Pallavicino, Ferrante

Dizionario di eretici, dissidenti e inquisitori nel mondo mediterraneo
Edizioni CLORI | Firenze | ISBN 978-8894241600 | DOI 10.5281/zenodo.1309444


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Ferrante Pallavicino o Pallavicini (Parma, 23 marzo 1615 – Avignone, 5 marzo 1644) è stato un letterato, libertino e polemista anti-papale, legato all’accademia veneziana degli Incogniti.

Biografia

Settimo di otto fratelli, Ferrante Pallavicino appartiene al ramo di un’antica casata nobiliare, quella dei marchesi di Scipione, che traccia una linea genealogica diversa da quella in cui si sarebbe distinto un altro membro della famiglia, il più giovane Pietro Sforza Pallavicino. Nel 1632, quattro anni dopo la morte del padre, Giangirolamo, che era impegnato presso la corte dei Farnese, le ristrette condizioni economiche in cui si viene a trovare lo costringono ad entrare in chiostro e a rinunciare alla sua parte di eredità in favore del primogenito Pompeo. Presi i voti, col nome di Marc’Antonio da Parma, nella congregazione dei Canonici Lateranensi presso il convento di Santa Maria della Passione a Milano, Ferrante vi trascorre i primi due anni del noviziato prima di essere trasferito nel monastero padovano di San Giovanni da Verdara. Qui prosegue gli studi stabiliti per la formazione del clero regolare fino ad addottorarsi in filosofia e in teologia, ma soprattutto entra in contatto col vivace ambiente dell’Università e con quell’aristotelismo di marca averroista di cui Cesare Cremonini è uno dei suoi maggiori esponenti. È in questo periodo, infatti, che Pallavicino fa alcuni dei suoi incontri più importanti, stringendo amicizia con gli intellettuali riuniti intorno all’accademia veneziana degli Incogniti, in particolare con Girolamo Brusoni e Giovan Francesco Loredan, che l’aveva fondata nel 1630 e di cui Ferrante sarebbe diventato segretario. Nella sua biografia dedicata all’amico1, benché la testimonianza non sia documentabile, Brusoni ci informa di un viaggio ch’egli avrebbe intrapreso verso la Francia per ordine di un suo superiore, ma che non si realizzò perché, mentendo sulla reale destinazione raggiunta, si sarebbe rifugiato a Venezia per viverci in compagnia di una giovane ragazza di Conegliano in provincia di Treviso. Passato sul finire del 1635 nel monastero veneziano di Santa Maria della Carità, Ferrante vi dimora fino alla primavera del 1639, quando parte alla volta di Genova, dove può probabilmente contare sulla persona di Andrea Fossa, abate di San Teodoro e membro del Definitorio dei Canonici Regolari Lateranensi. A lui Pallavicino dedica, nel medesimo anno, Le bellezze dell’anima, un’opera ispirata al Cantico de’ cantici e dunque di carattere sacro, ma scritta con una licenziosità di immagini che forse motiva la pronta censura dell’Inquisizione. Il soggiorno ligure, protratto per alcuni mesi, è dovuto senz’altro a ragioni di cautela, dal momento che la sua precedente produzione letteraria aveva iniziato a destare non poche inquietudini in seno agli ambienti religiosi della città lagunare. L’immediata condanna, da parte di Leone Allacci, teologo e consultore della Congregazione dell’Indice, della Pudicizia schernita (1638), un romanzo in cui la satira anti-clericale e l’irrisione di una fede ingenuamente professata in termini di superstizione si celano dietro al recupero di una storia tratta dalle Antichità giudaiche di Giuseppe Flavio, sta forse a monte di quella decisione. Nel complesso, tuttavia, è l’ampio novero di pubblicazioni accumulate in questi anni (quasi una ventina tra il 1635 e il 1639) a delineare la figura di uno scrittore scomodo e spregiudicato, che non si perita di assumere nei suoi romanzi soggetti ispirati ad episodi biblici per farne il pretesto di osservazioni di carattere etico-politico, ben presenti anche in altre composizioni di minore caratura letteraria ma di spiccata materia agiografica. Una tendenza che verrà esasperata a partire dal 1640, quando alle generiche considerazioni di natura morale subentreranno attacchi espliciti alla famiglia e alla persona di Maffeo Barberini. A Genova Ferrante inizia la stesura del Corriere svaligiato, che andrà in stampa l’anno successivo. L’opera, volta a screditare la politica degli spagnoli, diffamando nel contempo i Gesuiti e gli ambienti romani legati al nepotismo di Urbano VIII, non incontra inizialmente il veto della censura ecclesiastica, ma quello del revisore di stato, che ne blocca l’uscita. Tornato a Venezia, e deciso a pubblicarla in ogni caso, sembra però che Pallavicino, probabilmente su consiglio di qualche amico, ritenga opportuno abbandonare la città per un periodo imprecisato di tempo (forse poco meno di un anno e mezzo), recandosi in Germania e, successivamente, di nuovo in Francia. Anche in questo caso la fonte è Brusoni, secondo il quale Ferrante avrebbe raggiunto quella prima meta come cappellano al seguito di Ottavio Piccolomini duca d’Amalfi, che era al servizio presso la corte degli Asburgo. Tuttavia, l’archivio di Piccolomini non conserva nessuna indicazione di questo soggiorno, che potrebbe pertanto essere rubricato tra i tanti viaggi che la mitografia del personaggio tende ad ascrivergli2. È però certo che al clima di forte turbamento spirituale che caratterizzò la Germania durante la Guerra dei Trent’anni sembra inequivocabilmente rifarsi un’opera come I sucessi del mondo dell’anno MDCXXXVI, che per giunta risulta essere una libera traduzione del Mercurius Gallobelgicus, un ‘periodico’ in latino stampato a partire dal 1592. Lo scritto, tuttavia, appare nel 1638, ed è pertanto anteriore al presunto spostamento al di là delle Alpi. È invece sicuro il ritorno di Ferrante a Venezia nell’estate del 1641, quando prende nuovamente alloggio nel convento della Carità. Qui, col falso nome di Ginifacio Spironcini, pubblica il Corriere svaligiato, che esce con altrettante false informazioni editoriali: «Norimberga, per Hans Jacob Stoer», benché, in realtà, gli accordi per la stampa siano presi con Giovanni Francesco ed Agostino Piccenini. A seguito della