Dizionario di eretici, dissidenti e inquisitori nel mondo mediterraneo
Edizioni CLORI | Firenze | ISBN 978-8894241600 | DOI 10.5281/zenodo.1309444
Jane Grey (Bradgate Park, ottobre 1537 – Londra, 12 febbraio 1554) è stata una nobildonna inglese, pronipote del re Enrico VIII Tudor e regina di Inghilterra e Irlanda per soli nove giorni, dal 10 luglio al 19 luglio 1553.
Infanzia
Jane Grey, italianizzata in Giovanna Grey, fu una Lady inglese che, alla morte del giovane re Edoardo VI, venne incoronata regina di Inghilterra e Irlanda e tale rimase per soli nove giorni, prima di venire arrestata e imprigionata per tradimento dalla legittima sovrana Maria Tudor, figlia di Enrico VIII.
Ricordata come “la regina dei nove giorni”, Jane trascorse circa sette mesi di prigionia nella Torre di Londra, prima di venire condannata a morte e decapitata insieme al marito a soli diciassette anni.
Nata nella contea del Leicestershire, probabilmente nell’ottobre 1537 (anche se alcuni storici collocano la sua nascita nell’ottobre 1536 o nel giugno/luglio 1537), Jane, il cui nome era un omaggio verso Jane Seymour, la terza moglie del re Tudor, vantava nobilissimi natali: era infatti figlia di Lady Frances Brandon (da cui ereditò il titolo di Lady), a sua volta figlia della principessa Maria Tudor, sorella minore del re Enrico VIII, e di Henry Grey, marchese di Dorset e duca di Suffolk. Inoltre, discendeva dalla regina Elisabetta Woodville sia da parte materna che da parte paterna, poiché uno dei bisnonni paterni era Thomas Grey, figlio di Elisabetta Woodville e del suo primo marito, mentre una bisnonna materna era Elisabetta di York, figlia di Elisabetta Woodville e del suo secondo marito, il re Edoardo IV.
Con una così importante ascendenza, fin dall’infanzia Jane fu posta al centro delle ambizioni di famiglia, anche perché oltre ad essere la primogenita, dopo un fratello e una sorella morti piccolissimi e seguita da altre due sorelle, Catherine e Mary, era anche la quarta in linea di successione al trono Tudor, subito dopo i cugini Edoardo, Maria ed Elisabetta, figli del sovrano Enrico VIII e delle sue prime tre mogli, rispettivamente Jane Seymour, Caterina d’Aragona e Anna Bolena.
Fin da piccolissima, così, a Jane vennero insegnate «tutte le basi delle buone maniere e le virtù femminili della docilità, della passività e dell’obbedienza»1, che la resero una bambina timida, taciturna e riservata. A partire poi dai quattro o cinque anni d’età, dopo che già la sua balia le aveva insegnato l’alfabeto e, di conseguenza, i primi rudimenti della lettura e della scrittura, iniziò per Jane una vera e propria formazione umanistica, comprendente lo studio del latino, del greco, del francese, dell’ebraico e dell’italiano, a cui si aggiungevano lezioni di ricamo, danza e musica, in special modo di strumenti come il liuto e l’arpa. Inoltre, il cappellano domestico, il dottor Harding, si occupò dell’istruzione religiosa della bambina, educandola al protestantesimo e facendo nascere in lei i primi segni di una fede forte e ferma, che non l’avrebbero mai abbandonata.
Lo scopo dei Grey, non avendo un figlio maschio a cui tramandare il titolo e i possedimenti, divenne perciò quello di formare Jane come una perfetta Lady, che avrebbe potuto un giorno sedere sul trono inglese, magari attraverso un’unione matrimoniale con il figlio di Enrico VIII e Jane Seymour, Edoardo. Per questo, nel corso degli anni, la famiglia Grey assunse alcuni tra i migliori precettori e studiosi del tempo e confrontò continuamente il piano di studi e i progressi della piccola Jane con quelli dei figli del sovrano Enrico VIII, in modo da porla su un piano di parità intellettuale e culturale.
L’infanzia di Jane, dunque, fu completamente votata a renderla perfetta per un futuro da Lady e per farle contrarre un buon matrimonio, educandola al meglio e temprandola nel carattere, anche attraverso punizioni e rigidi ordini che le venivano impartiti dai genitori, specialmente dalla madre Frances, che ai suoi modi severi univa anche un’indole dura e fredda. Per questo, quando non era impegnata con lo studio e altre nozioni educative, la piccola Grey preferiva starsene da sola e dedicarsi alla lettura, trovando rifugio nei libri e nella compagnia di se stessa.
