Alione, Giovan Giorgio

Dizionario di eretici, dissidenti e inquisitori nel mondo mediterraneo
Edizioni CLORI | Firenze | ISBN 978-8894241600 | DOI 10.5281/zenodo.1309444


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Giovan Giorgio Alione (Asti, 1460? - Asti, 1521?) è stato un drammaturgo e poeta, autore di farse dialettali e di componimenti in latino macaronico, le cui opere furono sottoposte a censura per i loro toni irriverenti e antiecclesiastici.

1. Vita

Le indicazioni biografiche sul poeta astigiano Giovan Giorgio Alione sono limitate a pochi documenti, nonché alle indicazioni contenute nei testi poetici. La nascita è ipotizzata attorno al 1460, prendendo spunto dai primi componimenti databili all’ultimo decennio del Quattrocento e ai primi decenni del Cinquecento: nella Comedia del’homo e de soi cinque sentimenti e nella Farsa del braco e del milaneiso inamorato in Ast vi sono allusioni alla calata in Italia di Carlo VIII; nella Farsa de Sebrina sposa quale fece el figliolo in cappo del meise è menzionata la presenza di Luigi XII; alcuni componimenti in lingua francese sono dedicati all’arrivo di Francesco I e alla vittoria durante la battaglia di Marignano. In vita dell’autore le poche tracce conservate attestano la proprietà di terreni ad Asti, durante il secondo decennio del secolo XVI, e la nomina come capitano del castello di Monte Rainero da parte di Francesco I (post 1515). Resta incerta anche la data di morte dell’autore, ipotizzata attorno al 1521.
Sono da considerare con prudenza i vari accenni ai viaggi dell’autore, ad esempio nella città di Gand, in Fiandra, mentre sarebbero plausibili gli studi a Parigi, per la cospicua produzione letteraria dell’Alione in lingua francese. Lo studioso Bruno Cotronei propone inoltre di riconoscere l’Alione (mai nominato nei testi) nel personaggio ricorrente delle farse Ian Peiroer, ora buffone, ora chiamato a testimone, ora addirittura sorta di veterinario.

2. Opere

La produzione letteraria di Giovan Giorgio Alione è riunita entro l’Opera jocunda, stampata dall’astigiao Francesco de Silva nel 1521. L’edizione si inaugura con il componimento in latino macaronico intitolato Macarronea contra macarroneam Bassani e si chiude con alcuni componimenti d’occasione, in lingua francese, in cui sono celebrate le vittorie delle truppe francesi (1494-1515). Segue, come incorniciata, la produzione dialettale con una “commedia” e nove “farse”:

1. Comedia de l’homo e de soi cinque sentimenti
2. Farsa de Zôhan Zavatero e de Biatrix soa mogliere e del prete ascoso sotto el grometto
3. Farsa de doe vegie repolite quale voliano reprender la giovene (Farsa di Gina e Reluca)
4. Farsa de la dona quale dal franzoso se credia havere la robba de veluto
5. Farsa sopra el litigio de la robba de Nicolao Spranga astesano
6. Farsa del marito e de la mogliere chi littigoreno insema per un petto (Farsa de Perô e Cheirina)
7. Farsa de due vegie le quale fecero acconciare la lanterna e el soffietto (Farsa del Lanternero)
8. Farsa de Sebrina sposa quale fece el figliolo in cappo del meise (Farsa de Nicora e de Sebrina)
9. Farsa del braco e del milaneiso inamorato in Ast
10. Farsa del francioso allogiato a l’ostaria del lombardo