pubblicazione clandestina, il 23 settembre Ferrante viene arrestato e rinchiuso nelle prigioni ducali. Secondo quanto riporta Brusoni, la cattura si deve alla delazione di un prelato, un certo Venturino Casinese3, che indica la reale identità dell’autore a monsignor Francesco Vitelli, nunzio pontificio della città e figura di primo piano nel successivo evolversi della parabola biografica di Pallavicino, di cui aveva già proscritto La pudicizia schernita e un romanzo mitologico intitolato La rete di Vulcano (1640). L’interessamento degli amici, e le progressive tensioni che avrebbero portato Venezia a scontrarsi con Roma per la questione del ducato di Castro, permettono tuttavia di alleviare le accuse contro Ferrante, che verrà scarcerato il 28 febbraio del 1642 senza aver subito nessun processo. Nei mesi di reclusione Pallavicino non è comunque inoperoso: attende alla composizione delle Due Agrippine, un romanzo storico venato di precisi riferimenti polemici alla realtà attuale, e alla Retorica delle puttane, che è una parodia del De arte rhetorica di Cipriano Suarez, un testo diffusissimo nei circuiti della Compagnia di Gesù in quanto adottato come uno tra i manuali più importanti nella formazione culturale degli studenti delle scuole gesuitiche. L’atmosfera, però, non è più rincuorante. Al Senato si discute se porre Pallavicino al bando, e gli avversari, primo fra tutti monsignor Vitelli, non danno mostra di volersi arrendere. Ospitato nella casa dell’amico Loredan, Ferrante è costretto a continui spostamenti e a sempre nuovi rifugi, che non gli impediscono di continuare la sua attività letterararia. È pur vero, però, che se da un lato egli risulta in qualche modo ‘protetto’ dalla situazione politica che si è venuta a creare, dal momento che le discussioni che intorno al suo caso si svolgono nel Collegio sono pregiudicate a suo favore dalla sempre più accesa avversione dei Savi nei confronti della politica romana, Pallavicino non fa nulla per acquietare le acque4. Sempre nel 1642 escono, oltre che la Retorica delle puttane, la Baccinata e Il divorzio celeste, opere nelle quali la critica dei costumi e il riferimento ad episodi scottanti della vita politica del tempo si fanno quanto mai espliciti ed aggressivi. Le risposte delle autorità, infatti, non tardono ad arrivare, e nonostante quegli scritti circolino anonimi e per vie clandestine, non è difficile riconoscerne la mano. Vitelli, che per giunta è duramente apostrofato nella Baccinata, reagisce dapprima con severe minacce, per aprire poi un processo segreto contro l’autore ed ordire un inganno che avrebbe presto condotto Ferrante al patibolo. Avendo infatti compreso che non sarebbe stato facile catturarlo a Venezia, il nunzio decide di ricorrere a un tranello che porti Pallavicino al di fuori di quella fragile rete di protezioni di cui comunque godeva. Assoldato un certo Charles de Bresche, molto probabilmente suggerisce a quest’ultimo di presentarsi a Ferrante, col falso nome di Charles de Morfi, al fine di persuaderlo a partire con lui in Francia, alla volta di Parigi. Pallavicino accoglie l’invito e lascia Venezia sul finire del settembre del 1642, dirigendosi prima verso Bergamo, dove soggiorna due mesi a casa del cugino Bartolomeo Albani, poi, l’11 novembre, verso la presunta meta parigina con de Bresche. Si è ipotizzato che durante quest’ultimo tragitto Ferrante abbia sostato in Svizzera per consegnare alle stampe il manoscritto del Divorzio celeste, che infatti esce anche a Ginevra, nel 1643. A dirimere i dubbi intorno alla supposizione di questo viaggio starebbe, tuttavia, il fatto che l’opera non venne attribuita a Pallavicino durante il processo che pose una prematura fine alla sua vita, e che lo stesso Vitelli si mostrò sempre convinto che i possibili autori andassero identificati in un certo Laval Fréderic de la Tremoille, un conte di confessione calvinista che risiedeva a Venezia ma che morì nell’ottobre del 1642, o nell’amico Loredan, al quale venne imputata la revisione del libro5. Se Ferrante, però, avesse affidato il materiale al libraio ginevrino in compagnia di de Bresche, risulterebbe assai difficile pensare che questi non l’avesse poi riferito al nunzio6. In realtà, da un carteggio intercorso tra Albani, Ruggero de’ Tassis e Agostino Fusconi, parenti di Pallavicino, si evince che il testo giunse a Venezia, dove venne stampata la princeps molto probabilmente ad opera di quel Francesco Piccenini, e di Salvador di Negri e Gregorio Facchinetti, che già avevano licenziato la Baccinata e la Retorica delle puttane7. È certo, invece, che il percorso da Bergamo a Parigi viene improvvisamente deviato, e che Pallavicino, che portava con sé una valigia contenente scritti inediti e autografi, i quali avrebbero costituito una prova inoppugnabile nel processo che gli sarebbe stato intentato, viene catturato dai gendarmi il 12 gennaio 1643 a Pont de Sorgues, al confine con l’enclave pontificia di Avignone. Questa volta risultano vani gli sforzi tentati dagli amici, e soprattutto dal cugino, per liberarlo. Tra questi tentativi, si registra anche quello che prevede la sua fuga nel caso in cui lo avessero trasferito a Roma: un’eventualità sulla quale si confida molto e per cui si provvede, invano, ad accumulare una quantità sufficiente di denaro per corrompere le guardie. Fino all’ultimo, Ferrante è convinto di sottrarsi alla pena per vie giudiziare, fosse anche per scontare il carcere a vita. Nonostante rifiuti di ammettere la paternità delle opere incriminate, le prove contro di lui sono però schiaccianti, e tali da aggravare le ragioni di una sentenza che sembra decisa fin dall’inizio. L’unica via percorribile, appunto, sarebbe l’evasione, ma il voluto depistaggio delle informazioni da parte degli accusatori, che temevano una simile evenienza, l’imprecisione delle notizie che circolavano e l’ingenuità di certe speranze non favoriscono una simile alternativa. Il 5 marzo del 1644, con l’accusa di lesa maestà pontificia, Ferrante Pallavicino viene giustiziato mediante decapitazione nella piazza del palazzo avignonese8.

