Monterenzi, Annibale

Dizionario di eretici, dissidenti e inquisitori nel mondo mediterraneo
Edizioni CLORI | Firenze | ISBN 978-8894241600 | DOI 10.5281/zenodo.1309444


Annibale Monterenzi (Bologna, ca. 1510 - Bologna, novembre 1586) è stato un giurista bolognese.

Biografia

Appartenente ad una famiglia della nobiltà minore di Bologna, Annibale Monterenzi si addottorò presso lo Studio della medesima città nel 1535; vi ottenne subito una cattedra di lettorato, prima di Istituzioni poi di diritto civile, che, successivamente, tenne dal 1540 al 15831. Monterenzi aderì al circolo ereticale bolognese, caratterizzato da una osmosi fra uomini di diversa estrazione socio-culturale, tipica degli anni quaranta del Cinquecento. Di questo circolo infatti vi facevano parte intellettuali come Lelio Sozzini, Ulisse Aldrovandi e Sebastiano Mainetti, nobili come Achille Vizzani, Ludovico Felicini e Mario Dolfi, librai come Francesco Linguardo, ecclesiastici come il canonico di San Petronio Girolamo Dal Pino. Vi erano, inoltre, medici come Giovanni Andrea Albio, maestri di scuola come Alemanno Orlandi, calzolai come Bernardino Brascaglia, oltre a un folto gruppo di canonici regolari di San Salvatore, fra cui Teseo Adrovandi, fratello di Ulisse, e il priore camaldolese di San Damiano. Le riunioni di questo gruppo, in cui si leggevano le Scritture e le lettere paoline insieme a testi eterodossi, si tenevano a casa di Annibale Monterenzi, di Ulisse Aldrovandi, di Ludovico Felicini e in quella di Lelio Sozzini2. Il 12 giugno del 1549 vennero arrestati quattro membri del gruppo, grazie a un'indagine perseguita dall'inquisitore Girolamo Muzzarelli, forte della collaborazione di Angelo Massarelli, segretario del Concilio, del cardinal legato Del Monte (futuro papa Giulio III) e delle autorità diocesane di Bologna. Si trattò di un primo durissimo colpo al circolo ereticale di cui faceva parte Monterenzi e che avrebbe avuto degli sviluppi successivi. Il Sant'Ufficio infatti aveva decretato di trasferire gli eretici a Roma, dopo che questi avessero subito un primo processo a Bologna; ma il legato Del Monte si era opposto agli inquisitori in quanto preferiva concludere i procedimenti in loco. Da questo contrasto l'Inquisizione romana uscì vincitrice e il primo settembre del 1549 cinque eretici abiurarono pubblicamente a Bologna, fra cui l'Aldrovandi, per poi essere inviati a Roma. Monterenzi non subì la condanna a Bologna, ma venne convocato direttamente a Roma dove venne processato e condannato all'abiura3. Il dato è confermato dalla seduta del 3 settembre del 1549, dove i cardinali inquisitori decretarono la convocazione del Monterenzi, e altri membri del circolo, entro quindici giorni dal monitorio a Roma4.
Tuttavia, nel marzo del 1550 emersero nuove accuse a carico di Monterenzi, che, dopo aver ricoperto la carica di giudice del Foro dei Mercanti di Bologna, era stato nominato uditore di Rota a Genova. La notizia venne appresa dai senatori di Bologna a maggio, probabilmente grazie all'intercessione di Girolamo Muzzarelli, ormai maestro del Sacro palazzo e uomo di fiducia di Giulio III, i quali avvisarono subito il loro segretario a Roma, Girolamo Bagio, affinché si adoperasse per evitare una nuova convocazione in Urbe e un nuovo processo. I cardinali, nel frattempo, avevano già inviato il processo con i capi d'accusa all'inquisitore di Genova per informarlo e per proseguire le indagini su Monterenzi5, ma Giulio III, desideroso di favorire la città di cui era stato legato, si scontrò nuovamente con l'Inquisizione romana, in particolare con il cardinale Juan Alvarez de Toledo (Burgos). Questi accusò il Monterenzi «tanto aspramente che non si potria dire più, affirmando pure che egli era il maggiore heretico del mondo, et negando l'abiuratione che si è detto essere stata fatta da lui»6. I rapporti di forza, in quella circostanza, furono a favore di Del Monte, ormai pontefice, e forte dell'appoggio del braccio destro Marcello Crescenzi, legato di Bologna: fu deciso di lasciare il Monterenzi a Genova fino alla fine del suo incarico e successivamente di convocarlo a Roma. Monterenzi non venne avvisato in tempo della decisione del papa e si presentò a Roma, i primi di luglio