Simone da Trento

Dizionario di eretici, dissidenti e inquisitori nel mondo mediterraneo
Edizioni CLORI | Firenze | ISBN 978-8894241600 | DOI 10.5281/zenodo.1309444


Simone (Simonino) da Trento (Trento, 1472 – Trento, 23 marzo 1475)
di Stefano Malfatti

Simone da Trento, meglio noto come Simonino, nacque sul finire del 1472 da Andreas Lomferdorm, un conciapelli di origini tedesche, e Maria; questi, insieme ad altri connazionali, aveva fissato la propria dimora in una delle case della contrada del Fossato, nei pressi della chiesa cittadina di San Pietro. Anche l’esile comunità ebraica del capoluogo vescovile, in larga parte di provenienza germanica ashkenazita e di lingua tedesca, risiedeva nella stessa contrada. Fra i membri più in vista si ricordano Samuele da Norimberga, nella cui casa si trovava la sinagoga della città, prestatore di denaro che già nel 1469 aveva ottenuto dal vescovo Johannes Hinderbach, massima autorità politica e spirituale dell’episcopato, un privilegio che gli consentiva di svolgere la propria attività feneratizia. Oltre alla famiglia di Samuele, vivevano a Trento Angelo da Verona, pure dedito all’usura, e il medico Tobia da Magdeburgo, insieme alle rispettive famiglie e agli ospiti ebrei di passaggio.
Nel pomeriggio del 23 marzo 1475 il piccolo Simone scomparve; a nulla valsero le ricerche del padre, il quale il giorno seguente ne diede notizia al vescovo Hinderbach. La denuncia di Andreas diede avvio alle vicende che portarono di lì a poco alla nascita del culto del Simonino, insieme alla tragica messa a morte di larga parte della comunità ebraica trentina, sulla quale, fin da subito, si catalizzarono le colpe per la morte del fanciullo. Va evidenziato, infatti, come anche nella Trento del tardo Medioevo fosse presente un marcato sentimento antiebraico, che riguardava non soltanto le classi sociali più umili, in particolar modo la componente tedesca, ma anche i ceti dirigenti, a partire dal vescovo Hinderbach, la sua corte e le massime autorità giudiziarie del capoluogo. Risaliva a poche settimane prima la visita a Trento del frate Bernardino da Feltre (1439-1494) il quale, nel solco dei più noti tòpoi antigiudaici della predicazione di matrice osservante, stigmatizzò l’attività di prestito a usura praticata dalla comunità israelita. Era peraltro diffusa anche nel capoluogo vescovile la credenza secondo la quale gli ebrei osservanti erano soliti procurarsi del sangue cristiano, preferibilmente ottenuto da un fanciullo che non avesse ancora compiuto i sette anni d’età, da consumare durante le festività del Purim e della Pasqua. Si trattava di pregiudizi noti anche agli ebrei trentini i quali, il 26 marzo, nel giorno di Pasqua, rinvenendo il corpicino di Simone nella roggia che scorreva negli scantinati della casa di Samuele, furono presi da sconcerto e forte impressione. Immediatamente decisero dunque di recarsi presso il castello del Buonconsiglio per comunicare al vescovo Hinderbach il macabro ritrovamento. Nella sera dello stesso giorno il presule nominò una commissione ufficiale, formata dal podestà Giovanni de Salis da Brescia e dal capitano del castello Iacopo de Sporo, con lo scopo di esaminare il corpo del bambino che, frattanto, era già stato deposto su un altare nella chiesa di San Pietro. Nello stesso giorno, i primi otto ebrei sospettati di aver provocato la morte di Simone furono arrestati per ordine del podestà. Si trattava di Samuele da Norimberga, del medico Tobia, di Angelo da Verona, di Iof di Bonaventura da Ansbach, forestiero servitore di Tobia, di Mosé da Bamberga e di suo figlio Isacco, ospiti in casa di Angelo, di Bonaventura da Würzburg e del cuoco di Samuele, Bonaventura. La voce dell’omicidio rituale perpetrato dalla mano degli ebrei si diffuse rapidamente, cosicché sin da subito l’azione del podestà e dei medici chiamati a compiere una ricognizione sul corpo di Simone fu viziata da sospetti e pregiudizi antigiudaici. L’eventualità che si fosse trattato di un tragico incidente e che le ferite rinvenute sul cadavere fossero state causate dalle ruote dei mulini negli scantinati della casa di Samuele, fu presa in considerazione, ma presto accantonata insieme ad una seconda ipotesi: gli ebrei trentini, infatti, accusarono subito un certo Johannes Schweizer il quale, nutrendo un profondo astio per via di certi prestiti ad usura che aveva ricevuto, avrebbe voluto vendicarsi gettando il corpo del fanciullo nella proprietà di Samuele. Le autorità vescovili infatti, supportate dalla pubblica opinione, concentrarono ben presto la loro attenzione unicamente sugli ebrei trentini che, in un clima di grande ostilità, si avviavano a subire le conseguenze di un processo inquisitorio tutt’altro che equanime.
