Dizionario di eretici, dissidenti e inquisitori nel mondo mediterraneo
Edizioni CLORI | Firenze | ISBN 978-8894241600 | DOI 10.5281/zenodo.1309444
Anton Francesco Doni (Firenze, 16 maggio 1513 – Monselice o Venezia, settembre 1574) è stato un ecclesiastico, letterato ed umanista.
Biografia
Anton Francesco Doni è senza dubbio uno degli autori più prolifici di quella generazione di poligrafi eterodossi attiva attorno alla metà del Cinquecento. Autentico polimata, si dedicò a un’intensa opera di pubblicazione di scritti utopici, di lettere, di trattati di musica e di arte, nonché di una serie di opere eteroclite difficilmente ascrivibili a un genere letterario definito. Altrettanto travagliata fu la sua vita, fatta di continue peregrinazioni da una città italiana all’altra, per trovare un protettore che potesse assicurargli un impiego fisso ed entrate regolari, ricerca inframezzata dal tentativo, poi rivelatosi fallimentare, di vivere in maniera indipendente del proprio lavoro di letterato ed editore.
Nato a Firenze nel 1513 da una famiglia di umili origini – il padre Bernardo era un forbiciaio – sono da ritenersi ironiche e fantasiose le sue pretese di discendere dai papi Dono I e Dono II, invenzioni che ben si iscrivono nel programma di autopromozione editoriale portato avanti dall’autore nelle sue opere. Come molti letterati del suo tempo, prese i voti senza convinzione nel 1535 con il nome di Fra Valerio, soggiornando nel monastero fiorentino della Santissima Annunziata. Già nel 1538 scriveva una lettera encomiastica all’Aretino, con il quale strinse un solido sodalizio, soprattutto durante il periodo veneziano, fino all’improvvisa rottura dei rapporti nel 1555. Nel 1540 lascia il monastero in compagnia di Giovanni Angelo Montorsoli per effettuare brevi soggiorni a Genova, Alessandria, Pavia e Milano. Nel 1543 si trasferisce a Piacenza dove entra a far parte dell’Accademia degli Ortolani, frequentata a quel tempo, fra gli altri, da Lodovico Domenichi, Girolamo Parabosco, Giuseppe Betussi e, a partire dal 1545, da Ortensio Lando. Nel 1544 Doni si reca a Venezia per cercare di stabilirvi dei contatti e pubblica il primo volume delle Lettere, originale opera autopromozionale alla stregua del libro di lettere aretiniano. A quest’anno va anche ascritto un soggiorno romano dove, forse ospite di Paolo Giovio, continuò la sua ricerca per trovare un impiego stabile. Furono infatti anni di intensi quanto infruttuosi tentativi di guadagnarsi la fiducia di qualche Signore tra cui i cardinali Alessandro Farnese e Uberto Gambara, il vescovo di Piacenza Catelano Trivulzio, Paolo Giovio e il duca Pier Luigi Farnese, ma sempre invano a causa, a quanto sembra, del suo carattere irascibile e vendicativo che gli procurò non poche inimicizie. Tra gli esempi più celebri delle sue dispute vanno sicuramente ricordate quella del 1548 con il Domenichi a seguito della quale il Doni non esitò a denunciare per eresia l’ormai ex amico, che aveva tradotto la Nicodemiana di Calvino, e le violente invettive contro l’Aretino, in particolare nel Teremoto (1556).
