Stefano da Brescia

Dizionario di eretici, dissidenti e inquisitori nel mondo mediterraneo
Edizioni CLORI | Firenze | ISBN 978-8894241600 | DOI 10.5281/zenodo.1309444


Stefano da Brescia è stato un non meglio noto monaco benedettino, mistico e visionario, seguace ed autoproclamatosi erede di Giorgio Siculo.

Una segnalazione del suo caso pervenne a Roma ai cardinali inquisitori nell'agosto 1558, ad opera di un vicario dell'Inquisizione di Bologna. Stefano risiedeva allora nel monastero di San Faustino a Brescia e pare sostenesse di essere stato designato dallo Spirito Santo come suo tramite per la redenzione universale di uomini e demoni. Pur liquidato come un caso di pazzia sia nella lettera del vicario bolognese sia nella testimonianza (interessata e di auto-difesa) resa il 31 ottobre 1560 da Nascimbene Nascimbeni all'inquisitore del ducato di Ferrara, Camillo Campeggi, il caso di Stefano riattivò le preoccupazioni del Sant'Uffizio sulla setta di Giorgio Siculo, tant'è che fu ordinato di ricercare con diligenza e urgenza il "Libro Grande" di quest'ultimo, rinvenuto infine a Ferrara nel marzo 1561.
Nei suoi memoriali rilasciati all'Inquisizione veneziana nel gennaio 1570 Nascimbeni ammise anche di aver partecipato a Ferrara ad una riunione di antichi seguaci del Siculo, nel corso della quale gli annunci del monaco Stefano erano stati accolti con favore dagli altri presenti.
Nel frattempo del caso del monaco si erano occupate le autorità della Congregazione benedettino-cassinese, che fecero valere agli inquisitori i propri privilegi e il proprio diritto di competenza: egli era stato di fatto messo a tacere, aveva confessato ed abiurato ed era stato trasferito in altro monastero.

Bibliografia

  • Carlo Ginzburg, Due note sul profetismo cinquecentesco, in "Rivista storica italiana", 78/1, 1966, pp. 185-227.
  • Adriano Prosperi, L'eresia del Libro Grande. Storia di Giorgio Siculo e della sua setta, Feltrinelli, Milano 2000, pp. 251-54 e ad indicem.

Article written by Daniele Santarelli | Ereticopedia.org © 2013

et tamen e summo, quasi fulmen, deicit ictos
invidia inter dum contemptim in Tartara taetra
invidia quoniam ceu fulmine summa vaporant
plerumque et quae sunt aliis magis edita cumque

[Lucretius, "De rerum natura", lib. V]

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