Il 28 marzo, a soli due giorni dal ritrovamento del corpo di Simone, il podestà de Salis avviava gli interrogatori agli ebrei incarcerati, i quali furono sottoposti a torture sempre più pesanti e raffinate, quale metodo per accertare la verità. I verbali che descrivono gli interrogatori, in larga parte avvenuti senza rispettare rite et recte la normativa degli statuti cittadini, erano tesi a piegare le confessioni dei sospetti alle “verità” proposte dagli accusatori: la morte di Simone era avvenuta a causa di un omicidio rituale, che era pratica usuale presso gli ebrei, i quali avevano compiuto il crimine in spregio verso i cristiani. Quasi tutti i sospettati furono interrogati fra il 27 e il 31 marzo; nel mese di aprile, a più riprese, il podestà sottopose a tortura i tre membri più influenti della comunità ebraica cittadina, Samuele, Tobia e Angelo, e ciò avvenne fin quando le confessioni non collimarono. Il 21 aprile successivo, il duca d’Austria e conte del Tirolo Sigismondo d’Asburgo intervenne nella vicenda trentina, intimando al presule e alle autorità giudiziarie della città di sospendere il processo; un’interruzione che, tuttavia, ebbe breve durata, visto che il 5 giugno, su ordine del Capitano, riprese l’attività processuale nei confronti degli ebrei. Spinti a confessioni forzate da pressioni sempre più pesanti finirono al rogo fra il 21 e il 22 giugno: Samuele e suo figlio Israele, Angelo, Tobia, Vitale fattore di Samuele e Mohar. Mosé da Würzburg, padre di Mohar, detto il Vecchio, morì in carcere pochi giorni prima della sentenza, mentre Bonaventura di Mohar e Bonaventura, cuoco di Samuele, che frattanto si erano fatti battezzare, furono decapitati.
Temi fondamentali per la comprensione della vicenda del Simonino sono la nascita, fin da subito, e lo sviluppo del culto per il fanciullo martire. La venerazione per Simone da Trento, definito l’Innocente, iniziò all’indomani del ritrovamento della salma mentre, con un’abile politica antigiudaica messa in piedi dal presule trentino e dai suoi officiali, si portavano alla luce i più orridi dettagli del “martirio”, dagli strumenti impiegati per torturare il fanciullo, all’utilizzo del sangue per impastare gli azzimi per la Pasqua ebraica, sino alla minuziosa descrizione delle ferite inferte dai “perfidi ebrei” al corpicino di Simone in spregio alla figura di Cristo. La poderosa opera di propaganda messa in atto a Trento, pure attraverso la stampa di biografie e immagini devozionali (si ricorda, fra l’altro, che il primo libro stampato nel capoluogo vescovile il 6 settembre 1475 venne pubblicato da Albrecht Kunne con il titolo di Geschichte des zu Trient ermordeten Christenkindes) catalizzò su Trento un’attenzione internazionale. L’Ordine dei Francescani, in prima linea nell’opera di diffusione della vicenda del beato Simone, contribuì a far circolare l’eco dei fatti trentini anche fuori dell’episcopato, così che, immediatamente, iniziarono i pellegrinaggi alla “tomba” dell’Innocentissimus Puerulus, cui seguirono i miracoli e la trasformazione della cappella della chiesa di San Pietro, all’interno della quale erano stati deposti i resti del fanciullo, in una seconda Loreto, come ebbe a definirla lo stesso vescovo Hinderbach, in cui s’ammassarono – sempre secondo la testimonianza del presule – migliaia fra oggetti devozionali ed ex voto. Gli effetti della predicazione antigiudaica ad opera degli Osservanti non tardarono a manifestarsi in numerosi centri dell’Italia settentrionale ove, soprattutto nelle diocesi contermini, le autorità religiose e civili dovettero arginare ripetuti moti antiebraici, in seguito ai quali furono emessi provvedimenti di espulsione.
La fama del piccolo martire trentino si diffuse repentinamente anche in ambiente umanistico, al quale Johannes Hinderbach apparteneva. È sopratutto nelle opere di umanisti come Mattia Tiberino, Giovanni Calfurnio e Raffaele Zovenzoni che il presule trentino trovò largo consenso.