Opere

Ferrante Pallavicino è un autore assai prolifico. Scrive e pubblica all’incirca una trentina di opere in poco più di otto anni, e la maggior parte di esse va in stampa tra il 1635 e il 1639. Egli stesso ne è orgogliosamente consapevole. Della sua produzione, «copiosa di soggetti diversi, e nella materia e nello stile»9, parla con la sicurezza di chi ha raggiunto una piena maturità espressiva e una precisa individualità stilistica: «Chi non approva questo modo di scrivere lasci i miei libri», si legge nell’avvertenza alla Scena retorica10, e, nel Sansone: «Dal titolo puoi conoscere qual si sia il di lui soggetto, dal nome dell’autore il modo e lo stile della descrizione. Se né l’uno né l’altro t’aggrada, concentrati d’aver letto il frontispizio e supponi d’aver letto il titolo d’una scatola, non d’un libro»11. La prima composizione in ordine cronologico è di carattere celebrativo. Si tratta de Il sole ne’ pianeti, cioè le grandezze della Serenissima Repubblica di Venezia (Padova, Paulo Frambotto, 1635), ed è un panegirico nel quale una serie di metafore astrologiche è usata per esaltare le virtù della Repubblica. Segue, nel 1636, La Susanna, che è il primo dei quattro ‘romanzi sacri’ di Pallavicino e inaugura la collaborazione con uno dei più importanti tipografi veneziani del tempo, Giacomo Sarzina, cui si aggiunge quella con Cristoforo Tomasini, dai torchi del quale escono Il Giuseppe (1637) e Il Sansone (1638), mentre il quarto, La Bersabee (1639), vede luce per i Bertani. In questi romanzi gli episodi tratti dalle sacre scritture costituiscono l’esile trama sulla quale si sviluppa una serie di considerazioni, politiche e morali, che attualizzano le vicende bibliche in modo esemplare. L’autore stesso, nelle avvertenze ai lettori che introducono le opere, fornisce la chiave della propria poetica: «I punti della storia sono la minima parte di questi libri»12, e i temi trattati, nello stile laconico e sentenzioso che fa capo alla scrittura di Virgilio Malvezzi e secondo il principio delle «istorie meditate» teorizzato e messo in pratica da Giambattista e Luigi Manzini, riguardano per lo più riflessioni che attengono all’arte del buon governo, con una critica mossa nei confronti dei «Grandi» che derogano alle leggi fondamentali prestabilite per il suo funzionamento. Nel 1636 escono pure, sempre per Sarzina, La Taliclea, un romanzo d’invenzione dall’intreccio assai complesso, e La vita di san Giovanni martire duca di Alessandria il cui corpo è in san Daniele di Venezia, uno scritto agiografico rivisitato sulla base della vita di Procopio di Cesarea. In entrambe le opere non mancano riferimenti alla realtà contemporanea: nella prima è soprattutto il tema delle passioni, connesso a quello della brama di potere, che offre il destro per degli affondi polemici nei confronti della ‘ragion di stato’; nella seconda, attraverso la figura di Diocleziano, si discorre della religione ridotta ad instrumentum regni e della meschina realtà delle corti, dove «non sa servire chi non sa simulare»13. Di carattere religioso sono anche le due brevi composizioni licenziate nel 1637, Le glorie del miracoloso crocifisso che si ritrova nella chiesa de’ vv. pp. de’ Servi in Padova (Padova, Giulio Crivellari e Giacomo Bortoli) e La traslazione del corpo di san Giovanni martire duca d’Alessandria da Costantinopoli in Venezia (Venezia, G. Sarzina). La prima, in realtà, risponde più ad uno scopo encomiastico che devozionale, dal momento che il ricordo dello straordinario evento verificatosi, a quanto pare, il 5 febbraio del 1512, quando alcuni devoti videro il volto di Gesù e la sua ferita nel costato coprirsi di sangue, serve a celebrare una delle famiglie più antiche di Padova, quella dei Dotto, e più indirettamente Venezia, la cui potenza riuscì a riacquistare Padova due anni dopo la sua presa ad opera dei Lanzichenecchi di Massimilano I, nel giugno del 1509. Dedicato a Luigi XIII e alla nascita di suo figlio, il futuro ‘re Sole’, avvenuta il 5 settembre del 1638, è l’Applauso nella nascita del Delfino di Francia (Venezia, G. Sarzina, 1638), mentre al matrimonio dell’amico Francesco Loredan, consacrato l’8 giugno del 1638, è rivolto lo Scherzo epitalamico nelle nozze dell’illustrissimo signor Gio. Francesco Loredan e dell’illustrissima signora Laura Valliera (s.i.t.). Si tratta di un libretto che fin dal titolo ammicca agli Scherzi geniali del suo collega, pubblicati nel 1632, e sviluppa una serie di interpretazioni allegoriche legate al cognome dello sposo e allo stemma famigliare della moglie. Dello stesso anno è anche un’opera storiografica intitolata Successi del mondo dell’anno MDCXXXVI (Venezia, C. Tomasini), che risulta essere una libera parafrasi del Mercurius gallusbelgicus, una specie di ‘periodico’ pubblicato a Köln, per i tipi di Gottfried von Kempen, a partire dal 1592. Il contenuto relativo a certe fasi della Guerra dei Trent’anni, ordinato secondo una scansione cronologica dei fatti che devia dall’usuale scompiglio che invece caratterizza la forma dei primi ‘giornali’, si accompagna all’inserimento di notizie favolose come quelle che riportano straordinarie apparizioni nel cielo e miracolose trasformazioni, questa volta in linea con le fantasticherie che non di rado erano incluse in questo genere di scritti. Il 1639 è l’anno più produttivo nella carriera di Ferrante. Escono L’ambasciatore invidiato (Venezia, C. Tomasini), che