Nel Cinquecento, la Macarronea e i dieci componimenti dialettali sono ristampati, con titolo volgarizzato Opera molto piacevole, a Venezia, presso Gioliti da Trino nel 1560. Nel Seicento, essi sono nuovamente editi, con interventi di censura, rispettivamente nel 1601 (Asti, Virginio Zangrandi) e nel 1628 (Torino, Stefano Manzolino).
La lunghezza delle farse, destinate ad essere recitate, oscilla da 343 versi per la Farsa de Gina e Reluca a 915 versi per la Comedia de l’omo e de soi cinque sentimenti. La composizione dei testi si lega al contesto politico tardoquattrocentesco e primocinquecentesco, più particolarmente ascrivibile tra la calata in Italia di Carlo VIII, la nuova conquista di Luigi XII e i preparativi per l’arrivo di Francesco I. Dal teatro popolare derivano l’Introitus – compiuto da una voce non nominata, da un Buffone o da un personaggio della farsa – e la conclusione, più breve e in genere compiuta da un personaggio della farsa, talvolta con intento moraleggiante come nella Comedia de l’omo e de soi cinque sentimenti (53 versi).
La produzione dell’Alione si caratterizza per la varietà linguistica e tematica. Accanto al testo in latino macaronico e a quelli in lingua francese, anche le farse in dialetto astigiano mostrano una tendenza al plurilinguismo. Tra i componimenti più significativi, si ricorderanno la Farsa de la dona quale dal franzoso se credia havere la robba de veluto, che alterna dialetto astigiano e francese, la Farsa del braco e del milaneiso inamorato in Ast, che presenta battute in una koinè lombarda accanto ad altre in piemontese, o ancora la conclusiva Farsa del francioso allogiato a l’ostaria del lombardo, che alterna francese e lombardo. Alcuni componimenti presentano inoltre espressioni latineggianti, didascalie in volgare, nonché, nella Farsa del braco e del milaneiso inamorato in Ast, battute in una forma alto-piemontese che caratterizzano la parlata di Minetta, la serva della Dona.
Anche le tematiche sviluppate coprono una gamma assai vasta. In più casi, lo spunto iniziale ha origini francesi. Il componimento più fortunato dell’Alione, la Comedia de l’homo e de soi cinque sentimenti, si inserisce nel filone allegorico-morale ispirato alla Farce novelle des cinq sens de l’homme moralisée (composta nel secolo XV ma edita soltanto a Lione nel 1545); la Farsa de Zôhan zavatero e de Biatrix soa mogliere e del prete ascoso sotto el grometto è costruita a partire da due farse d’oltralpe: Le Poulier e Le savetier, le moine et sa femme. L’inserimento della produzione alionesca nel contesto volgare si può inoltre leggere in alcune tematiche tipicamente boccaccesche come la beffa. Si delineano, ad esempio, punti di contatto tra la Farsa de la dona chi se credia avere una roba de veluto e la novella di Madonna Belcolore, del prete di Varlungo e del tabarro lasciato in pegno (Dec. VIII, 2); oppure, nella Farsa del braco e del milaneiso inamorato in Ast, il tema della venuta notturna dell’amante riecheggia due novelle del Decameron: quella di Gianni Lotteringhi e di sua moglie Teresa, che invita l’amante Federigo di Neri ma, scoperta, invoca la presenza di un fantasma (Dec. VII, 1); quella di Arriguccio e Sismonda, innamorata di Ruberto, che usa il segnale dello spago per avvisare l’amante della possibilità di entrare in casa (Dec. VII, 8). Infine, l’impronta fortemente realistica, ad esempio nella tendenza alle minute descrizioni di fatti alimentari e di cene, porta la cultura del Piemontese verso il filone macaronico, secondo modalità che appaiono fin dal capostipite del genere, la Macaronea di Tifi Odasi. Nella conclusiva Farsa del franzoso alogiato a l’ostaria del Lombardo – che si presenta, nella parte conclusiva, come una variante dialettale della Macarronea alionesa – la vicenda si sviluppa tra un oste lombardo, aiutato dal suo cameriere Janino, che porta varie pietanze ad un insaziabile soldato francese. L’esito del componimento ha anche accenti drammatici-comici attraverso la problematica questione del pagamento della cena e il tema dell’inganno.