Frattanto, dopo le prime condanne a morte perpetrate sul finire del giugno del 1475, intervenne nelle vicende trentine anche il papa Sisto IV, al quale – secondo una specifica bolla cui si richiamarono gli ebrei trentini – spettava il giudizio su casi di omicidio rituale. Il 30 giugno il vescovo Hinderbach inviò al pontefice una relazione sul caso trentino chiedendo contestualmente che fosse concessa la canonizzazione del piccolo Simone. La risposta del papa non tardò ad arrivare, poiché il 23 luglio seguente fu inviato a Trento come commissario papale e giudice ad acta il frate domenicano Battista de’ Giudici (1428-1484), vescovo di Ventimiglia. Questi, giunto nel capoluogo vescovile il 2 settembre, trovò inizialmente – almeno nelle parole – la collaborazione di Johannes Hinderbach e dei suoi officiali; ben presto, tuttavia, l’azione del commissario fu osteggiata nei fatti da intimidazioni e minacce di morte, tanto che lo stesso presule trentino arrivò a definirlo “judex suspectus” accusandolo di aver accettato del denaro dagli ebrei per insabbiare il processo. Il de’ Giudici, infatti, rilevò sin da subito gravi incongruenze sia nella conduzione delle indagini sia negli interrogatori, attuati attraverso torture di inaudita violenza. Nonostante il breve papale lo autorizzasse a raccogliere, oltre ai verbali del processo, anche le testimonianze dei protagonisti della vicenda, il commissario intemeliano dovette lasciare Trento, diretto a Verona, senza aver ottenuto nient’altro che le copie degli atti processuali. Il de’ Giudici fece anzitutto tappa a Rovereto, oppidum poco distante da Trento ma allora sottoposto al dominio veneziano. Là cercò più volte il dialogo con il presule trentino, senza ottenere tuttavia la liberazione degli ebrei ancora incarcerati. Le conclusioni del commissario in relazione alla vicenda trentina furono frattanto inviate a Roma, donde il papa Sisto IV, attraverso un breve indirizzato a tutti i principi italiani, il 10 ottobre seguente proibì l’appellativo “beato” in riferimento a Simone. La sfiducia del pontefice nei confronti dell’operato dei giudici trentini interruppe soltanto per breve tempo la macchina inquisitoria; Johannes Hinderbach iniziò infatti ad allacciare stretti rapporti di solidarietà con importanti membri della curia romana volti, fra l’altro, a gettare discredito sulla condotta del vescovo intemeliano a difesa dell’operato dei Tridentini. In particolare, il noto umanista Bartolomeo Sacchi, detto il Platina, si scagliò più volte contro il commissario papale, componendo anche un libello polemico (al quale Battista de’ Giudici risposte con una “Invectiva contra Platinam”). Mentre a Roma il vescovo di Ventimiglia si trovò a dover difendere il proprio operato, a Trento riprendeva il processo contro gli ebrei ancora incarcerati; la tortura, ancora una volta perpetrata con inconsueta violenza, portò alla confessione dei presunti “complici”, i quali furono condannati a morte nel gennaio seguente.
Con la morte dei correi non si esaurì l’opera inquisitoria dei giudici trentini, poiché già nel novembre del 1475 erano iniziati i processi contro le prime due donne, Bella di Bonaventura da Würzburg e Sara di Abramo da Marburgo, la prima vedova di Mosé di Samuele, la seconda del medico Tobia. A queste, nel marzo del 1476, s’aggiunsero Bona, la sorella di Angelo da Verona, e Anna, moglie di Israele. Le torture e le dure condizioni cui furono sottoposte portarono alla morte Dolcetta, moglie di Angelo, Brunetta sua nipote e Dolcetta moglie di Salomone. Pur individuate come non direttamente responsabili della morte di Simonino, le donne ebree furono accusate di aver assistito all’omicidio rituale, al quale avrebbero preso parte anche attraverso la formulazione di espressioni oltraggiose nei confronti di Cristo e dei cristiani. Le ingiurie che, secondo i giudici trentini, le donne pronunciarono durante il martirio del piccolo Simone emergono con forza dai verbali degli interrogatori; locuzioni talvolta rese in latino, talaltra in volgare, in altri casi ancora trascritte direttamente in ebraico, così da rendere ancor più incisiva e terrificante – insieme alla descrizione di una certa gestualità grottesca – la loro testimonianza.
Si dovette attendere il 20 giugno 1478 prima che a Roma la commissione cardinalizia nominata dal pontefice Sisto IV si pronunciasse sui fatti trentini. Il giudizio riconobbe la sostanziale correttezza (rite et recte) dei processi inquisitori cosicché, pur in mancanza di un riconoscimento formale del culto che il vescovo Hinderbach mai riuscì ad ottenere dal papa, poté proseguire di fatto la venerazione del fanciullo. Più di un secolo dopo, nel 1584, la Santa Sede iscrisse il nome di Simone nel Martyrologium Romanum; quattro anni più tardi (1588), su richiesta del presule trentino cardinale Ludovico Madruzzo, il pontefice Sisto V concesse le formule liturgiche.
