Dizionario di eretici, dissidenti e inquisitori nel mondo mediterraneo
Edizioni CLORI | Firenze | ISBN 978-8894241600 | DOI 10.5281/zenodo.1309444
Le donna di fora sono particolari figure di fate-streghe che compaiono solo in Sicilia a partire dalla fine del XV secolo.
Testimonianze su questa entità, appartenente alla credenza popolare, sono state raccolte nella tradizione folklorica siciliana e negli atti processuali dei tribunali inquisitoriali spagnoli e vescovili. Il significato delle parole donna di fora coincide con la maggiore peculiarità di questa entità; infatti, la donna di fuori è colei che è in grado di abbandonare il corpo e volare in aria per compiere svariati sortilegi. Questa figura femminile ha assunto sin da subito un significato ambivalente, perché veniva considerata dagli inquisitori come brujas (strega) e dai testimoni come spirito benevolo assimilabile alla figura della fata. I siciliani identificavano le streghe e le fate in un’unica persona che, a seconda della situazione, era capace di elargire sia del bene che del male. Prima ancora che nelle carte inquisitoriali, i riferimenti alle donne di fora si ritrovano nei manuali dei predicatori del primo Quattrocento. Carlo Ginzburg ha ipotizzato che la loro origine fosse di matrice pagana e che nel corso dei secoli avesse subito una trasformazione da dominae nocturnae, e quindi seguaci di Diana, a fate-streghe. Sulla scia delle seguaci di Diana, Ginzburg e Henningsen hanno ipotizzato l’esistenza di “sabba bianchi”, raduni delle donne di fora caratterizzati da lieti banchetti e armoniose danze.
La figura delle donne di fora e la loro storia è stata ricostruita non solo grazie ai processi inquisitoriali, ma anche grazie al materiale raccolto dall’antropologo di fine Ottocento Giuseppe Pitrè. Giuseppe Pitré descrisse le donne di fora come “un po’ streghe e un po’ fate”e incuriosito dalle credenze di un antico universo femminile siciliano, condusse le sue ricerche su un campione di 172 comuni siciliani, al fine di comprendere quante delle persone intervistate fossero a conoscenza di queste entità e quanta fiducia riponessero in loro. Durante le sue indagini predilesse l’approccio con la popolazione di estrazione medio-bassa; perlopiù si trattava di contadini, casalinghe, stagnini, lustrascarpe, lavandaie, cordaie etc. Seguendo quella che fu una tendenza dell’etnografia, e come è noto anche della storiografia, a varie riprese riemersa nel corso degli ultimi due secoli, asseriva che nel «popolo minuto e privo affatto d’istruzione» risedevano le vere credenze, tramandate di generazione in generazione. Pitré, a seguito delle sue indagini, affermava con certezza che per il popolo le donne di fora fossero entità soprannaturali benevole, soprattutto dei numi tutelari, a cui rivolgersi per la protezione della casa. In alcuni casi (per gli abitanti del centro Sicilia: Agrigento, Caltanissetta, Enna) venivano chiamati “patroni-e di locu” (padroni del luogo).
Le fonti scritte dalla fine del Quattrocento e le fonti della tradizione orale, raccolta tra Otto e Novecento, sorprendentemente sembrano coincidere, creando una tradizione lunga ben cinque secoli che secondo alcuni è tuttora ancora salda nella tradizione popolare.
Riferimenti bibliografici
- Carlo Ginzburg, Storia notturna. Una decifrazione del sabba, Einaudi, Torino 1989, p. 80.
- Gustav Henningsen, The Ladies from Outside, in Early Modern European Witchcraft. Centres and Peripheries, ed. by Bengt Ankarloo and Gustav Henningsen, Oxford University Press, Oxford 1990, pp. 191-215.
- Maria Sofia Messana, Inquisitori, negromanti e streghe nella Sicilia moderna (1500-1782), Sellerio, Palermo 2007, pp. 520-573.
- Giuseppe Pitré, Esseri soprannaturali e meravigliosi, in Usi, costumi, credenze e pregiudizi del popolo siciliano, vol. II, Clio, Palermo 1889, p. 154.
- Giuseppe Pitré, Curiosità popolari tradizionali, vol. VII, L. Pedone Lauriel, Palermo 1889, p. 35.
Article written by Claudia Geremia | Ereticopedia.org © 2020
et tamen e summo, quasi fulmen, deicit ictos
invidia inter dum contemptim in Tartara taetra
invidia quoniam ceu fulmine summa vaporant
plerumque et quae sunt aliis magis edita cumque
[Lucretius, "De rerum natura", lib. V]