La rigida educazione della bambina durò fino al 1546, quando, ad appena nove anni, venne introdotta a corte come dama di compagnia della regina Caterina Parr, sesta moglie del re Tudor. Tale mossa nasceva dal fatto che Enrico VIII aveva mostrato una predilezione per la nipote Frances e per la sua famiglia, in quanto nel suo testamento aveva indicato che, morti i figli di Edoardo e con Maria ed Elisabetta senza prole, a salire sul trono inglese sarebbero stati i discendenti di sua sorella Maria, e quindi la primogenita di Frances, Jane. Così, Frances si era trasferita a corte, entrando in contatto con la regina Parr e con il piccolo Edoardo, coetaneo della figlia Jane, la quale, nonostante la giovanissima età, si fece subito notare dalla sovrana, che la prese sotto la sua ala protettrice.
Per circa un anno Jane visse alla corte reale, ma con la morte del re Enrico VIII, l’ascesa al trono di Edoardo VI e il nuovo matrimonio della regina vedova Caterina Parr con il Lord Ammiraglio Thomas Seymour, la piccola Jane si trasferì nella residenza di Old Manor a Chelsea, sotto la tutela della Parr, per dedicarsi allo studio insieme alle altre due figlie di Enrico VIII, Maria ed Elisabetta.
La vita con Caterina Parr e l’intrigo matrimoniale di Thomas Seymour
Seppur piccola di statura per la sua età e «senza una grande bellezza con i suoi capelli rossi e le lentiggini»2, Jane cresceva sana e con una mente acuta e brillante, grazie anche all’influenza esercitata su di lei dalla regina vedova, da cui assorbì anche i precetti religiosi del luteranesimo, e grazie al programma di studi che condivideva con la cugina Elisabetta, sebbene tra le due vi fosse una differenza d’età di quattro anni. Tale differenza d’età fu probabilmente il motivo per cui, nonostante la condivisione della stessa casa e degli stessi studi, tra Jane ed Elisabetta non si sviluppò un rapporto di intima amicizia, ma il loro legame rimase limitato a scambi di pura cortesia ed educazione.
Dopo il nuovo matrimonio della Parr con Thomas Seymour, Jane continuò a vivere nella loro stessa casa, diventando una delle dame di compagnia della ex regina e continuando, contemporaneamente, a ricevere un’adeguata istruzione: «fu un periodo felice per Jane, studiare sotto la guida della regina vedova e con una bella biblioteca di libri da leggere.»3 La Parr divenne per Jane una inesauribile fonte di ispirazione in ogni campo, tanto che la giovane iniziò ad imitare il modo di vestire e di acconciare i capelli della regina vedova, appassionandosi anche a tutti i suoi passatempi, in primis la musica, che fece legare Jane e Caterina ancora di più.
Pochi mesi dopo, Caterina si scoprì incinta e, allo stesso tempo, iniziarono a susseguirsi una serie di voci malevole sui rapporti tra suo marito e la giovane Elisabetta, sua protetta: secondo le dicerie, il Lord Ammiraglio avrebbe tentato di circuire la giovane ragazza per poterla poi sposare. Ciò causò sia una sofferta separazione tra la Parr e la sua figliastra, che venne allontanata per essere messa al riparo dai pettegolezzi, e sia, nel giugno 1548, un trasferimento di Caterina e del suo seguito, tra cui Lady Jane, al castello di Sudeley, di proprietà del marito.
Negli ultimi mesi della gravidanza, Jane rimase sempre al fianco della ex regina, assistendola anche durante il parto, che avvenne il 30 agosto 1548, e facendo da madrina alla bambina, chiamata Maria; pochi giorni dopo, però, la Parr fu colta da una violenta febbre, identificata come “febbre puerperale”, e, assistita ancora una volta da Jane, che continuò imperterrita per giorni a leggere le Sacre Scritture e a pregare per la guarigione della sua benefattrice, morì a 36 anni. A soli undici anni, così, Lady Grey, completamente vestita di nero, si ritrovò a dover presenziare a una veglia funebre e a presiedere alla processione che scortava il feretro della regina vedova dalla casa alla cappella di Sudeley.
