Dizionario di eretici, dissidenti e inquisitori nel mondo mediterraneo
Edizioni CLORI | Firenze | ISBN 978-8894241600 | DOI 10.5281/zenodo.1309444
Ordini religiosi, missioni e controllo sociale (Italia, età moderna)
Negli anni del concilio di Trento, che affrontò la questione della riforma e della moralizzazione del clero nella sua ultima fase (1562-63), non era chiaro quale ruolo gli ordini religiosi dovessero svolgere nell’ambito della cura d’anime. Il progetto di affidare la cura d’anime esclusivamente ai vescovi e ai parroci, sostenuto anche dal cardinal Giovanni Morone, non si affermò a causa delle pressioni dei numerosi padri conciliari provenienti dalle fila degli ordini religiosi, e questi ultimi riuscirono a conservare le tradizionali prerogative. Nella seconda metà del Cinquecento, inoltre, ascesero al cardinalato e all’episcopato molti chierici regolari, specie sotto i pontificati di Pio V e di Sisto V. Il ruolo degli ordini religiosi venne poi esaltato anche dal difficile avvio dei seminari, mancando il personale specializzato per una adeguata formazione del clero parrocchiale.
Questa importante attività degli ordini religiosi ebbe tra le sue conseguenze un forte sviluppo delle pratiche devozionali (Madonna del Carmine, Immacolata Concezione, Rosario, Quarantore). Inoltre si affermò un nuovo modello “eroico” di santità.
Nell’epoca post-tridentina (e particolarmente nel Seicento) proliferarono gli insediamenti conventuali e i nuovi ordini (specie cappuccini e gesuiti) furono protagonisti di una vigorosa espansione. In particolare, gli ordini religiosi volsero la loro attenzione agli strati più emarginati della società, specie in ambito extraurbano: nacquero così le “missioni rurali”. Prevalse un modello di missione a carattere più penitenziale che catechetico, anche con l’obiettivo di imporre una disciplina sociale alle masse.
Nel Settecento, invece, nuovi ordini religiosi, i lazzaristi e i redentoristi, proposero un tipo nuovo di missione, di stampo catechetico. Le nuove missioni avevano tuttavia anche finalità di conservazione degli assetti della società locale e di pacificazione, poiché le missioni gesuitiche, che tendevano a parificare tutti i fedeli nelle processioni e negli atti penitenziali, avevano iniziato ad essere considerate potenzialmente perturbatrici delle ordinarie relazioni tra ceti sociali. La seconda metà del secolo, tuttavia, vide il declino degli ordini religiosi per l’azione dei governi italiani, che passarono da una politica concordataria a una decisamente anti-curiale ed anti-fratesca. Ne fecero le spese soprattutto i gesuiti. Gli ordini religiosi subirono poi pesantemente il contraccolpo della rivoluzione francese e dell’età napoleonica. Il ruolo egemone nella pastorale ecclesiastica passò allora definitivamente in mano dal clero parrocchiale, che nel frattempo si era molto trasformato rispetto all'epoca tridentina: proprio nella seconda metà del XVIII sec. si completò quel processo di "sacerdotalizzazione" del clero parrocchiale che era rimasto un obiettivo mai raggiunto dei decreti tridentini. Tale obiettivo fu raggiunto molto tardi rispetto alle premesse ed anche grazie alle politiche dei governi riformatori, che avevano tutto l'interesse di meglio inquadrare e disciplinare il clero.
Bibliografia
- Romeo De Maio, Riforme e miti nella Chiesa del Cinquecento, Guida, Napoli 1992.
- Ottavia Niccoli, La vita religiosa nell'Italia moderna. Secoli XV-XVIII, Carocci, Roma 20122.
- Flavio Rurale, Monaci, frati, chierici. Gli ordini religiosi in età moderna, Carocci, Roma 2008.
- Roberto Rusconi, Gli ordini religiosi maschili dalla Controriforma alle soppressioni settecentesche. Cultura, predicazione, missioni, in Mario Rosa (a cura di), Clero e società nell’Italia moderna, Laterza, Roma-Bari 19972, pp. 207-274.
- Paola Vismara, Il cattolicesimo dalla "riforma cattolica" all'assolutismo illuminato, in Giovanni Filoramo, Daniele Menozzi (a cura di), Storia del cristianesimo. L'età moderna, Laterza, Roma-Bari, 1997, pp. 153-290.
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et tamen e summo, quasi fulmen, deicit ictos
invidia inter dum contemptim in Tartara taetra
invidia quoniam ceu fulmine summa vaporant
plerumque et quae sunt aliis magis edita cumque
[Lucretius, "De rerum natura", lib. V]