Dizionario di eretici, dissidenti e inquisitori nel mondo mediterraneo
Edizioni CLORI | Firenze | ISBN 978-8894241600 | DOI 10.5281/zenodo.1309444
Giovanni Rasori (Parma, 20 agosto 1766 – Milano, 12 aprile 1837) è stato medico, filosofo, scienziato e giacobino.
Giovanni Rasori nacque a Parma il 20 agosto 1766. La formazione di Giovanni comprendeva anche studi umanistici e la conoscenza delle lingue moderne, il francese, l'inglese e il tedesco. Coltivando la musica e il disegno, il giovane fu ammesso alla Scuola del Nudo dell'Accademia di Belle Arti di Parma dove ottenne anche alcuni premi. Si laureò a 19 anni in Medicina a Parma, dove ebbe maestro il luminare di anatomia Michele Girardi (1731-1797), che era stato a sua volta discepolo di Giovan Battista Morgagni (1682-1771). Dopo la laurea si recò a Firenze, come studente meritevole a spese del Duca di Parma Ferdinando di Borbone e si perfezionò alla scuola di anatomia di Michelangelo Gianetti (1743-1796), che metteva in risalto l'esigenza di fondare la chirurgia nelle solide basi dell'anatomia patologica. Gianetti, buon conoscitore della cultura scientifica inglese, fece conoscere al Rasori la teoria di John Brown (1735-1788), per la quale il giovane medico partirà per l'Inghilterra, soggiornando a Londra, Cambridge e Oxford ed in Scozia ad Edimburgo. Nel 1791 tornò all'Università di Pavia, che godeva di un periodo di grande splendore, con docenti del calibro di Lazzaro Spallanzani, Alessandro Volta e Antonio Scarpa. A Pavia il clinico Johan Peter Frank aveva definito Rasori un “giovane di acutissimo ingegno”. In quegli anni il giovane medico aveva tradotto l'opera di Brown, che verrà pubblicata nel 1792 a Pavia con il titolo Compendio della nuova dottrina medica.
Nel capoluogo lombardo abbracciò le idee giacobine e quando nel maggio i francesi vennero a Milano, il nuovo governo gli affidò la cattedra di Patologia nell'Università di Pavia. Rasori fu anche acclamato Rettore dagli studenti e contemporaneamente gli venne affidato l'incarico di sovrintendere al Collegio Ghislieri di Pavia, da poco rinominato Collegio Nazionale. La riforma rasoriana lasciò un segno indelebile nel Collegio che, anche dopo il suo breve rettorato, non tornerà più sotto tutela ecclesiastica. Rasori mise in atto una serie di riforme veramente rivoluzionarie: combatté accanitamente il mercimonio delle lauree affermando che ”le Università vendono le lauree come il Papa le indulgenze”, impedì ai figli dei nobili di arrivare alla laurea senza aver sostenuto gli esami come era di uso comune.
Fra i grandi cambiamenti apportati va ricordato il calendario universitario che si ispirò a quello repubblicano francese: i santi vennero sostituiti con figure laiche di grande rilievo nel mondo scientifico e umanistico: Brown, Galilei, Newton, Voltaire, Rousseau, Dante, Boccaccio, Petrarca, Molière, Seneca, Tacito per citarne alcuni.
I suoi studenti vennero da lui portati fuori dalle aule universitarie per frequentare le corsie ospedaliere; Rasori capì l’importanza della pratica medica durante gli studi universitari. Tra le riforme universitarie da lui applicate va ricordato il livellamento degli stipendi dei cattedratici, indipendentemente dall’anzianità. Con grande dissenso di Spallanzani, Scarpa e Moscati. A Milano fu nominato commissario governativo presso l'Ospedale Maggiore e in quel periodo arruolò volontario come medico dell'armata franco-cisalpina. Durante l'assedio di Genova si prodigò nel combattere la febbre epidemica, da lui riconosciuta come petecchiale, che allignava nella popolazione e nelle truppe tra il 1799 e il 1800. Dopo la battaglia di Marengo (1800), il governo repubblicano lo nominò protomedico di Stato con incarico di ispettore generale di sanità. Nel 1802 Rasori era editore in Milano degli Annali di Medicina, ma la pubblicazione fu interrotta dalla censura per la violenza con la quale l'autore si scagliava contro Scarpa e Moscati. Nel triennio 1803-1805 pubblicava la Zoonomia di Erasmo Darwin, da lui tradotta in italiano con una prefazione e note originali. Nel 1806 gli venne affidata la Clinica Medica dell'Ospedale Maggiore di Milano e in seguito anche quella dell'Ospedale Militare di sant'Ambrogio. Nel 1810 scriveva insieme a Ugo Foscolo negli Annali di Scienze e Lettere, periodico pubblicato fino al settembre 1813. Nella professione medica le teorie patologiche e le pratiche terapeutiche da lui avvallate lo condussero al centro di alcune polemiche, dividendo il mondo medico in rasoriani e antirasoriani. Anche Scarpa e Moscati, un tempo suoi ammiratori, si schierano contro quello che definivano, per l'uso dei salassi, un “vampiro”. Le pagine degli Annali gli serviranno come pulpito per confutare le tesi degli avversari che arriveranno addirittura a pubblicare un libello dove si voleva convincere che, nelle cliniche seguite da Rasori, la mortalità era più alta rispetto alle altre cliniche. I suoi seguaci (“uditori di sue sublimi lezioni”) di contro gli consegnavano, nel 1808, una medaglia in riconoscimento delle sue doti di clinico e maestro. Ma la storia politica prendeva il sopravvento. Napoleone nel maggio del 1814 era all'Elba e l'Austria cercava di riprendere il potere a Milano. Con uno dei primi provvedimenti si allontanarono da Milano di tutti i “forestieri” che rivestivano cariche pubbliche e tra essi Rasori, che perse tutti gli incarichi e lo stipendio. Non riuscì comunque a rimanere fuori dalle vicende politiche e prese parte ad una congiura che sperava di vedere il ritorno in Italia di Napoleone. Ma venne tradito e nel dicembre del 1814 fu tradotto in carcere, in un primo momento nel Castello in Milano e poi nelle prigioni di Mantova. Rasori fu condannato a morte e poi per clemenza dell'imperatore austriaco la condanna fu commutata in poco più di tre anni di carcere. In quel periodo la notizia della sconfitta di Waterloo arrivò ai prigionieri come una delusione cocente. Rasori si diede alla scrittura di poesie e di traduzioni delle Lettere sulla Mimica di Johann Jacob Engel, pubblicate poi nel 1818-1819. Anche in questo contesto Rasori metteva in evidenza il suo temperamento aperto, associando la scienza alla poesia, con il gusto per l'analisi delle emozioni, degli affetti, degli stati d'animo. Le condizioni igienico sanitarie del carcere di Mantova, con l'insalubre aria umida, portavano i detenuti ad ammalarsi e Rasori curava se stesso e gli altri.