Subito dopo il funerale, Jane fece ritorno a casa, ma non passò molto tempo che il vedovo della Parr, il Lord Ammiraglio Seymour, zio del nuovo re Edoardo VI, cercò di convincere i Grey a mandare nuovamente la figlia maggiore a Sudeley, per continuare ad essere istruita come damigella di corte. Desiderosi di ottenere un buon futuro per Jane, così, i Grey decisero di concedere prima l’affidamento e poi la tutela legale della figlia al Lord Ammiraglio, che quindi avrebbe potuto disporre in prima persona del futuro matrimoniale della giovane. L’idea di Thomas Seymour, infatti, era sempre stata quella di concludere un’unione matrimoniale tra Lady Jane e il re Edoardo VI, per poi sostituire suo fratello Edward Seymour come Lord Protettore del regno e consigliere reale e finire così per governare indisturbato approfittando della giovane età del re e della sua possibile consorte.
Tale piano però fallì miseramente, in quanto il Lord Protettore aveva già ventilato un possibile matrimonio tra il re ed Elisabetta di Valois, figlia del re di Francia Enrico II e di Caterina de’ Medici, anche se poi le trattative sfumarono in un nulla di fatto; l’anno dopo, allora, Seymour tentò di rovesciare Edoardo VI dal trono, ma fu scoperto nelle stanze reali, forse col proposito di ferire o rapire il giovane re, e quindi catturato e condannato a morte per tradimento nel marzo 1549.
Durante le indagini contro il Lord Ammiraglio, per evitare di essere invischiato nei progetti matrimoniali organizzati da Seymour per il re Edoardo VI, il padre di Jane, dopo il quarto interrogatorio da parte del Consiglio del Re, propose un fidanzamento tra la sua figlia maggiore e il figlio maggiore del Lord Protettore del regno, Lord Edward Seymour, conte di Hertford, ma l’unione, espressa solo in forma verbale, non si concretizzò.
Con il successivo arresto del Lord Ammiraglio, i coniugi Grey, per scongiurare il rischio di essere accusati anche loro di tradimento, si affrettarono a riprendere con loro Jane, che ritornò così a Bradgate e continuò i suoi studi in un clima nuovamente rigido e severo. Dopo il fallimento del piano di Thomas Seymour, infatti, Jane perse valore agli occhi dei genitori, che le riservarono un trattamento freddo e non esente da punizioni fisiche e psicologiche, anche perché non ammettevano alcuni piccoli cambiamenti nel carattere della figlia, che ora mostrava «una scintilla di insolenza, un barlume di caparbietà e un guizzo di disobbedienza sul suo volto.»4 L’unico conforto per Jane divenne nuovamente la lettura, anche di testi filosofici come quelli di Platone, e, soprattutto, un’immersione totale nello studio della teologia, che la giovane unì ai precetti del luteranesimo, inculcatigli dalla regina vedova Parr.
Per alcuni anni, Jane rimase nella casa di famiglia, con le speranze di unirla in matrimonio al giovane re che si affievolivano sempre di più; inoltre, la caduta di Thomas Seymour ebbe ripercussioni anche sul fratello Edward, che perse la fiducia del re e venne prima destituito dal suo incarico di Lord Protettore e poi finì per essere giustiziato nel 1552. Al suo posto emerse una nuova figura, John Dudley, primo duca di Northumberland e già Lord Presidente del Consiglio del Re, che avrebbe completamente cambiato il destino della giovane Jane Grey.
L’accordo Dudley-Grey e il matrimonio con Lord Guilford Dudley
Dopo l’esecuzione del Lord Protettore Seymour e l’ascesa di Lord Dudley come suo sostituto, i piani della famiglia Grey per Jane cambiarono completamente: nell’inverno del 1552 il re Edoardo VI si ammalò gravemente, forse di tubercolosi, e ciò rese evidente come il giovane non sarebbe riuscito a rimanere in vita abbastanza a lungo da poter sposare e generare un erede con la maggiore delle sorelle Grey.
