede, o addirittura per far del male. Sulla statuetta, che si ritrovò davanti, disse che mai fu utilizzata per scopi sinistri e negativi e che il libro dell’Agrippa lo aveva consegnato al parroco di Azzano Decimo non appena accortosi essere un testo proibito, affermando quindi di averlo letto.
Purtroppo non si sa come finì il processo, non essendosi salvata dal trascorrere del tempo la documentazione concernente la sentenza, tuttavia vi è certezza che il Turra ne uscì pressoché illeso, tanto che tre anni dopo si registra una nuova denuncia a suo carico per detenzione di libri proibiti.
Della sua vita privata non si sa più nulla dopo il 1610, ma certamente visse a Pordenone, in borgo S. Giovanni, dove morì tra il 1624 e il 1631.
Bibliografia
- Mauro Fasan, A caccia di streghe nei domini della Serenissima. Processi per stregoneria tra Veneto e Friuli nel ‘500 e ‘600, Itinera Progetti Editore, Bassano del Grappa (VI) 2016.
- Mauro Fasan, Camillo Panciera e Aquino Turra. Una storia di magie, libri proibiti e donne, in Sopula, Società Filologica Friulana, Udine 2015, pp. 213-228.
- Mauro Fasan, Aquino Turra, un mago a Pasiano a inizio Seicento, in Cultura in Friuli, IV, 2018, pp. 167-176.
Article written by Mauro Fasan | Ereticopedia.org © 2019
et tamen e summo, quasi fulmen, deicit ictos
invidia inter dum contemptim in Tartara taetra
invidia quoniam ceu fulmine summa vaporant
plerumque et quae sunt aliis magis edita cumque
[Lucretius, "De rerum natura", lib. V]