Falloppia, Gabriele

Dizionario di eretici, dissidenti e inquisitori nel mondo mediterraneo
Edizioni CLORI | Firenze | ISBN 978-8894241600 | DOI 10.5281/zenodo.1309444


Gabriele Falloppia (Modena, 1523 - Padova, 1562) è stato un umanista e medico modenese.

Biografia

Orfano ed indigente dal 1533, fu accolto nell'Accademia modenese e fu allievo di Ludovico Castelvetro. Presi i voti e divenuto in seguito canonico della cattedrale di Modena, studiò medicina ed anatomia da autodidatta: una sua dimostrazione pubblica tenuta a Modena il 13 e 14 dicembre 1544 presso l'Ospedale della morte ebbe particolare successo. Di indole gentile, era particolarmente apprezzato dai propri pazienti che ne lodavano bravura e generosità: in alcune occasioni Falloppia curò dei malati che non potevano permettersi di pagarlo. Ai fini di ampliare le proprie competenze, approfondì gli studi a Ferrara, dove fu allievo di Antonio Musa Brasavola, e dove tenne i suoi primi corsi universitari (addottorandosi solo nel 1552). Fu quindi professore di anatomia a Pisa dal 1548 al 1551, e a Padova, dove raccolse l'eredità di Matteo Realdo Colombo, dal 1551 alla morte. Nelle Observationes anatomicae (Venezia, 1561), questi descrisse le tube uterine che ancora oggi portano il suo nome, negando, inoltre, che durante il coito il membro maschile penetrasse nell'utero. Accusato di praticare dissezioni su corpi di individui ancora vivi, decise di abbandonare gli studi anatomici per dedicarsi alla ricerca sui fossili.

La sua fama accademica lo preservò dalla persecuzione inquisitoriale, ma è attestata la sua adesione al movimento eterodosso modenese (firmò anche il formulario di fede imposto agli eterodossi da Gasparo Contarini nel 1542).

Opere

Bibliografia

  • Processo Morone2, vol. 1, pp. 10-11, nota 10.
  • Gabriella Belloni Speciale, Falloppia, Gabriele, in DBI, vol. 44 (1994).
  • Domizia Weber, Sanare e maleficiare. Guaritrici, streghe e medicina a Modena nel XVI secolo, Carocci, Roma 2011 (in part. pp. 130 sgg.).

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et tamen e summo, quasi fulmen, deicit ictos
invidia inter dum contemptim in Tartara taetra
invidia quoniam ceu fulmine summa vaporant
plerumque et quae sunt aliis magis edita cumque

[Lucretius, "De rerum natura", lib. V]

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