Così Lord Dudley, che ormai si identificava come reggente del regno, cercò di stipulare un patto vantaggioso per sé e per la famiglia Grey attraverso una precisa strategia politica: il testamento di Enrico VIII e la Legge di Successione risalente al 1536 decretavano in maniera diretta l’esclusione dalla successione degli eredi di Margherita Tudor, sorella maggiore del re Enrico, in quanto discendenti da parte scozzese e quindi “stranieri” (in quanto la Scozia non faceva parte del dominio inglese); ma mentre il testamento del precedente sovrano stabiliva che le sue due figlie, Lady Maria e Lady Elisabetta, si avvicendassero sul trono dopo Edoardo VI e la sua prole, la Legge di Successione invece le reputava figlie illegittime e quindi da escludere come eredi. In tal modo, il trono inglese poteva direttamente passare ai discendenti di Maria Tudor, sorella minore del re Enrico e madre di Frances Brandon, che a sua volta avrebbe ceduto il trono alla figlia primogenita, Jane. Quest’ultima, inoltre, avrebbe dovuto sposare il figlio minore di Lord Dudley, Guilford, «un bel ragazzo di diciassette anni, alto e biondo»5, e una volta che i due giovani fossero saliti al trono, sarebbero state le loro famiglie di fatto a governare l’Inghilterra e a detenere tutto il potere.
Tale accordo, vantaggioso per entrambe le parti, venne siglato con la condizione però, espressa dai genitori di Jane, che il matrimonio tra i due giovani non venisse consumato finché non fosse stato certo che Lady Jane sarebbe stata incoronata come regina d’Inghilterra.
Una volta stipulato l’accordo, Lord Dudley tornò a corte, dove si adoperò per far in modo che il suo progetto prendesse una valenza legale, iniziando una vera e propria opera di convincimento affinché il giovane e facilmente influenzabile sovrano scavalcasse il testamento paterno e, quindi, le volontà di Enrico VIII legate alla successione. Il compito, in realtà, non fu arduo: Edoardo VI era un convinto protestante ed era già contrario che a succedergli fosse la sua sorellastra Maria, fervente cattolica, perché temeva che avrebbe ricondotto l’Inghilterra sotto il giogo del Papa.
Pertanto, Lord Dudley spinse affinché il giovane re scegliesse la sua coetanea Lady Jane come sua erede diretta, essendo come lui di fede protestante, e sottoscrivesse esplicitamente nel suo testamento l’esclusione non solo della sorellastra Maria ma anche della sorellastra Elisabetta, venendo meno alle volontà paterne. Ciò, in realtà, andava contro una legge del Parlamento: nel 1544, in seguito alla riconciliazione del re Enrico VIII con le sue due figlie, era stata emanata una nuova Legge di Successione che reintegrava come eredi, dopo Edoardo VI, sia Maria che Elisabetta, nonostante fossero ritenute ancora illegittime; la stessa legge, inoltre, conferiva al sovrano la facoltà di poter determinare, attraverso le sue ultime volontà, i suoi successori al trono, cosa che Enrico VIII aveva fatto, scegliendo come eredi, nel suo testamento, prima Edoardo VI e poi le sue due figlie. Nessuna legge, però, aveva concesso lo stesso diritto al giovane Edoardo: l’attuale re, cioè, non poteva con il suo testamento indicare i suoi eredi al trono, ma avrebbe dovuto attenersi alle volontà paterne e alle precedenti Leggi di Successione; entrambe le leggi, però, ritenevano sia Maria che Elisabetta illegittime e ciò bastava a convincere il sovrano di doverle escludere dalla successione, scegliendo di propria volontà Lady Jane Grey come erede.
Una volta assicurata la successione alla primogenita Grey, Lord Dudley e il padre di Jane decisero di fidanzare ufficialmente i loro figli, nonostante le proteste di Jane, che non solo odiava la famiglia Dudley ma si sentiva ancora legata alla precedente promessa di matrimonio, seppur mai realmente siglata ed espressa solo a voce, con Lord Edward Seymour, ormai considerato un pessimo partito, dopo la condanna a morte del padre.
La decisone, però, era ormai presa e il 25 maggio 1553 a Durham House, Jane, con «un vestito color porpora reale con una sopravveste in broccato dorato tempestata di diamanti e perle»6, e Guilford vennero uniti in matrimonio, in una cerimonia condivisa con la sorella di Jane, Catherine Grey, che sposò l’erede del conte di Pembroke, Lord Henry Herbert, e con la sorella di Guilford, Catherine Dudley, che venne maritata all’erede del conte di Huntingdon, Lord Henry Hastings.