è un breve romanzo in cui, dietro a facili anagrammi, si riconoscono nomi di persone e di città legati alla vicenda che nel 1629 portò Messina a rivendicare, presso la corte di Spagna, la propria indipendenza nei confronti di Palermo; La pudicizia schernita (Venezia, C. Tomasini), che nel rielaborare la storia di Decio e Paolina, tratta dalle Antichità giudaiche e rivisitata a suo tempo da Giovanni Boccaccio, Matteo Bandello e Levanzio da Guidicciolo, sviluppa il tema novellistico della satira anti-fratesca nella chiave attualizzante di una polemica rivolta all’infidia del clero, alla dabbenaggine di coloro che confondono la fede con la superstizione e a quella Roma barberiniana della quale si afferma che «fu mai sempre scena o d’eccessi di virtù o d’eccessi di sceleraggine»14; Le bellezze dell’anima (Genova, Pier Giovanni Calenzano), che è uno scritto dall’intenzione parenetica incentrato sull’analogia tra «un’anima perfetta» e il fisico di una bella donna; Eolo dolente per l’edificio del nuovo molo di Genova (Genova, Gio. Maria Farroni, Nicolò Pisani e Pietro Francesco Barberi), che è un breve opuscolo in cui si celebra l’ingegno di Ansaldo de Mari, al quale, nel 1638, venne affidata la costruzione del nuovo molo che avrebbe dovuto garantire dai marosi l’estensione verso levante dell’antico porto della città; La Bersabee (Venezia, Bertani) e Varie composizioni (Venezia, Bertani), raccolta, quest’ultima, che contiene, oltre ad alcuni scritti editi in precedenza (Il sole ne’ pianeti, Scherzo epitalamico, Applauso nella nascita del delfino di Francia), un breve divertissement cortigiano dal titolo Se un amante debba eleggere un bacio o pure una promessa ambigua d’amorosi godimenti, una raccolta di modelli epistolari di tema amoroso e una novella, Gli amici rivali. Nel 1640 Pallavicino pubblica Il principe ermafrodito (Venezia, G. Sarzina), La rete di Vulcano (Venezia, Guerigli) e la Scena retorica (Venezia, Bertani). Il primo è un romanzo in cui l’ambientazione di corte e la trama costruita sul camuffamento dell’identità della protagonista, che il padre costringe a fingersi maschio per aggirare la legge salica che gli avrebbe fatto perdere l’eredità, consentono di discorrere intorno al tema della dissimulazione, della ‘ragion di stato’ e del contrasto tra la sfera autentica dei sentimenti e quella artificiosa della diplomazia. Anche La rete di Vulcano è un romanzo, questa volta ispirato al celebre episodio mitologico ripreso, tra i contemporanei dell’autore, da Giambattista Marino, nell’Adone (1623), e, ancor prima, da Francesco Bracciolini, al cui Scherno degli dei (1618) Ferrante dice esplicitamente di ipirarsi. Di quest’opera, che attraverso il rapporto tra Vulcano e le divinità dell’Olimpo rappresenta una critica nei confronti del modo in cui i «Grandi» trattano i propri cortigiani, andrà presa in considerazione soprattutto l’avvertenza ai lettori, poiché fornisce un’ampia descrizione della poetica pallaviciniana. Infine, la Scena retorica, che è un libro che raccoglie dodici monologhi indipendenti in cui a parlare sono personaggi della storia o del mito, e che fin dal titolo rivela un nesso con i modi della produzione teatrale e della giovane esperienza del dramma per musica. Il corriere svaligiato, che esce nel 1641 con false indicazioni di stampa, è costruito su una serie di missive che si finge siano state derubate per ordine di un principe italiano sospettoso che, per mezzo loro, gli spagnoli preparassero delle azioni contro di lui. Ne emerge il quadro di una società corrotta a partire dalle sue principali istituzioni, politiche ed ecclesiastiche, con espliciti riferimenti a Roma e al nepotismo di Urbano VIII. Sempre nel 1642 esce poi un romanzo storico, Le due Agrippine (Venezia, Guerigli), in cui le vicende legate alla corte di Tiberio si prestano a rappresentare il degrado morale dei costumi politici dell’Italia seicentesca. Anonimo, e affidato ad una circolazione clandestina, è il libello chiamato Baccinata ovvero Battarella per le Api Barberine in occasione della mossa delle armi di nostro signore Papa Urbano Ottavo contro Parma, uscito «nella stamperia di Pasquino a spese del Manfrino» (1642). L’argomento principale è la guerra di Castro, con un titolo che costituisce una chiara allusione alla famaglia Barberini e con una dedica oltraggiosa a monsignor Francesco Vitelli. Tra i temi trattati prevale quello dell’ingerenza pontificia in questioni di carattere politico. Dello stesso anno è anche La retorica delle puttane, composta conforme li precetti di Cipriano, dedicata alla Università delle cortigiane più celebri, che si finge pubblicata a Cambrai senza altre indicazioni tipografiche. Si tratta di una parodia del De arte rhetorica di Cipriano Suarez, e persegue l’intento di delegittimare in chiave dissacrante non solo la retorica gesuitica ma, attraverso di essa, l’intero sistema politico e culturale sul quale si reggeva il pragmatismo ideologico della Compagnia. Nel 1643 esce un altro libello, Il divorzio celeste cagionato dalle dissolutezze della Sposa Romana e consacrato alla semplicità de’ scropolosi cristiani, con falsa indicazione del luogo di stampa (Villafranca). L’argomento ruota intorno alla decisione di Cristo di separarsi dalla Chiesa per via delle sue dissolutezze, e attraverso la metafora del matrimonio spirituale si sviluppa il tema del divorzio divino dai suoi corrotti ministri secolari.