Dopo la morte del vescovo Johannes Hinderbach, avvenuta nel 1486, il clima di esaltazione che circondava la figura del martire trentino dovette affievolirsi alquanto; diminuirono i miracoli che, copiosamente, si erano invece manifestati negli anni immediatamente seguenti alla morte del fanciullo, così come i pellegrinaggi sulla tomba di Simone nella chiesa di San Pietro. In piena età moderna, con la Controriforma, il culto per il martire trentino ritrovò nuovo slancio; i resti del corpicino furono sottoposti a procedimenti di imbalsamazione per mano del noto medico trentino Ippolito Guarinoni (1637), mentre la cappella che dal 1475 ne ospitava le spoglie fu rinnovata con stucchi e tele di gusto barocco. La sinagoga presso la casa di Samuele fu trasformata in cappella nel 1758, mentre nel presunto luogo del rapimento (nella via che ancora oggi si chiama del Simonino) fu edificata una seconda cappella. Il mancato pronunciamento della Santa Sede sul martirio di Simone da Trento consentì al suo culto di arrivare fino al XX secolo allorquando, nel 1955, si svolse l’ultima solenne processione decennale con il corpo del fanciullo e i principali strumenti del martirio.
Con la seconda metà degli anni Cinquanta, durante il pontificato di Giovanni XXIII, il quale con la dichiarazione conciliare Nostra aetate ribadiva la ferma condanna all’antisemitismo, e con l’avvicinarsi della consueta processionale decennale dedicata al fanciullo, emerse la necessità di attuare un profondo processo di revisione delle vicende del 1475. L’indagine, promossa a livello diocesano dallo storico Iginio Rogger e affidata al domenicano Willehad Paul Eckert, portò alla luce una serie di discrepanze nelle testimonianze verbalizzate dai notai dei giudici trentini; si trattava di palesi contraddizioni che sfuggirono alla mano dei verbalizzanti, nonostante le reiterate torture e i tentativi di far collimare le affermazioni degli ebrei sotto interrogatorio. Ritenuta scientificamente corretta e condotta con accuratezza, l’indagine di Eckert fu trasmessa alla Congregazione dei riti la quale, attraverso uno specifico accordo con l’arcivescovo di Trento Alessandro Maria Gottardi, dispose l’abolizione del culto di Simone. In seguito alle prescrizioni vescovili contenute in una lettera del 28 ottobre 1965, la festa liturgica di Simone da Trento fu abolita; le reliquie del fanciullo e gli oggetti devozionali furono rimossi dal culto dei fedeli e musealizzati, mentre le spoglie furono traslate dalla chiesa di San Pietro al cimitero cittadino.
Un ultimo aspetto relativo alla vicenda del presunto martirio di Simone merita di essere approfondito. I fatti che coinvolsero gli ebrei trentini alla fine del XV secolo furono oggetto di interesse storiografico fin dagli esordi. Le numerose pubblicazioni a stampa prodotte sin dai primi mesi dopo la morte del Simonino ebbero tuttavia lo scopo di diffondere la notizia dell’infanticidio per mano giudaica così che, per tutta l’età moderna, quella fu l’unica versione accettata. Anche la Dissertazione di Benedetto Bonelli, pubblicata a Trento nel 1747, l’articolo di Giuseppe Oreglia uscito ne «La civiltà cattolica» fra il 1881 e il 1882 e la dettagliata ricostruzione degli eventi, che aveva il sapore di un’agiografia, proposta da Giuseppe Divina nel 1902 andavano in quella direzione. A questi, in particolare, mancò la capacità di sottoporre a vaglio critico i verbali dei processi inquisitoriali, accettando quanto i giudici trentini, attraverso le verbalizzazioni scritte, vollero far passare come verità. È con lo studio dell’avvocato trentino Giuseppe Menestrina, uscito sulla rivista «Tridentum» nel 1903 che, per la prima volta, furono messe in discussione le verità fino ad allora accettate, ponendo così all’attenzione il problema storico e critico dei verbali processuali. Negli anni Sessanta del Novecento gli studi di parte ebraica svolti da Gemma Volli, e di parte cattolica svolti da Willehad Paul Eckert, ebbero senza dubbio il merito di aver portato alla luce la verità dei fatti. In anni recenti, si deve a Diego Quaglioni e Anna Esposito la ricostruzione dell’intero procedimento processuale, grazie all’edizione dei processi agli ebrei del 1475 e i processi alle donne fra il 1475 e il 1476.