Deluso da una serie di insuccessi, Doni torna nel 1545 a Firenze dove decide di mettersi in proprio aprendo una sua stamperia grazie all’appoggio di Cosimo I e pubblicando le opere dei membri dell’Accademia fiorentina. Ma anche questa esperienza si rivelerà presto fallimentare, in parte per il solido monopolio dei Giunta, e nel 1547 è di nuovo a Venezia. Qui comincia il periodo più felice della carriera doniana. In veste di collaboratore editoriale stringe un duraturo sodalizio prima con Gabriel Giolito de’ Ferrari, per il quale pubblica, fra le altre opere, il Disegno, la prima Libraria e le Medaglie, e poi tra il 1551 e il 1553 con Francesco Marcolini, stampando la Seconda libraria, la Zucca, i Marmi, i Mondi e gli Inferni. Nel 1555, al culmine della sua carriera e in circostanze ancora non del tutto chiarite, abbandona Venezia per cercare la protezione del duca di Urbino Guidobaldo II della Rovere, ma l’Aretino rifiutò di appoggiarlo e questo segnò bruscamente la fine del loro rapporto. Da questo momento le notizie biografiche si fanno più incerte: l’autore tentò di aprire una stamperia ad Ancona e dal 1558 non pubblicò più nulla, si ipotizza a causa dell’ingiunzione di Paolo IV che imponeva ai conventuali di fare ritorno ai loro monasteri. Sappiamo tuttavia che scrisse una commedia, lo Stufaiolo (pubblicata solo nel 1861) e che nel 1567 si ritirò a Monselice. Qui, o più probabilmente a Venezia, il Doni morì nel 1574 senza lasciare tracce documentarie sull’attività dei suoi ultimi anni.
Una lucida e ludica concezione della letteratura
Come accennato, la produzione letteraria dell’autore fiorentino fu cospicua, senza contare le edizioni da lui curate ed eventuali nuovi aggiornamenti bibliografici. Ma sotto l’apparente incongruenza e disorganicità delle sue pubblicazioni, caratteristiche che, assieme all’eccessiva bizzarria, erano duramente condannate dalla critica a cavallo tra il XIX e il XX secolo, emerge un originale programma anti-umanistico che gli studiosi stanno più recentemente ricostruendo. Innanzitutto va sottolineata la lucida analisi del coevo mercato librario con il quale Doni si dovette confrontare da autore ed editore. A lui va ascritto, infatti, uno dei primi tentativi di sistematizzazione bibliografica degli autori volgari, la Libraria (1550). Rispetto ad altri poligrafi della sua generazione, Doni, che non era un acuto conoscitore della letteratura classica, non pubblicò mai in latino ed era maggiormente sensibile alle fonti moderne e volgari. Come è stato dimostrato, il suo atteggiamento nei confronti dell’eredità classica e umanista era tuttavia profondamente ambiguo, ed egli non esitava, come ha accuratamente analizzato Cherchi, a fare sfoggio di nozioni erudite manifestamente plagiate. Tra le numerosissime opere alle quali attingeva possiamo citare la Polyanthea, le Sentenze di Liburnio, il Relox de principes di Antonio de Guevara e il De incertitudine et vanitate di Agrippa. Tale disinvolto atteggiamento plagiario sembrava in contraddizione con la sua ostilità nei confronti dei pedanti, ai quali dedicò anche un capitolo degli Inferni e che accusava di attribuirsi opere prive di originalità. D’altra parte la sua esperienza di editore l’aveva indotto a considerare che la letteratura fosse soprattutto un continuo rimestamento di cose già dette, una ruota che, al pari di quella del mulino, rimacina all’infinito gli stessi luoghi comuni. L’ambiguità di questa doppia prospettiva diede dunque luce a una singolare produzione letteraria della quale la palinodica stampa della fantasiosa Seconda Libraria offre un esempio concreto. Pur traendo ampiamente i propri materiali dalle opere classiche e moderne, l’autore li sfruttava in maniera ludica e beffarda, denunciando al contempo le derive del sapere umanista. In Doni, come nota Procaccioli, non si trova tuttavia nessun intento didascalico e la mancanza di sistematizzazione strutturale, stilistica e linguistica diventa programmatica non solo di un generale atteggiamento anti-classicista ma anche di una messa in discussione dello statuto stesso della letteratura. La poetica di Doni si rivela attraverso la ricerca di un effetto “novità”, l’attenzione ai gusti di un nuovo pubblico allargato già allenato a tali disinvolture sardoniche attraverso la lezione aretiniana, e tramite l’esaltazione del proprio statuto di letterato.