Bibliografia

Opere di Ferrante Pallavicino

  • Il sole ne’ pianeti, cioè le grandezze della Serenissima Repubblica di Venezia, Padova, Paulo Frambotto 1635;
  • La Susanna, Venezia, Giacomo Sarzina 1636;
  • La Taliclea, Venezia, Giacomo Sarzina 1636:
  • La vita di san Giovanni martire duca di Alessandria il cui corpo è in san Daneiele di Venezia, Venezia, Giacomo Sarzina 1636;
  • Il Giuseppe, Venezia, Cristoforo Tomasini 1637;
  • Le glorie del miracoloso crocifisso che si ritrova nella chiesa de’ vv. pp. de’ Servi in Padova, Padova, Giulio Crivellari e Giacomo Bortoli 1637;
  • La traslazione del corpo di san Giovanni martire duca d’Alessandria da Costantinopoli in Venezia, Venezia, Giacomo Sarzina 1637;
  • Applauso nella nascita del Delfino di Francia, Venezia, Giacomo Sarzina 1638;
  • Il Sansone, Venezia, Cristoforo Tomasini 1638;
  • Scherzo epitalamico nelle nozze dell’illustrissimo signor Gio. Francesco Loredan e dell’illustrissima signora Laura Valliera, s.i.t.;
  • L’ambasciatore invidiato, Venezia, Cristoforo Tomasini 1639;
  • La pudicizia schernita, Venezia, Cristoforo Tomasini 1639;
  • Le bellezze dell’anima, Genova, Pier Giovanni Calenzano 1639;
  • Eolo dolente per l’edificio del nuovo molo di Genova, Genova, Giovanni Maria Farroni, Nicolò Pisani e Pietro Francesco Barberi 1639;
  • La Bersabee, Venezia, Bertani 1639;
  • Varie composizioni, Venezia, Bertani 1639;
  • Il principe ermafrodito, Venezia, Giacomo Sarzina 1640;
  • La rete di Vulcano, Venezia, Guerigli 1640;
  • Scena retorica, Venezia, Bertani 1640;
  • Il corriero svaligiato, «Norimberga, Hans Iacob Stoer» 1641;
  • Le due Agrippine, Venezia, Guerigli 1642;
  • Baccinata ovvero Battarella per le Api Barberine in occasione della mossa delle armi di nostro signore Papa Urbano Ottavo contro Parma, s.l., «nella stamperia di Pasquino a spese del Manfrino» 1642;
  • La retorica delle puttane, composta conforme li precetti di Cipriano, dedicata alla Università delle cortigiane più celebri, «Cambrai», s.i.t. 1642;
  • Il divorzio celeste cagionato dalle dissolutezze della Sposa Romana e consacrato alla semplicità de’ scropolosi cristiani, «Villafranca», s.i.t. 1643.

Edizioni moderne ed integrali

  • Edizione critica de «Il principe ermafrodito» di Ferrante Pallavicino, Madison, University of Wisconsin 1983 [si tratta di una tesi discussa il 15 dicembre, non pubblicata];
  • Il corriero svaligiato, a cura di Armando Marchi, Parma, Archivio Barocco 1984;
  • Il principe ermafrodito, a cura di Enrico Maria Guidi, Urbino, Montefeltro 1991;
  • La retorica delle puttane, a cura di Laura Coci, Parma, Fondazione Pietro Bembo-Guanda 1992;
  • La retorica delle puttane, a cura di Domenico Fazzi, Massa, Edizioni Clandestine 2002;
  • Il principe ermafrodito, a cura di Roberta Colombi, Roma, Salerno 2005;
  • Romanzi e parodie, a cura di Anna Maria Pedullà, Torino, Utet 2009 (comprende: Baccinata, Il corriero svaligiato, Il principe ermafrodito, La pudicizia schernita, La retorica delle puttane);
  • Libelli antipapali. La ‘Baccinata’ e il ‘Divorzio celeste’, a cura di Alessandro Metlica, Alessandria, Edizioni Dell’Orso 2011;
  • Il Giuseppe, a cura di Luca Piantoni, Lecce, Argo 2014.