3. La censura

Le ristampe seicentesche dell’Opera piacevole presentano interventi di censura. Essi sono annunciati nella prefazione dell’edizione Zangrandi (1601):

Per Privilegio speciale conceduto da S. A. Serenissima al S. C. D. E. C. si proibisce, et commanda espressamente ad ogn’uno di qual si voglia stato, grado, et conditione, che durante il termine di dieci anni continui, non ardisca ristampare la presente opera da lui purgata, et emendata con licenza della Santa Inquisitione, né stampata altrove introdur, o vendere ne’ i suoi stati, senza il consenso espresso del sudetto S. C. C. sotto pena della perdita de’ i libri, che si troveranno in tal caso stampati, et di scudi cinquanta per ogn’uno, et ogni volta che si contrafarà. Con dichiaratione che il presente sommario stampato in questo luogo per notificatione di detto privilegio, sia tanto valido, come se personalmente fosse inchinato a gli stampatori, et librari de’ sudetti suoi stati. Essendo tale la sua mente. (c. a3r)

Come avvenne in certe edizioni cinquecentesche del Decameron di Boccaccio, anche nell’Alione gli interventi sottoposti a revisioni sono generalmente circoscritti alle menzioni di carattere ecclesiastico nonché nei riferimenti a chierici-amanti di donne sposate. Nella Farsa de Zôhan zavatero e de Biatrix soa mogliere e del prete ascoso sotto el grometto, il riferimento a Galvagn, l’amante di Biatrix, è mutato nelle didascalie da «Prete» a un più generico «Compà»:

BIATRIX
O m’è vis ch’ô fia ben çent agn
ch’el bôn Compà messer Galvagn
n’è stag an cià;
[…]
COMPA
Hò, la cômare è da per sì
su l’us côn la sôa roca an man,
sì vogl andemne insì pian pian
vegher s’a me vôrrà dir nent
ch’a m’aspegia, a ciò ch’e’ cômprend.
Bonun vesper, dôlza Comare. (vv. 199-213)

Un trattamento analogo appare nella Farsa del braco e del milaneiso inamorato in Ast. Quando Bias, dubitante della fedeltà della moglie, minaccia di entrare nella camera dove giacciono gli amanti, l’astuta serva Minetta propone di usare la cappa e il cappuccio di «Frà Raphel» per ingannare il marito geloso, facendo credere a una confessione. Nella ristampa del 1601, il Frate appare come «Dottour»:

COMARE
I meritreivon un bôn crester,
sò dagn, ch’i’ sôn trop arreisiant.
Pur, ne y panser, guardreu a fer tant
s’e’ pôrreu, ch’e’ mandrema ô tort
a côl beccacz, che di pu ascort
n’eu y ben angagnà. Stame an çervel:
qui è la cazacca e ’l mantel
e la barretta d’un Douttour
chi ven queich vote à fer l’amour
con mi; ogni cosa em vestireu;
veggrai ampoc côm e’gl’l’anfregreu
e s’ancôr mi so fer qualcossa. (698-710)

La revisione dei riferimenti ecclesiastici operata dai censori si verifica inoltre in certe porzioni testuali. La Farsa de due vegie le quale fecero acconciare la lanterna e el soffietto (o Farsa del Lanternero) mette in scena due vecchie donne che chiamano un lanternaio affinché questi aggiusti la loro ‘lanterna’ e la loro ‘pentola’, con ovvio doppio senso sessuale. In seguito alla trattativa riguardo al prezzo del servizio, il Lanternero esclama, iniziando i lavoro su Teodora:

Benedicite, ch’anzegn è is,
che vol dir ch’a l’è insì affumà? (ed. 1521, vv. 398-399)

Nell’edizione Zangrandi, il testo è mutato in:

O mi pouret, ch’anzegn è is,
che vol dir ch’a l’è insì affumà (ed. 1601)

Tuttavia, come ricorda Carlo Vassallo, nelle edizioni seicentesche dell’Alione è mantenuto il gusto per le oscenità. La farsa più rappresentativa è quella del Lanternero, che si inaugura con un lamento da parte di Teodora e Catô sulla mancanza di appetito sessuale dei rispettivi mariti:

THEODORA
Chi direa côl vegliacz de merda
de meistre Thômè, c’ha i pè and’ra fossa,
ch’ô sôstenis una tal cossa?
Ma ô gl’è ben pez, ch’el va disent
ch’una dona n’è suffiçient
a satisfer a sò marì; (vv.256-261)

Prosegue la ricerca di ‘aggiustare’ la lanterna e il soffietto da parte di Teodora, con tono che sfocia verso il grottesco:

