Dal Sasso, Antonia

Dizionario di eretici, dissidenti e inquisitori nel mondo mediterraneo
Edizioni CLORI | Firenze | ISBN 978-8894241600 | DOI 10.5281/zenodo.1309444


Antonia Dal Sasso (de Saxo), nata forse a Imola da Pietro e da Bernardina Riguzzi il 13 giugno 1550, trascorse la prima infanzia a Lugo, dove il padre era stalliere del bolognese Giovanni Fantuzzi. Nel settembre del 1566 si trasferì coi genitori a Imola, in una casa vicino alla cattedrale. In quello stesso anno morì il padre. Nell'autunno dell'anno seguente Giovanni Antonio Ghini, figlio dell'illustre medico Giovanni Battista, si innamorò di Antonia e la chiese in sposa alla madre. Quest'ultima dapprima rifiutò, asserendo di essere troppo povera e di non avere soldi per una dote dignitosa. Il Ghini insistette, ottenendo, a quanto avrebbe dichiarato in seguito Antonia, l'assenso di Bernardina. Il matrimonio avvenne il 5 febbraio 1568. Si trattò però di un matrimonio celebrato in presenza di testimoni, ma in una casa privata e quindi non valido secondo le norme approvate a Trento sei anni prima. Così, probabilmente anche su pressione dei parenti del Ghini, il vescovo di Imola annullò il matrimonio. Per Antonia fu una grandissima umiliazione; la ragazza venne comunque provvista di dote, in parte erogate dalla famiglia Ghini, in parte ottenute dalle istituzioni caritative imolesi. Il 1° maggio di quello stesso 1568, Antonia andò in sposa a un tale Marcello da Reggio, ma l'uomo era violento, malmenava frequentemente la ragazza, la fece prostituire e, secondo quanto Antonia avrebbe poi deposto in tribunale, cercò anche di ucciderla. I due coniugi infine si denunciarono reciprocamente presso il tribunale vescovile imolese, Antonia per i maltrattamenti che veniva costretta a subire, Marcello per il fatto che Antonia amoreggiava ancora con Giovanni Antonio Ghini.
Incarcerata a Imola, Antonia si convinse che il processo che stava subendo non fosse corretto e che il marito stesse tentando di farla condannare con mezzi illeciti. Il 29 settembre 1568, travestita da uomo, evase dal carcere e scappò assieme a uno degli uomini con cui il marito l'aveva prostituita, tale Giulio Beligambi. Da Imola, Antonia si recò prima a Ferrara, poi a Venezia, poi di nuovo a Imola, dove Giulio voleva riportarla in carcere, ma la ragazza si rifiutò. Venne allora riportata a Ferrara, dove abitò assieme a Giulio per due mesi, infine venne accompagnata a Bologna, dove nel frattempo si era trasferita la madre Bernardina. Giulio e Bernardina convincono la madrina di Antonia, l vedova Marsibilia Speroni, ad accogliere in casa sua la ragazza. Antonia giunse a casa di Marsibilia il 25 dicembre 1568. Giulio continuò ancora a tentare di far incarcerare di nuovo Antonia, con ogni probabilità perché un suo cugino (forse parente anche della stessa Antonia,visto che si chiamava Vincenzo dal Sasso) aveva prestato una fideiussione a favore della ragazza poi fuggita. A Bologna, Antonia ricevette tra l'altro una visita del suo innamorato Giovanni Antonio Ghini, che le spedì anche due lettere, in cui veniva trattato l'argomento della dote della ragazza (che evidentemente doveva essere ancora pagata del tutto). Nel frattempo intervenne anche il conte Giovanni Cagnazzi-Sassatelli, che cercò anch'egli - non è chiaro il motivo - di rimetterla nelle mani del tribunale imolese. Nel frattempo, Antonia diede segni di possessione demoniaca. Furono i due figli di Marsibilia, Giovanni Andrea e Valerio Speroni, ad accorgersi degli strani comportamenti della ragazza e ad attribuirli a una possessione. Furono loro ad avvertire l'esorcista che si occupò di Antonia, don Antonio Muccini, parroco della chiesa bolognese di Sant'Antonino di Porta Nuova (o delle Banzole); don Antonio, poi, consigliò ai due giovani di farsi rilasciare un'attestazione riguardante la possessione della ragazza e di farla avere al vicario vescovile di Bologna, Angelo Peruzzi, affinché potesse valere come discolpa nel processo penale che Antonia aveva ancora in sospeso a Imola.
Gli esorcismi iniziarono il 15 febbraio 1569, dapprima in forma privata, in casa di Marsibilia, poi, per espressa volontà del Muccini, che voleva servisi del caso come mezzo di propaganda religiosa, nella chiesa di Sant'Antonino, di fronte a una grande folla di curiosi. Il primo esorcismo pubblico ebbe luogo il 17 febbraio. Dopo pochi giorni, tuttavia, il conte Cagnazzi-Sassatelli si recò dal vicario vescovile di Bologna sostenendo che la ragazza fingeva e che pertanto occorreva sospendere gli esorcismi. Il rituale tuttavia continuò ancora fino al 27 febbraio. Quel giorno Antonia venne arrestata dagli sbirri del tribunale vescovile di Bologna e sottoposta a processo.
Il comportamento della ragazza di fronte al giudice fu estremamente lucido: in parte confessò la finzione, dicendo che non era vero che fosse stata colpita da amnesia a causa della possessione, come aveva sostenuto in un primo tempo. Dall'altro, però, riferì malesseri e mancamenti che lei stessa attribuì alla sua tormentata vicenda, ma anche ai maltrattamenti a cui era stata sottoposta durante gli esorcismi, per i quali accusò apertamente don Antonio. Il sacerdote, in particolare, le aveva fatto bere una pozione che le aveva provocato vomito continuo e stordimento. Di qui i suoi comportamenti - che comunque in nessun caso, come fu ben chiaro al giudice, non erano da attribuire all'azione del demonio.
Fu forse per cercare di risarcire in un qualche modo le sofferenze che la ragazza aveva patito a causa del mancato matrimonio e della violenza del nuovo marito e poi anche a causa degli esorcismi, che il vicario vescovile di Bologna condannò Antonia alla reclusione domiciliare in casa di Marsibilia Speroni, dove peraltro si trovava già. Era il 21 aprile 1569. Dopo quella data non abbiamo più notizie di Antonia.