Documenti sulla vita

  • Lettere con diversi allegati di Federico Sforza e altri a Francesco Barberini, dal 20 giugno 1643 al 6 maggio 1644, Città del Vaticano (ms Barb. Lat. 6157, di cc. 84);
  • Lettere con diversi allegati di Monsignor Federico Sforza, vicelegato apostolico ad Avignone, al Cardinale Francesco Barberini, segretario di stato, dal due gennaro 1644 al 4 febbraro 1645 (cc. 1-38) e Processo, con allegati, di Ferrante Pallavicino (cc. 39-93), Città del Vaticano (AV: Cod. Barb. Lat. 9746, cart., misc., di cc. 93);
  • Sommario di tutte le pasquinate e lettere diffamatorie ritrovate in mano di don Ferrante Pallavicino, scritte di sua mano, in Atti del processo, Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, fondo Barberiniano, ms. lat. 9746, cc. 39r-55r: 39r;
  • Glorie degli Incogniti ovvero gli uomini illustri dell’Accademia de’ Signori Incogniti di Venezia, Venezia, Valvasense 1647;
  • L’anima di Ferrante Pallavicino, divisa in sei vigilie [1643], Colonia, Lodovico Feiraldo 1675;
  • Giovanni Girolamo Arconati Lamberti, Il testamento di Ferrante Pallavicino, detto il flagello de’ Barberini, Regunea, Vinigiano Cipetti 1679;
  • Girolamo Brusoni, Vita di Ferrante Pallavicino, scritta dall’Aggirato accademico incognito [1639], in Ferrante Pallavicino, Opere permesse, t. I, Venezia, Turrini 1655;
  • Armando Marchi, Vita di Ferrante Pallavicino, «Aurea Parma», a. LXIX, fasc. I, 1985, pp. 3-15;
  • Laura Coci, Vita di Ferrante Pallavicino, in Le ‘avventure’ della narrazione: il romanzo, la novella, la fiaba, in Testi nella storia. La letteratura italiana dalle Origini al Novecento, a cura di Cesare Segre e Clelia Martignoni, vol. II, Milano, Mondadori 1992, pp. 1008-1014;
  • Roberto Lasagni, Ferrante Pallavicino, in Dizionario biografico dei Parmigiani, Parma, PPS 1999, pp. 743-746;
  • Raffaello Urbinati, Ferrante Pallavicino. Il flagello dei Barberini, Roma, Salerno 2004;
  • Clizia Carminati, Tra Bergamo ed Avignone: l’ultima lettera di Ferrante Pallavicino, «Studi secenteschi», LII, 2011, pp. 159-193;
  • Mario Infelise, Avignone, 5 marzo 1644. La decapiotazione di un libertino, in Atlante della letteratura italiana, a cura di Sergio Luzzatto e Gabriele Pedullà, vol. II, Dalla Controriforma alla Restaurazione, a cura di Erminia Irace, 2011, pp. 486-492;
  • Roberto Risso, «Una relazione delle mie calamitati»: la «Lettera dalla prigionia» di Ferrante Pallavicino, «Carte italiane», n. 7, 2011, pp. 15-28;
  • Clizia Carminati, Pubblico e privato: lettere dalla prigione di Giovan Battista Marino e Ferrante Pallavicino, in L’exemplarité épistolaire. Recueils et modèles de lettres du Moyen-Age à la fin de la Renaissance, études réunies par Maria Cristina Panzera, Bordeaux, Presses Universitaires de Bordeaux, 2013, pp. 85-100;
  • Roberto Risso, «Desidero presta libertà». L’epistolarità di Ferrante Pallavicino fra la «Lettera dalla prigionia» (1641) e il «Corriero svaligiato» (1644), «Studi secenteschi», LIV, 2013, pp. 59-82;
  • Mario Infelise., Pallavicino, Ferrante, in Dizionario Biografico degli Italiani, Roma, Istituto della Enciclopedia Treccani 2014, i.c.s.