Il re Edoardo non riuscì a presenziare alla cerimonia per i suoi problemi di salute ma inviò ai due sposi alcuni regali, tra cui «stoffe d’oro, tessuti argento, viola, nero, cremisi e bianco, un collare di grandi perle e fiori smaltati, tredici diamanti da tavola incastonati in oro, una cintura d’oro e molti altri ornamenti ingioiellati»7, per manifestare la sua approvazione all’unione e le sue felicitazioni.
Dopo le nozze, Jane rimase brevemente nella casa del marito a Durham, ma alcuni problemi di salute la costrinsero a trasferirsi nella residenza di Chelsea, dove aveva abitato con la sua benefattrice Caterina Parr. Nel breve tempo trascorso insieme, i due giovani provarono a conoscersi, nonostante i loro caratteri assai differenti: Guilford era un ragazzo esuberante, dedito allo sport e alla caccia e amante dei piaceri della vita, mentre Jane era una ragazza riflessiva, silenziosa e impegnata nello studio. I due non riuscirono mai completamente a trovare un punto di incontro e il matrimonio, col benestare dei rispettivi genitori, fu consumato solo un mese dopo; in seguito, sebbene Guilford fosse continuamente controllato e pressato dalla madre e i due dormissero in camere separate, il rapporto tra marito e moglie si ammorbidì ed entrambi iniziarono a provare affetto l’uno per l’altra, ancora inconsapevoli che avrebbero finito per condividere lo stesso amaro destino.
L’ascesa al trono inglese e il regno dei “nove giorni”
Subito dopo il matrimonio tra Jane e Guilford, le condizioni del re Edoardo VI peggiorarono seriamente, portando tutti a credere che la sua fine fosse vicina: così, approfittando delle deboli condizioni del sovrano, Lord Dudley lo convinse ad inserire nel suo testamento l’esatta specifica che, nel caso della sua morte, «il trono doveva passare a Lady Jane Grey e ai “suoi” eredi maschi»8, scavalcando direttamente Frances, la madre di Jane. Il testamento venne poi ratificato dall’intero Consiglio Privato del re, che quindi accettò le sue nuove disposizioni sulla successione al trono e preparò i documenti necessari a far sì che le ultime volontà reali fossero approvate anche dal Parlamento nel settembre dello stesso anno.
Quando la notizia delle disposizioni del re sulla successione al trono venne comunicata da John Dudley in persona alla famiglia Grey, Henry Grey si infuriò per l’estromissione diretta di sua moglie Frances dalla successione, mentre Jane fu assalita dalla tristezza, non avendo mai mirato alla corona e non volendo inimicarsi coloro che lei considerava le vere eredi al trono, ossia Maria e poi Elisabetta Tudor.
Nonostante le rimostranze di Lady Grey, convinta che il giovane re potesse ancora guarire, sposarsi e generare un vero erede al trono, la salute di Edoardo VI continuò a peggiorare e il giovane morì a soli 15 anni, il 6 luglio 1553 a Greenwich; fin da subito, iniziò a circolare una voce secondo cui, per accelerarne la fine, John Dudley avrebbe avvelenato il giovane re per mantenere intatta la sua carica di reggente, anche se la successione era stata già assicurata alla moglie di suo figlio Guilford.
La morte del re non venne subito divulgata, per permettere di intessere nuove alleanze tra i sostenitori dei Dudley e dei Grey e per preparare al trono la nuova regina: quando però, il 9 luglio, a Jane venne comunicata la morte del sovrano e il suo nuovo ruolo come futura regina inglese, la giovane rifiutò categoricamente di prendere un posto che, secondo lei, non le spettava, affermando che l’unica vera erede era Lady Maria Tudor, sorellastra del defunto re. Allora, Lord Dudley cercò di convincerla ad accettare la successione per poter mantenere la fede anglicana in Inghilterra ed evitare che Maria, una volta salita al trono, la sostituisse con la fede cattolica che professava ardentemente. Dinanzi a tale ragione, Lady Jane capitolò ed accettò di diventare regina per i suoi forti sentimenti religiosi: il 10 luglio 1553 Jane Grey, a soli sedici anni, venne ufficialmente proclamata regina d’Inghilterra e Irlanda, rifiutandosi però di nominare suo marito Guilford come re, atto che avrebbe richiesto la piena adesione del Parlamento, e concedendogli soltanto il titolo di duca di Clarence, normalmente riservato al figlio minore del sovrano.
