Marescotti, Galeazzo

Dizionario di eretici, dissidenti e inquisitori nel mondo mediterraneo
Edizioni CLORI | Firenze | ISBN 978-8894241600 | DOI 10.5281/zenodo.1309444


Galeazzo Marescotti (Vignanello, 1° ottobre 1627 - Roma, 3 luglio 1726) è stato un canonista, inquisitore e cardinale, membro e segretario della Congregazione del Sant'Uffizio.

Nobile romano, dottore in utroque iure, fu protonotario apostolico (1650), referendario della Segnatura apostolica (1655), governatore di Fano e di Ascoli. Designato Inquisitore di Malta nel 1664, fu quindi nominato assessore della Congregazione del Sant'Uffizio il 26 maggio 1666. Nel 1688 fu legato straordinario in Austria, quindi fino al 1670 fu nunzio apostolico in Polonia. Dal 1670 al 1675 fu nunzio in Spagna.

Al rientro a Roma da quest'ultima missione fu creato cardinale (27 maggio 1675) e incluso nella Congregazione del Sant'Uffizio, di cui fu cardinale-segretario dal 1700 al 1713. Dal 1679 al 1685 fu arcivescovo di Tivoli, spendendosi non poco nell'attività di riforma. Fu cardinale protettore della Congregazione benedettina cassinese (dal 1692) e dell’Ordine domenicano (dal 1698). Si ritirò da ogni incarico pubblico nel 1716, a causa dell'età avanzata. Morì nel 1726.

Dalla sua esperienza come Inquisitore di Malta trasse l'Instruzione lasciata da monsignor Galeazzo Marescotti inquisitore di Malta a monsignor Ranuzzi suo successore - opera conservata manoscritta1 -, una sorta di manuale ad uso degli inquisitori operanti nella delicata realtà maltese. Come cardinale-segretario del Sant'Uffizio nel 1702 si occupò del caso di Pietro Coddo, vicario apostolico in Olanda, accusato di aver favorito la diffusione di Catechismi non conformi all'ortodossia, di aver incoraggiato la lettura di testi sacri in volgare e di avere simpatie gianseniste, interrogandolo personalmente a Roma. Intervenne altresì nella controversia dei "riti cinesi", approvati dai gesuiti ma non dalla Curia romana.

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et tamen e summo, quasi fulmen, deicit ictos
invidia inter dum contemptim in Tartara taetra
invidia quoniam ceu fulmine summa vaporant
plerumque et quae sunt aliis magis edita cumque

[Lucretius, "De rerum natura", lib. V]

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