Bibliografia critica

  • Jean Lucas-Dubreton, Un libertin italien du XVIIe siècle, Ferrante Pallavicino ou l’Arétin manqué, Paris, La Connaisance 1932;
  • Benedetto Croce, Appunti di erudizione. I. Ferrante Pallavicino, «Quaderni della critica», vol. VII, quadd. XIX-XX, 1951, pp. 195-197;
  • Claudio Varese, Ferrante Pallavicino, in Teatro, prosa, poesia, in Storia della letteratura italiana, diretta da Emilio Cecchi e Natalino Sapegno, Milano, Garzanti, vol. V, Il Seicento, 1967, pp. 650-656;
  • Eckhart Schroeder, Der Agrippinenroman des Ferrante Pallavicino, in Renatae Litterae. Studien zum Nachleben der Antike und zur europäischen Renaissance, Festschrift für August Buck, Herausgegeben von Klaus Heitmann und Eckhart Schroeder, Frankfurt, Athenäum, 1973, pp. 255-272;
  • Martino Capucci, Introduzione a Romanzieri del Seicento, Torino, UTET, 1975, pp. 9-63;
  • Daniela Ortolani, Potere e violenza nel romanzo italiano del Seicento, Catania, Pellicanolibri 1978, ad indicem;
  • Paolo Getrevi, Libertinismo e romanzo a Venezia: il caso di Ferrante Pallavicino, «Primo quaderno veronese di filologia, lingua e letteratura italiana», 1979, pp. 39-77;
  • Albert N. Mancini, Romanzi e romanzieri del Seicento, Napoli, Società Editrice Napoletana 1981;
  • Ginetta Auzzas, Le nuove esperienze della narrativa: il romanzo, in Storia della cultura veneta, a cura di Girolamo Arnaldi e Manlio Pastore Stocchi, vol. IV, t. I, Dalla Controriforma alla fine della Repubblica, Venezia, Neri Pozza 1983, pp. 249-295;
  • Laura Coci, Bibliografia di Ferrante Pallavicino, «Studi secenteschi», XXIV, 1983, pp. 221-306;
  • Giorgio Spini, Ferrante Pallavicino, in Ricerca dei libertini. La teoria dell’impostura delle religioni nel Seicento italiano, Firenze, La Nuova Italia 1983, pp. 164-171;
  • Armando Marchi, La rete di Ferrante, o le due imposture, in Il corriero, cit., 1984, pp. V-XXXVI;
  • Sergio Adorni-Albert N. Mancini, Stampa e censura ecclesiastica a Venezia: il caso del «Corriere svaligiato», «Esperienze letterarie», X, n. 4, 1985, pp. 3-36;
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  • Laura Coci, Ferrante a Venezia: nuovi documenti d’archivio (I), «Studi secenteschi», XXVII, 1986, pp. 317-324;
  • Paolo Getrevi, Dal picaro al gentiluomo. Scrittura e immaginario nel Seicento narrativo, Milano, Franco Angeli, 1986, pp. 165-214;
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  • Laura Coci, La retorica della retorica: Ferrante Pallavicino e Cipriano Suarez, in Sul romanzo secentesco, Atti dell’incontro di studio di Lecce, 29 novembre 1985, a cura di Gino Rizzo, Galatina, Congedo 1987, pp. 153-168;
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  • Armando Marchi, Lo stendhalesco don Ferrante Pallavicino, «Archivio Storico Province Parmensi», XXXVII, 1986, pp. 71-83;
  • Laura Coci, Ferrante a Venezia: nuovi documenti d’archivio (III), «Studi secenteschi», XXIX, 1988, pp. 235-254;
  • Fabrizio Antonini, La polemica sui romanzi religiosi: una lettera da Parigi di Ferrante Pallavicino, «Studi secenteschi», XXXI, 1990, pp. 29-85;
  • Antonio Ricci, Ferrante Pallavicino, the ‘Incogniti’ and the Print Revolution, «McLuhan studies», I, 1991, pp. 213-224;
  • Gino Benzoni, La vita intellettuale, in La Venezia barocca, a cura di Gino Benzoni e Gaetano Cozzi, in Storia di Venezia, Istituto della Enciclopedia Italiana, Roma, Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato, vol. VII, 1992, pp. 813-912;
  • Laura Coci, Introduzione, in La retorica, cit., 1992, pp. IX-C;
  • Donatella Riposio, «Vox clamantis in deserto»: aspetti del romanzo libertino in Ferrante Pallavicino, in La macchina meravigliosa: il romanzo dalle origini al ’700, Torino, Tirrenia 1993, pp. 173-191;
  • Quinto Marini, Pietro Aretino nel Seicento: una presenza inquietante, in Pietro Aretino nel cinquecentenario della nascita, Atti del Convegno di Roma-Viterbo-Arezzo (28 settembre-1 ottobre 1992), Toronto (23-24 ottobre 1992), Los Angeles (27-29 ottobre 1992), t. I, Roma, Salerno 1995, pp. 479-499;
  • Dennis E. Rhodes, Il libro italiano del Seicento: un secolo di sfide, «Miscellanea Marciana», voll. X-XI, 1995-1996, pp. 273-281: 276-277;
  • Alba Coppola, Il Corriero svaligiato di Ferrante Pallavicino. Un esempio di «pensiero poetante», «Esperienze letterarie», XXI, n. 3, 1996, pp. 77-82;
  • Piero Boitani, Ri-scritture, Bologna, Il Mulino 1997, ad indicem;
  • Anna Maria Pedullà-Michelina Di Rienzo, Eros e thanatos nel romanzo barocco italiano, Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane 1999;
  • Maria Di Giovanna, Il mondo senza riscatto. Il «Corriero svaligiato» di Ferrante Pallavicino, Quaderno d’italianistica: 1994-1998, a cura di Natale Tedesco, Palermo, Flaccovio, 1999, pp. 5-31 (poi in Le sirene e il navigante. Percorsi letterari dal Seicento al Novecento, Palermo, Palumbo 2000, pp. 13-51);
  • Gino Benzoni, Istoriar con le favole e favoleggiar con le istorie, in Girolamo Brusoni. Avventuriere di penna e di vita nel Seicento veneto, Atti del XXIII Convegno di Studi Storici, a cura di G. Benzoni, Rovigo, 13-14 novembre 1999, Rovigo, Minelliana 2001, pp. 7-28;
  • Quinto Marini, «Apprestati, o lettore, a cogliere gran messe». Il romanzo religioso barocco tra avventure agiografiche e oratoria sacra, in Instabilità e metamorfosi dei generi nella letteratura barocca, a cura di Simona Morando, Venezia, Marsilio 2001, pp. 205-226;
  • Lucinda Spera, Ex ignoto notus: alcune riflessioni sul moderno nei romanzi italiani del Seicento, in I luoghi dell’immaginario barocco, Atti del convegno di Siena, 21-23 ottobre 1999, a cura di Lucia Strappini, Napoli, Liguori 2001, pp. 537-546;