A questo programma concorre anche l’affiliazione di Doni alla misteriosa Accademia pellegrina che, sulla base di un accurato studio delle testimonianze documentarie effettuato da Masi, sarebbe da considerarsi un’invenzione dell’autore stesso. Di fatto, tutte le menzioni riguardanti la suddetta accademia sono state prodotte più o meno direttamente proprio da Doni e la segretezza che la circonda non va tanto ricondotta a una dissimulata cerchia eretica, com’è stato ipotizzato, quanto a una sagace strategia di autopromozione editoriale. Tracce di un atteggiamento religioso che si avvicina a posizioni zwingliane, calviniane e luterane, pur non arrivando alla costruzione di un pensiero sistematico, si ritrovano però in una lettera a Basilio Guerrieri (Lettere, 1547). Grendler vi rintraccia un’adesione alla teoria della giustificazione per fede e uno scetticismo nei confronti di alcune pratiche religiose. A Firenze Doni aveva frequentato letterati e stampato opere in odore di eresia, senza che sia tuttavia possibile determinare se questi rapporti ebbero un’influenza diretta sul suo pensiero religioso. Del resto Doni non sembra esser stato segnato come Lando o Franco dal pensiero erasmiano e la sua irregolarità va piuttosto messa in relazione con gli interessi esoterici e cabalistici, quali si riscontrano nei Marmi, nei Mondi o nei Numeri, e a un diffuso sentimento di anti-clericalismo non completamente estraneo alla sua vicenda personale. Oltre alle aperte critiche di stampo aretiniano contro i costumi del clero, nelle Lettere emerge, infatti, anche un singolare autoritratto di un uomo che aveva preso i voti più per necessità che per vocazione, finendo per trovarsi lacerato da un profondo dissidio interiore che lo portò a “fare alle pugna” con le sue stesse vesti pretesche.
Doni rappresenta dunque una figura emblematica delle inquietudini del suo tempo riscontrabili nella consapevolezza della crisi del sistema umanistico, dal quale non era tuttavia in grado di distaccarsi se non attraverso il recupero giocoso e satirico. Questo contrasto si rispecchiava analogamente anche nei confronti del contesto socio-culturale che l’aveva costretto ad indossare quelle stesse vesti ecclesiastiche che aveva in odio e a dover rinunciare all’indipendenza professionale per poter vivere dell’attività letteraria.
Bibliografia
- Paolo Cherchi, Polimatia di riuso. Mezzo secolo di plagio (1539-1589), Bulzoni, Roma 1998.
- Paul F. Grendler, Critics of the Italian World, 1530-1560: Anton Francesco Doni, Nicolò Franco and Ortensio Lando, University of Wisconsin press, Madison-London 1969.
- Giorgio Masi, Coreografie doniane: l’Accademia Pellegrina, in Cinquecento capriccioso e irregolare. Eresie letterarie nell’Italia del Classicismo. Seminario di Letteratura italiana (Viterbo, 6 febbraio 1998), a cura di P. Procaccioli e A. Romano, Vecchiarelli, Manziana 1999, pp. 45-85.
- Patrizia Pellizzari (a cura di), Nota biografica a Anton Francesco Doni, I Mondi e gli Inferni, introduzione di Marziano Guglielmetti, Einaudi, Torino 1994.
- Paolo Procaccioli, Cinquecento capriccioso e irregolare. Dei lettori di Luciano e di Erasmo; di Aretino e Doni; di altri peregrini ingegni, in Cinquecento capriccioso e irregolare. Eresie letterarie nell’Italia del Classicismo. Seminario di Letteratura italiana (Viterbo, 6 febbraio 1998), a cura di P. Procaccioli e A. Romano, Vecchiarelli, Manziana 1999, pp. 7-30.
Vedi anche:
- Bibliografia su Anton Francesco Doni (a cura di Giorgio Masi) sul sito Cinquecento plurale
Article written by Federica Greco | Ereticopedia.org © 2017
et tamen e summo, quasi fulmen, deicit ictos
invidia inter dum contemptim in Tartara taetra
invidia quoniam ceu fulmine summa vaporant
plerumque et quae sunt aliis magis edita cumque
[Lucretius, "De rerum natura", lib. V]