Tendenze eterodosse

A parte una buona dose di quello che potremmo chiamare, con qualche approssimazione, "razionalismo popolare", l'unica tendenza eterodossa riscontrabile in Antonia - peraltro ricavabile solo per congettura - è la frase che ella pronunciò di fronte al conte Giovanni Cagnazzi Sassatelli, che era andato a trovarla a casa di Marsibilia Speroni e che l'aveva rimproverata e derisa, dicendole: «Poverina te, cose volevi tu far di Giovanni Antonio di Ghini? Che tu sei una povera donna». Antonia, stando a quanto depose di fronte al vicario vescovile di Bologna, gli aveva risposto: «Deh, conte Cagnazzo, Iddio disse matrimonio, e non disse né povero né richo», il che potrebbe essere un'eco di un brano del Sommario della Sacra Scrittura, testo che aveva circolato molto tra i gruppi eterodossi italiani degli anni Trenta e Quaranta del Cinquecento: «Quando el richo è coniuncto per matrimonio cum una povera, et se ameno bene l'uno l'altro per tale sorte […], talmente che l'homo sia sempre el capo et non dispregia la donna, è alhora una vita christiana, siano richi o poveri, nobili o ignobili. Perché in questa cosa bisogna sempre più considerare la voluntà di Dio che povertà o richezza» (S. Peyronel Rambaldi, Dai Paesi Bassi all'Italia. "Il Sommario della Sacra Scrittura". Un libro proibito nella società italiana del Cinquecento, Firenze, 1997, p. 345).

Bibliografia

  • Guido Dall'Olio, Antonia. Una storia d'amore, di possessione e di esorcismo, in Dai cantieri della storia. Liber amicorum per Paolo Prodi, a cura di Gian Paolo Brizzi e Giuseppe Olmi, Clueb, Bologna, Clueb, 2007, pp. 71-85.
  • Id., Beyond Simulation: An Enquiry Concerning Demonic Possession, in Miriam Eliav-Feldon, Tamar Herzig (eds.), Dissimulation and Deceit in Early Modern Europe, Palgrave Macmillan, London 2015, pp. 130-141: cfr. pp. 136-138.

Article written by Guido Dall'Olio | Ereticopedia.org © 2016

et tamen e summo, quasi fulmen, deicit ictos
invidia inter dum contemptim in Tartara taetra
invidia quoniam ceu fulmine summa vaporant
plerumque et quae sunt aliis magis edita cumque

[Lucretius, "De rerum natura", lib. V]

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