  • Gian Luigi Betti, Un elogio di Ferrante Pallavicino a Giovan Battista Manzini e una lettera di Giovan Francesco Loredan, «Studi secenteschi», XLIII, 2002, pp. 265-275;
  • Clizia Carminati, Alcune considerazioni sulla scrittura laconica nel Seicento, «Aprosiana», X, 2002, pp. 85-109;
  • Marco Catucci, Susanna nel giardino di Armida, «Sincronie», n. 7, 2002, pp. 266-275;
  • Mario Infelise, Libri e politica nella Venezia di Arcangela Tarabotti, «Annali di storia moderna e contemporanea», VIII, 2002, pp. 31-45 (poi come Books and Politics in Arcangela Tarabotti’s Venice, in Arcangela Tarabotti. A Literary Nun in Baroque Venice, Ravenna, Longo 2006, pp. 57-72);
  • Michelina Di Rienzo, Il mito dell’ermafrodito. «Il Principe Ermafrodito» di F. Pallavicino e «Twelfth Night» di Shakespeare, in Nel labirinto. Studi comparati sul romanzo barocco, a cura di Anna Maria Pedullà, Napoli, Liguori 2003, pp. 85-109;
  • Agnés Morini, Divorce à la vénitienne ou l’Eglise brocardée: «Il Divorzio celeste» (1643), in Dérision et démythification dans la culture italianne, Actes du colloque des 8-9 novembre 2001, a cura di Marie Viallon-Schoneveld, Saint-Étienne, CERCLI 2003, pp. 105-124;
  • Paolo Getrevi, Narrare Italiano. Dalla nostalgia all’assenza (1606-1997), Verona, Fiorini 2004, ad indicem;
  • Jean-François Lattarico, Pouvoir et identité dans «Il Principe hermafrodito» de Ferrante Pallavicino, in Identité, langage(s) et modes de pensée, a cura di Agnès Morini, Saint-Etienne, Publications de l’Université de Saint-Etienne 2004, pp. 15-45;
  • Roberta Colombi, Introduzione, in Il principe, cit., 2005, pp. 7-42;
  • Renate Schlüter, Rhetorik und Pornographie. Ferrante Pallavicinos «Retorica delle puttane» und die Krise der Renaissance-Rhetorik, in Retorica: Ordnungen und Brüche, a cura di Rita Franceschini, Tübingen, Gunter Narr Verlag, 2006, pp. 337-350;
  • Barbara Zandrino, La retorica dell’eversione: la satira di Ferrante Pallavicino, in Antitesi barocche, Alessandria, Edizioni dell’Orso, 2006, pp. 87-116 (già in I bersagli della critica, a cura di Giorgio Bárberi Squarotti, Torino, Tirrenia 1987, pp. 99-124);
  • Lorenzo Geri, I personaggi femminili nei romanzi biblici di Ferrante Pallavicino, in Entre violence et séduction: Judith et autres héroïnes bibliques dans l’Europe des XVIe-XVIIIe siècles, Atti del convegno internazionale, Parigi, 8-10 dicembre 2008, i.c.s.;
  • Albert N. Mancini, Intorno alle traduzioni in inglese di opere di Ferrante Pallavicino: «Il corriero svaligiato» / «The Post-Boy Rob’d of his Mail», «Esperienze letterarie», XXXIV, n. 3, 2009, pp. 73-90;
  • Alessandro Metlica, recesione a Romanzi e parodie, cit., «Filologia e critica», 2009, XXXVI-2, pp. 316-317;
  • Anna Maria Pedullà, Introduzione, in Romanzi e parodie, cit., 2009, pp. 7-29;
  • Alberto Beniscelli, Libertini italiani. Letteratura e idee tra XVI e XVII secolo, Milano, Bur, 2011;
  • Jean-François Lattarico, Du livre au livre libertin. «La Bersabee» de Ferrante Pallavicino, in La figure de David entre profane et sacré dans l’Italie de la Renaissance, Actes du colloque international, Tours 25-27 mai 2011, Genève, Droz, i.c.s.
  • Luca Piantoni, «Per le Sagre Storie discorrendo». Etica e politica nei ‘romanzi religiosi’ di Ferrante Pallavicino, «Studi secenteschi», 2011, LII, pp. 43-67;
  • Luca Piantoni, recensione a Romanzi e parodie cit., «La Rassegna della Letteratura Italiana», n. 1, 2011, pp. 223-226;
  • Jean-François Lattarico, De l’invective à l’apologie. «L’antibacinata» de Tomaso Tomasi (1642), in Papes et Papauté: respect et contestation d’une autorité bifrons, études présentées et réunies par Agnès Morini, Saint-Étienne, Université de Saint-Étienne, volume on-line, 2013, pp. 334-361;
  • Luca Piantoni, La «tirannide del cuore». Passioni, fortuna, ethos e «ragion di stato» nella produzione di Ferrante Pallavicino, in Elisabetta Selmi, Luca Piantoni, Massimo Rinaldi, Il fiore delle passioni. Animo e virtù nel sistema dei saperi tra Cinque e Seicento, Padova, Cleup 2013, pp. 169-220;
  • Luca Piantoni, «Sotto l’onde degl’inchiostri». Note stilistiche ai romanzi di Ferrante Pallavicino, relazione tenuta per il Panel Il ‘commento’ ai testi del Seicento: cantieri e riflessioni coordinato da Elisabetta Selmi e Simona Morando, in occasione del XVII Congresso Nazionale dell’ADI dedicato al tema: I cantieri dell’italianistica. Ricerca, didattica e organizzazione agli inizi del XXI secolo, Roma, Università La Sapienza, 18-21 settembre 2013, testo pubblicato nel sito on-line dell’ADI: http://www.italianisti.it/upload/userfiles/files/2013%20Piantoni.pdf.
  • Luca Piantoni, Paolina nel tempio. Riscritture a confronto tra Cinque e Seicento (Guidicciolo, Pallavicino, Susini), in Testi, tradizioni, attraversamenti: prospettive comparatistiche sulla drammaturgia europea tra Cinque e Settecento, Atti del seminario per il Dottorato in Scienze linguistiche, filologiche e letterarie (Padova, 17-18 dicembre 2015), a cura di Alessandra Munari, Padova University Press, Padova 2017 (in corso di stampa).

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Article written by Luca Piantoni | Ereticopedia.org © 2014

et tamen e summo, quasi fulmen, deicit ictos
invidia inter dum contemptim in Tartara taetra
invidia quoniam ceu fulmine summa vaporant
plerumque et quae sunt aliis magis edita cumque

[Lucretius, "De rerum natura", lib. V]

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