Dopo la proclamazione, e mentre la notizia della nuova regina si estendeva a tutto il regno, Jane sfilò con un piccolo corteo fino alla Torre di Londra, dove prese possesso degli appartamenti reali in attesa dell’incoronazione ufficiale. E in tali appartamenti si rifugiò per gran parte del tempo, temendo che Lord Dudley potesse avvelenarla, come si vociferava avesse già fatto precedentemente con Edoardo VI. Tale paura le era nata dalla «caduta di tutti i suoi capelli e la desquamazione della sua pelle»9, che Jane aveva iniziato a notare da quando le era stato comunicato di dover diventare regina e che poteva in realtà ricondursi a una condizione di stress e fatica per gli ultimi avvenimenti che l’avevano coinvolta.
E proprio nei suoi appartamenti, il 12 luglio, venne informata che sua cugina, Maria Tudor, alla notizia della morte del fratellastro, si era autoproclamata regina d’Inghilterra, rispettando le volontà paterne, e aveva iniziato a radunare intorno a sé uno stuolo di sostenitori che la riconoscevano come legittima erede al trono dopo Edoardo VI.
Dal canto suo, Lord Dudley, che avrebbe voluto catturare Maria se questa si fosse presentata al capezzale del fratellastro, provò ad isolarla e raccogliere intorno a sé non solo i membri del Consiglio Privato ma anche nobili ed ecclesiastici che perorassero la causa di Jane come legittima sovrana d’Inghilterra, sperando che i focolai in favore di Maria si estinguessero rapidamente.
La Grey, intanto, aveva abbracciato la sua missione come guida degli inglesi e iniziava a voler difendere i suoi nuovi diritti, per evitare che il paese si trasformasse nuovamente in cattolico e fermasse l’avanzata della Riforma Protestante. Inoltre, nonostante gli aspri litigi con marito Guilford, che premeva affinché Jane gli concedesse il titolo di re, la giovane non si fece piegare dalle sue proteste, affermando che era stata scelta lei e lei sola come successore del precedente sovrano e liquidando sempre la faccenda come una competenza del Parlamento.
Quando sempre più persone iniziarono a riconoscere Maria, e non Jane, come sovrana d’Inghilterra, la giovane Grey concesse a Lord Dudley, sempre più preoccupato, di radunare un esercito e partire verso l’East Anglia, dove la Tudor era già stata ampiamente riconosciuta come sovrana, per provare a fermare i sostenitori di Maria e magari catturarla.
Con la partenza di Lord Dudley, però, molti membri del Consiglio, che fino a quel momento si erano riuniti intorno a Jane nella Torre e le avevano giurato fedeltà, cercarono di allontanarsi e Jane dovette far chiudere i cancelli per evitare una vera e propria defezione di tutta la nobiltà. Entro il 18 luglio, però, la maggior parte del Consiglio Privato era riuscito a lasciare la Torre e la sera del 19 luglio tutti i suoi membri proclamarono Maria Tudor regina d’Inghilterra a Londra.
Appena Lord Dudley fu informato della decisione del Consiglio, capendo che ormai era tutto perduto, cercò di salvarsi proclamando Maria come sua regina a Cambridge, ma fu poco dopo arrestato, rinchiuso nella Torre e successivamente decapitato per tradimento.
Jane, invece, capì che la sua causa era persa quando, il 19 luglio, vide suo padre entrare nella sala dove stava cenando e strappare con le sue mani il drappo di seta dorata che identificava il suo status come regina inglese, per poi asserire «che questo luogo non le apparteneva più, dovendo sottomettersi alla Fortuna come mutevole e invidiosa dei suoi stessi doni»10 e proclamare egli stesso Maria Tudor come sua sovrana, prima di fuggire verso la sua casa di Londra.
Da quel momento, Jane venne trattenuta come prigioniera nella Torre, insieme al marito e alla madre di lui, e, seppur spaventata, era sicura che presto Maria l’avrebbe lasciata libera, una volta che le due si fossero incontrate e che Jane le avesse spiegato come le «era stato consigliato, a dire il vero ordinato, di prendere la corona da autorevoli saggi»11 e che lei non aveva mai avuto desiderio di essere regina.