del 1550, al cospetto di Giulio III e dei cardinali inquisitori Gian Pietro Carafa e Burgos, i quali mostrarono «mala dispositione d'animo contra di lui»7. Annibale venne subito posto nelle carceri del monastero di Sant'Agostino in Roma e processato; il caso venne concluso alla fine di novembre dello stesso anno con una seconda abiura8. La sentenza, di cui non è rimasta traccia, venne mitigata e commutata da un provvedimento, del 29 gennaio 1551, firmato dal solo cardinal Marcello Cervini. A Monterenzi, vista la sua «humilitate ac resipiscentia», vennero condonate la confisca dei beni e l'invalidità degli atti da lui emessi nel periodo in cui era «implicitus […] haeresibus»; gli fu abolita la nota d'infamia di cui si era macchiato e restituito il titolo di dottore che gli era stato annullato, con la facoltà di ricoprire cariche pubbliche (ma rimase il divieto di ricevere benefici ecclesiastici); gli ingiunsero delle penitenze salutari come la recita dei sette salmi penitenziali e il digiuno ogni venerdì per tutta la vita; venne obbligato al confino, prima a Genova e poi a Bologna, con l'obbligo di presentarsi tre volte al mese al cospetto degli inquisitori delle due città per attestare la sua buona condotta9. É molto probabile che Monterenzi non fece mai ritorno a Genova, la solidarietà e la protezione su cui poteva contare a Bologna lo spinsero a tornare nella sua città natale, anche se ebbe la premura, tre anni dopo la sua ultima vicenda giudiziaria, di far registrare da un notaio della curia vescovile tre deposizioni che attestavano la sua buona condotta, la sua ortodossia e la frequenza ai sacramenti10. Il sospetto su Annibale per alcuni anni rimase vivo, a testimonianza della crescita del potere del Sant'Ufficio, che marcava in modo indelebile chi si macchiava del crimine di eresia, e infatti, ancora nel 1559, Monterenzi venne segnalato al cardinale Alessandrino, Michele Ghislieri (futuro papa Pio V) dal notaio dell'Inquisizione bolognese, Marcantonio Sabadini, per il suo comportamento non ancora del tutto ortodosso11. Nonostante le circostanze, il prestigio del giurista bolognese non venne intaccato; anzi, poco tempo dopo, il Senato gli affidò l'incarico di glossare gli statuti cittadini del 1454, editi a stampa nel 156112, anche se, fra le pasquinate tipiche del periodo della Controriforma, se ne può segnalare una che tracciava del Monterenzi un ritratto impietoso, richiamando le passate vicende giudiziarie in materia di fede: «Questo gran babuasso legea prima/ alle banche, e fu un tempo luterano,/ grosso de ingegno, merto et in humano»13.
Il Senato di Bologna, nel caso di Monterenzi, dopo un duro confronto con l'Inquisizione romana, era riuscito a ottenere dei buoni risultati; ciò era dovuto al fatto che vi era un pontefice ben disposto nei confronti di Bologna e dei bolognesi, e grazie all'ausilio di un abile legato come Marcello Crescenzi, uomo di fiducia di Giulio III.
Conformatosi all'ortodossia, la posizione sociale e la prestigiosa fama di giurista posero il Monterenzi al riparo da ulteriori persecuzioni; paradossalmente, fra i primi anni sessanta del Cinquecento, entrò addirittura nella cerchia dei consultori dell'Inquisizione bolognese. Alla Congregazione romana che chiedeva chiarimenti sul coinvolgimento di tale individuo, condannato in passato per eresia, nelle attività dell'Inquisizione, fra' Antonio Balducci, inquisitore di Bologna dal 1560 al 1572, rispose di averlo sempre «trovato fidele et amorevole al Santo Officio»14.

Bibliografia

  • Guido Dall'Olio, Eretici e inquisitori nella Bologna del Cinquecento, Bologna, Istituto per la Storia di Bologna, 1999.
  • Angela De Benedictis, Repubblica per contratto. Bologna: una città europea nello Stato della Chiesa, Bologna, Il Mulino, 1995.
  • Antonio Rotondò, Per la storia dell'eresia a Bologna nel XVI secolo, Bologna, Rinascimento, 1962.

Article written by Gian Luca D'Errico | Ereticopedia.org © 2014

et tamen e summo, quasi fulmen, deicit ictos
invidia inter dum contemptim in Tartara taetra
invidia quoniam ceu fulmine summa vaporant
plerumque et quae sunt aliis magis edita cumque

[Lucretius, "De rerum natura", lib. V]

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