Ursolina da Fiume

Dizionario di eretici, dissidenti e inquisitori nel mondo mediterraneo
Edizioni CLORI | Firenze | ISBN 978-8894241600 | DOI 10.5281/zenodo.1309444


Ursolina da Fiume è stata una donna processata dal Tribunale vescovile di Jesi nel 1579 per pratiche malefiche, torturata e condannata all'esilio perpetuo dalla diocesi della città marchigiana.

Nata a Fiume, ma emigrata nell'area marchigiana già dal 1555 come emerge dalle sue deposizioni, si era ritrovata a far parte dei gruppi di poveri itineranti che vivevano di elemosina e lavori precari.
Giunta a Jesi nel 1578, veniva denunciata dai suoi vicini con l'accusa di praticare molteplici malefici ed inquisita dal Tribunale Vescovile con il supporto “tecnico” del vicario del tribunale inquisitoriale di Ancona.
In particolare le accuse venivano focalizzata su operazioni magiche e sortilegi riguardanti rispettivamente la sfera amorosa e quella della guarigione dalle malattie, con riferimento specifico alla salute dei bambini.
Le operazioni magiche messe in atto per la parte amatoria consistono nel rituale del lancio delle fave e, cosa molto più grave dal punto di vista dei giudici, lo scioglimento del piombo nell'acqua come citato nel Malleus Maleficarum, che se viene visto da un lato come un sortilegio minore, appare anche come un mezzo apertamente diabolico di offesa.
Nel corso degli interrogatori vengono specificate anche le operazioni atte a contrastare le malattie, ovvero lavaggio dei neonati con acque arricchite di erbe, ma anche passaggio sotto le radici di una quercia, rito questo molto diffuso nell'Italia dell'età moderna. Tali pratiche mettono in evidenza l'ambiguità del rapporto tra l'operatrice del magico ed i suoi vicini, i quali di fronte all'inefficacia dei rimedi o al sorgere di dispute, finiscono per considerare in modo negativo e demoniaco le operazioni da loro stessi evocate.
Tutto il procedimento verte sulla dicotomia tra i giudici, che insistono sul patto diabolico stretto dalla donna per esercitare le sue capacità di magia amorosa e salutare e le affermazioni di Ursolina, che nega assolutamente ogni rapporto demoniaco, declassando le sue azioni a mere somministrazioni di erbe e “pastocchie”, cioè bugie, destinate a conseguire vantaggi materiali.
Dopo più di un mese di carcerazione della donna i giudici ricorrono alla tortura delle “cannette”, per la quale venivano inserite fra le dita delle mani delle verghette poi strette con cordicelle, al fine di raggiungere l'ammissione del patto diabolico, pratica alla quale però la donna resiste, negando con forza ogni suggestione diabolica.
Ursolina veniva quindi rilasciata a fine febbraio del 1579, ma condannata all'obbligo di osservare l'esilio perpetuo dalla diocesi jesina.

Bibliografia

  • Diego Pedrini, Malefici, riti di guarigione e sortilegi d'amore in un processo della corte episcopale di Jesi nel XVI secolo, in “Atti e Memorie della Deputazione di storia patria per le Marche”, 114, 2020, pp. 193–217.
  • Diego Pedrini, Lucia Dubbini, Ipsa fecerit fascinationes. Un processo per maleficium nella Maiolati del 1594, Livi Editore, Fermo 2018 (Contiene la trascrizione completa degli atti del processo).
  • Diego Pedrini, Lucia Dubbini, Il prezzo del perdono. Il Tribunale episcopale di Jesi in età moderna (1530-1730), Livi Editore, Fermo 2020.

Article written by Diego Pedrini | Ereticopedia.org © 2020

et tamen e summo, quasi fulmen, deicit ictos
invidia inter dum contemptim in Tartara taetra
invidia quoniam ceu fulmine summa vaporant
plerumque et quae sunt aliis magis edita cumque

[Lucretius, "De rerum natura", lib. V]

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