Anche il padre di Jane, nonostante avesse prontamente proclamato come sua regina Maria, rischiava di essere fatto prigioniero ma, dopo l’intercessione della moglie presso la nuova e legittima sovrana, venne perdonato e lasciato libero di entrare a far parte del nuovo Consiglio Privato della regina, mentre la stessa madre di Jane e le sue due sorelle minori vennero trattenute presso la corte, come dame d’onore.
Così, dopo soli nove giorni, finiva il regno di Jane Grey e iniziava quello che sarebbe stato l’ultimo e più sanguinoso capitolo della sua storia.
Il processo e la morte
Nonostante Jane sperasse ardentemente «nel perdono della “misericordiosa principessa” Maria»12, era però necessario che fosse istituito un processo, in modo da essere completamente e pubblicamente scagionata dall’accusa di tradimento. Nei mesi che precedettero tale processo, la Grey si abituò a vivere nella Torre, avendo comunque una certa libertà, alcune dame a servirla e, soprattutto, i suoi libri con cui studiare, anche se rimaneva separata da suo marito, confinato in un altro lato della Torre.
Nel settembre 1553, il Parlamento dichiarò Maria come legittima erede al trono e revocò la proclamazione di Jane, che venne etichettata come usurpatrice; il 13 novembre dello stesso anno, poi,
a Guildhall, nella City di Londra, si tenne il processo, in forma pubblica, della Grey e di suo marito: nonostante l’accusa spingesse per dimostrare irrevocabilmente la colpevolezza di Jane, la giovane, completamente «vestita di nero, con un libro di velluto nero appeso al suo vestito e un altro in mano»13 in segno di penitenza, si mostrò calma e composta e ribadì la sua innocenza e la sua estraneità al complotto ordito per renderla regina. Il tribunale, però, finì per accusare Jane e Guilford di alto tradimento e sentenziò per entrambi la condanna a morte, sulla base di alcuni documenti, redatti durante il “regno” della Grey, che recavano la firma “Jane the Quene” e che rendevano così la giovane imputabile come pienamente partecipe al piano di renderla regina al posto della legittima erede Maria. Quest’ultima, però, restia a voler sacrificare un membro della famiglia, che comunque giudicava ancora innocente, si riservò l’ultima parola, sospendendo l’esecuzione della pena e rinchiudendo di nuovo Jane e il marito nella Torre.
Nei mesi successivi, nonostante la prigionia nella Torre, la Grey fu trattata con riguardo e le fu concesso anche di poter passeggiare, scortata, nei giardini e oltre le mura della Tower Hill, dove era reclusa; la stessa cortesia venne riservata anche a suo marito Guilford, ma i due non si incontrarono mai e rimasero sempre separati.
Intanto, la nuova sovrana cercò di trovare un possibile escamotage per salvare la vita della giovane Jane: le propose il perdono, e quindi la libertà, in cambio dell’abbandono della fede protestante in favore di quella cattolica, in modo che non potesse più costituire una minaccia in qualche futuro complotto per ripristinarla sul trono d’Inghilterra. Così, le inviò il decano della cattedrale di San Paolo, John Feckenham, col compito di riportare Jane alla vera fede; tra i due si sviluppò una sincera amicizia, ma Jane rifiutò sempre la conversione al cattolicesimo e anzi, più volte, inviò a Maria delle lettere in cui spiegava le ragioni del suo rifiuto di piegarsi alla fede cattolica, rimanendo però inascoltata.
Purtroppo, nel gennaio 1554, un nuovo complotto decretò la fine di Jane e delle sue speranze di essere rilasciata: quando Maria Tudor, infatti, decise di sposare il cattolicissimo Filippo II di Spagna, figlio di suo cugino Carlo V, i protestanti inglesi, contrari a vedere sul trono un cattolico come la sovrana e per di più straniero, organizzarono una rivolta contro la regina, guidata da Thomas Wyatt il Giovane. Questi marciò verso Londra intenzionato a rovesciare il regno di Maria e a posizionare sul trono la sorellastra Elisabetta, di fede protestante, e alla sua causa si unì anche Henry Grey, padre di Jane, che voleva impedire il matrimonio cattolico scelto dalla regina e un conseguente riavvicinamento tra l’Inghilterra e la Chiesa di Roma. Wyatt però fu presto sconfitto dalle truppe reali e in seguito giudicato colpevole di tradimento e condannato a morte, così come il padre di Jane.