Bibliografia essenziale

Benedetto Bonelli, Dissertazione apologetica sul martirio del beato Simone da Trento nell’anno MCCCCLXXV dagli ebrei ucciso, Giovanni Battista Parone, Trento 1747; Giuseppe Divina, Storia del Beato Simone da Trento, Artigianelli, Trento 1902; Giuseppe Menestrina, Gli ebrei a Trento, in “Tridentum”, 6, 1903, pp. 304-316, 348-374, 385-411; Willehad Paul Eckert, Il beato Simonino negli “Atti” del processo di Trento contro gli Ebrei, in “Studi Trentini di Scienze Storiche”, 44, 1965, pp. 193-221; Battista de’ Giudici, Apologia Iudaeorum – Invectiva contra Platinam. Propaganda antiebraica e polemiche di Curia durante il pontificato di Sisto IV (1471-1484), a cura di Diego Quaglioni, Roma nel Rinascimento, Roma 1987 (Inedita, 1); Processi contro gli ebrei di Trento (1475-1478), a cura di Anna Esposito, Diego Quaglioni, I: I processi del 1475, CEDAM, Padova 1990 (Dipartimento di scienze giuridiche Università di Trento, 8); Il principe vescovo Johannes Hinderbach fra tardo Medioevo e Umanesimo, a cura di Iginio Rogger - Marco Bellabarba, EDB, Bologna 1992, pp. 381-496 (con particolare attenzione alla sezione “Intorno al caso di Simone da Trento”); Daniela Rando, Dai margini la memoria. Johannes Hinderbach (1418-1486), il Mulino, Bologna 2003 (Annali dell’Istituto storico italo-germanico in Trento. Monografie, 37), pp. 457-491; Ariel Toaff, Pasque di sangue. Ebrei d’Europa e omicidi rituali, il Mulino, Bologna 20072 (Biblioteca storica); Processi contro gli ebrei di Trento (1475-1478), a cura di Anna Esposito - Diego Quaglioni, II: I processi alle donne (1475-1476), CEDAM, Padova 2008 (Dipartimento di scienze giuridiche Università di Trento, 80); Iginio Rogger, In margine al caso Simonino di Trento. Aspetti istituzionali e morali della questione, in Omaggio a Iginio Rogger. Conferimento della laurea honoris causa in Giurisprudenza, Trento, 12 aprile 2006, a cura di Diego Quaglioni, Fulvio Zuelli, CEDAM, Padova 2008 (Dipartimento di Scienze giuridiche Università di Trento, 72), pp. 15-22; Valentina Perini, Il Simonino. Geografia di un culto, con saggi di Diego Quaglioni e Laura Dal Prà, Società di studi trentini di scienze storiche, Trento 2012; Iginio Rogger, Gli scritti sul caso del “Simonino”, in “Studi Trentini. Storia”, 94, 2015, pp. 19-42; Emanuele Curzel, (Simonino) da Trento, in DBI, vol. 92 (2018).

Un ringraziamento speciale ad Emanuele Curzel.

Article written by Stefano Malfatti | Ereticopedia.org © 2017

et tamen e summo, quasi fulmen, deicit ictos
invidia inter dum contemptim in Tartara taetra
invidia quoniam ceu fulmine summa vaporant
plerumque et quae sunt aliis magis edita cumque

[Lucretius, "De rerum natura", lib. V]

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