THEODORA
T’acônzray ista lanterna alò,
e pos andrà côm la pôrra.
LANTERNERO
A l’aspegrà ben s’ra vôrrà:
sarey-lô mai pu ch’un sôffiet?
THEODORA
Redriza un poch lì antôrn l’usset,
tant ch’e’ la possa usé ista seyra. (vv. 426-431)

In modo analogo, non sono state sottoposte alla censura le varie serie di imprecazioni ed insulti, come avviene ad esempio nella conclusione della Farsa de Zôhan Zavatero e de Biatrix soa mogliere e del prete ascoso sotto el grometto, quando il marito scopre l’amante nascosto sotto un cestone ed inizia a batterlo:

ZÔHAN
E tì ond è-tu andà, Putan,
vacca, te m’rai voglù anfergher,
lassa ch’e’ te vogl fer cagher
i troux, s’ô ne me manca el mole! (vv. 604-607)

Bibliografia

  • G. G. Alione, Opera jocunda No. D. Johanis Georgij Alioni Astensis Metro macharronico Materno e Gallico composta, Francesco de Silva, Asti, 1521.
  • Id., Opera molto piacevole del ro. m. Gio. Giorgio Arione, Gioliti da Trino, Venezia, 1560.
  • Id., L’opera piacevole di Giorgio Alione astegiano, di nuovo corretta, & ristampata, Virginio Zangrandi, Asti, 1601.
  • Id., L’opera piacevole di Giorgio Alione astegiano, di nuovo corretta, & ristampata, Stefano Manzolino, Torino, 1628.
  • Id., Commedia e farse carnovalesche nei dialetti astigiano, milanese e francese misti con latino barbaro, G. Daelli, Milano, 1865 (ristampa Bologna, Forni, 1975).
  • Id., Opera piacevole, a cura di E. Bottasso, Antiquaria Palmaverde, Bologna, 1953.
  • Id., Macaronea, a cura di M. Chiesa, Centro Studi Piemontesi, Torino, 1982.
  • A. Asor Rosa, Alione, Giovan Giorgio, in DBI, vol. 2 (1960).
  • S. Carrai, S. Madricardo, Il «Decameron» censurato. Preliminari alla ‘rassettatura’ del 1573, «Rivista di Letteratura Italiana», VII, 1989, pp. 225-248.
  • M. Chiesa, La questione delle lingue in Asti e Giovan Giorgio Alione, in Omaggio a Gianfranco Folena, a cura di A. Daniele, Editoriale Programma, Padova, 1993, pp. 971-983.
  • B. Cotronei, Le farse astigiane di Giovan Giorgio Alione. Studio critico, Tipi di Paolo Siclari, Reggio Calabria, 1889.
  • S. Ferrone, Il teatro, in Storia della letteratura italiana, Salerno, Roma, 1996, vol. III Il Quattrocento, pp. 955-992.
  • G. Folena, Il linguaggio del caos. Studi sul plurilinguismo rinascimentale, Bollati Boringhieri, Torino, 1991, pp. 129-132.
  • G. Padoan, L’avventura della commedia rinascimentale, Piccin Nuova Libreria, Padova, 1996, p. 4.
  • M. Tavoni, Storia della lingua italiana. Il Quattrocento, Il Mulino, Bologna, 1992, pp. 165-167; 286-290.
  • Recueil de farces (1450-1550), textes annotés et commentés par A. Tissier, Droz, Genève, 1986-2000.
  • C. Vassallo, Intorno alla vita e alle poesie di Giovan Giorgio Alione astigiano composte dal 1494 al 1520. Osservazioni critiche, Tipografia Fratelli Paglieri, Asti, 1865.
  • G. Zannoni, I precursori di Merlin Cocai, S. Lapi, Città di Castello, 1888.

Article written by Mikaël Romanato | Ereticopedia.org © 2019

et tamen e summo, quasi fulmen, deicit ictos
invidia inter dum contemptim in Tartara taetra
invidia quoniam ceu fulmine summa vaporant
plerumque et quae sunt aliis magis edita cumque

[Lucretius, "De rerum natura", lib. V]

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