A questo punto, il tribunale decise di procedere con la condanna a morte della Grey e di Guilford Dudley e l’esecuzione venne fissata per il 9 febbraio 1554: la regina, però, pur sapendo di dover dare il suo pieno consenso, rinviò di tre giorni la messa a morte dei due giovani, inviando nuovamente da Jane il decano Feckenham per convincerla a convertirsi al cattolicesimo e a salvare così la sua anima; Jane però si rifiutò ostinatamente, difendendo per tutti e tre i giorni le convinzioni che la spingevano a rimanere una protestante, e permise solo che il decano fosse colui che l’avrebbe accompagnata al patibolo in nome dell’amicizia che li aveva legati.
L’ultima notte prima dell’esecuzione, Jane scrisse alcune lettere di congedo per la famiglia e pregò continuamente, accettando il suo destino di martire e rifiutandosi di passare le ultime ore che le rimanevano con il marito Guilford, certa che i due si sarebbero ritrovati in un luogo migliore. Nella sua ultima dichiarazione scritta, dove ribadì di aver agito come una ragazza ingenua e imprudente, si augurò infine che «Dio e i posteri mi mostreranno più indulgenza.»14
La mattina del 12 febbraio, dopo aver preparato il patibolo sulla Tower Hill, il primo ad essere decapitato fu il giovane Dudley; con fermezza, Jane aspettò alla finestra che passasse il carro che trasportava il corpo del marito e gli porse un ultimo saluto, realizzando di essere ormai arrivata alla fine della sua vita. Poi, dopo essere stata accuratamente esaminata per cercare eventuali tracce di una gravidanza, venne scortata da due dame di compagnia, vestita con lo stesso abito nero del suo processo e con il suo libro di preghiere tra le mani, verso la Tower Green, il luogo della sua esecuzione. Una volta sul patibolo, si congedò brevemente dalla piccola folla che era stata chiamata ad assistere alla sua fine, professando ancora una volta la sua innocenza in qualsiasi complotto contro la regina Maria e dichiarando la sola colpa di aver ceduto, per ingenuità, ad accettare una corona che non le spettava.
Mentre si disfaceva del copricapo e degli ornamenti, il boia le chiese perdono, dopodiché Jane si inginocchiò e si bendò gli occhi, non riuscendo però a trovare il ceppo su cui poggiare il capo; presa dal panico, fu gentilmente aiutata dal decano Feckenham e, dopo aver mormorato “Signore, nelle tue mani affido il mio spirito”, venne decapitata in un sol colpo.
In pochi istanti, terminava la vita di Jane Grey, la “regina dei nove giorni”, che a quasi diciassette anni era riuscita a dimostrare come una donna, giovane e sola, potesse sedere sul trono di Inghilterra, e iniziava così nel sangue il regno di Maria I Tudor, che sarebbe passata alla storia proprio con l’appellativo di “Bloody Mary”, “Maria la Sanguinaria”.
I resti di Jane Grey, ricomposti, vennero dapprima sepolti in una tomba anonima e in seguito, nel 1876, per disposizione della regina Vittoria, vennero traslati nella Cappella reale della Chiesa di San Pietro ad Vincula, accanto alle spoglie di altre due sfortunate regine decapitate, Anna Bolena e Caterina Howard, e lì sarebbero rimasti a simboleggiare per sempre il luogo di riposo di una tragica vittima della spietata regina cattolica Maria.
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- Leanda De Lisle, Tudor. Passion, Manipulation, Murder. The Story of England’s Most Notorious Royal Family, Public Affairs, New York, 2013.
- Nicola Tallis, Crown of blood. The deadly inheritance of Lady Jane Grey, Pegasus Books Ltd, New York, 2016.
- Philippa Gregory, L’ultima Tudor, Sperling e Kupfer, Milano, 2019.
- Raffaele D’Amato, Le grandi dinastie che hanno cambiato la storia, Newton Compton Editori, Roma 2014.
Article written by Martina Tufano | Ereticopedia.org © 2023
et tamen e summo, quasi fulmen, deicit ictos
invidia inter dum contemptim in Tartara taetra
invidia quoniam ceu fulmine summa vaporant
plerumque et quae sunt aliis magis edita cumque
[Lucretius, "De rerum natura", lib. V]