Nel settembre 1816 Rasori fu rimandato nella Rocchetta del Castello in Milano, dove resterà per un anno fino al marzo del 1818. Al Rasori finalmente libero dalla prigione, fu imposto di ritornare nella città natale (dove lui stesso diceva esserci più medici che abitanti). Gli si offrirono incarichi a Spoleto e a Faenza, che non si concretizzarono. Pareva invece destinato ad arrivare a compimento l'incarico di medico personale della principessa del Galles, Carolina di Brunswick, futura regina d'Inghilterra, moglie di Giorgio IV. Alla principessa il Rasori era stato consigliato da Giacomo Tommasini, clinico a Bologna e amico di Rasori. Sappiamo che si recò alla residenza in Italia della Principessa, alla Villa di Caprile presso Pesaro, dove restò solo alcuni mesi, consapevole di non essere adatto alla vita di corte. Tornò a Milano nel giugno del 1818, dopo aver ricevuto da Vienna il permesso di soggiornare negli Stati Austriaci. Qui Silvio Pellico gli presentò il conte Luigi Porro Lambertenghi, al quale Rasori dedicò la traduzione dal tedesco (redatta durante la permanenza in carcere), delle Lettere intorno alla mimica di Johann Jacob Engel con una lunga lettera introduttiva. Grazie a questa conoscenza, collaborò con Il Conciliatore. Il Foglio azzurro, cosiddetto per il colore della carta sulla quale viene stampato, durò circa un anno e poi fu chiuso dal Governo austriaco. Rasori cercò di andare a Parigi e ad un certo momento sembrò proprio un desiderio che si poteva avverare, anche grazie all'aiuto di un suo allievo Giovanni Fossati (1786-1874). Ma Parigi e la Francia restarono una meta desiderata: il medico non le vedrà mai. Nel 1819 ricevette un'offerta per la cattedra di Clinica medica nell'Università di Palermo, ma per questioni familiari rifiutò. Trascorse gli ultimi anni occupandosi della divulgazione della sua Teoria della flogosi, pubblicata in un volume nel 1837. Nel 1836, quando la Lombardia fu invasa dal colera, il medico ormai settantenne, bandito da tutti gli ospedali milanesi dopo la cospirazione militare, si offrì volontario nel reparto dei colerosi dell'Ospedale Fatebenefratelli di Milano. Sopravvisse al colera, ma non scampò all’epidemia influenzale dell'anno successivo; a causa di complicanze polmonari, morì nella notte tra il 13 e il 14 aprile 1837.
Bibliografia
- Guglielmo Bilancioni, Giovanni Rasori. Medico e patriota, Pacini Mariotti, Pisa 1929.
- Giorgio Cosmacini, Scienze mediche e giacobinismo in Italia: l’impresa politico-culturale di Giovanni Rasori, 1796-1799, Franco Angeli, Milano 1982.
- Giorgio Cosmacini , Il medico giacobino, Laterza, Roma-Bari 2002.
- Giulia Delogu, “Compagno delle vostre fatiche”. Giovanni Rasori maestro di virtù nella Pavia del triennio repubblicano (1796-1799), Cisalpino, Milano 2015.
- Johann Jacob Engel, Lettere intorno alla mimica, Pirotta, Milano 1818.
- Carlo Frati, Ricordi di prigionia: memorie autobiografiche e frammenti poetici di Giovanni Rasori, F.lli Bocca, Torino 1919.
- Ettore Janni, I medici del Risorgimento: Giovanni Rasori (nel primo centenario della morte), “Il giardino di Esculapio”, X, 2, 1937, pp. 4-41.
- Achille Monti, Giovanni Rasori nella storia della scienza e dell’idea nazionale, in Lezioni e conferenze. Corsi autunnali per italiani e stranieri tenuti nella R. Università di Pavia, Istituto Pavese di Arti Grafiche, Pavia 1928.
- Giovanni Rasori, Rapporto sullo stato dell’Università di Pavia, 1799, in Giorgio Cosmacini, Scienze mediche e giacobinismo in Italia: l’impresa politico-culturale di Giovanni Rasori, 1796-1799, Franco Angeli, Milano 1982.
Article written by Giovanni Rasori | Ereticopedia.org © 2019
et tamen e summo, quasi fulmen, deicit ictos
invidia inter dum contemptim in Tartara taetra
invidia quoniam ceu fulmine summa vaporant
plerumque et quae sunt aliis magis edita cumque
[Lucretius, "De rerum natura", lib. V]