Clero secolare (Italia, età moderna)

Dizionario di eretici, dissidenti e inquisitori nel mondo mediterraneo
Edizioni CLORI | Firenze | ISBN 978-8894241600 | DOI 10.5281/zenodo.1309444


Clero parrocchiale, vescovi e diocesi (Italia, età moderna)

All’inizio del ‘500 inefficienza e immoralità del clero, dovute alla litigiosità caratteristica del sistema beneficiale e ai costumi sregolati di gran parte degli ecclesiastici, erano dominanti. Il concubinato degli ecclesiastici era tacitamente tollerato dai vescovi e dalla popolazione, ma ciò che più destava scandalo era la grande quantità di preti ladri, criminali, beoni e ignoranti. La litigiosità intrinseca del sistema beneficiale veniva, invece, esasperata dalle massicce ingerenze della Curia romana agli inizi del secolo ai danni degli interessi dei patroni da un lato e delle aspettative delle popolazioni locali dall'altro.
Il problema di imporre una disciplina al clero fu affrontato dal concilio di Trento nella sue ultime sedute (1562-63). Prevalse la linea di costringere i chierici a rendere palese la loro differenza e la loro superiorità rispetto ai laici. Si cercò di ottenere ciò soprattutto con dettami che imponevano al clero obblighi e divieti: l'obbligo dell’abito sacerdotale e la tonsura; la proibizione degli incontri con le donne, del gioco, del porto d’armi, della caccia, delle passeggiate notturne, dell’esercizio della medicina, dell’avvocatura e delle arti manuali (in particolare se legate al commercio), di frequentare osterie, taverne e banchetti nuziali. Il punto più importante era costituito dall’obbligo della residenza, al quale dovevano ottemperare vescovi e parroci. Furono inoltre istituiti i seminari per la formazione del clero.
I dettami conciliari rimasero perlopiù sulla carte e i miglioramenti nel comportamento del clero furono molto relativi. Diversi vescovi tentarono di mettere in pratica i decreti sulla riforma disciplinare del clero e amministrativa delle diocesi, ma le direttive romane erano ambigue e le inadempienze non venivano appropriatamente punite. Ci fu un certo rafforzamento delle strutture diocesane ed i vescovi furono maggiormente presenti sul territorio, ma questi cambiamenti non vennero direttamente "dal basso": furono principalmente conseguenza delle pressioni delle Congregazioni cardinalizie romane che esaminavano le relationes delle visite pastorali dei vescovi. Gravi carenze si verificarono soprattutto nel settore della formazione e del controllo del clero diocesano con il fallimento iniziale dei seminari.
Inoltre il disciplinamento del clero secolare si fondò su di un compromesso con la società: i ceti cittadini, in cambio dell’accettazione della nuova disciplina, si garantirono l’esclusiva dei benefici ecclesiastici senza cura d’anime, degli enti e luoghi pii e de monasteri femminili più ricchi di entrate. Insomma, prevalse un indirizzo cauto di riforma del clero e fallirono gli sforzi di separare gli ecclesiastici dall’influenza delle famiglie e del contesto sociale. Il fallimento fu più accentuato nel Meridione, dove l’impegno per l'applicazione dei dettami tridentini fu più sporadico e discontinuo. L’ampio regime di esenzione fiscale del clero favorì le vocazioni “interessate” e nel corso del Seicento la consistenza numerica del clero aumentò sproporzionatamente. A partire dal 1650 si affermarono anche nuovi comportamenti trasgressivi da parte degli ecclesiastici: l’uso di parrucche, il tabagismo, la partecipazione alle carnevalate e alle commedie e il cicisbeismo. Il pieno Seicento vide anche un notevole appannamento del prestigio dei vescovi e dei parroci, da attribuirsi in parte alla preponderanza degli ordini religiosi nella pastorale e nella catechesi.
Si sviluppò quindi una nuova stagione di riformismo disciplinare, di stampo controriformistico, al centro della quale c’era l’ambizioso progetto di “sacerdotalizzare” il clero, elevandone il livello culturale e tentando di allentare i legami tra clero secolare e società locale. Il periodo tra i papati di Innocenzo XI (1676-1689) e Benedetto XIV (1740-1758) vide anche una “rinascita” del prestigio vescovile, grazie ad una rinnovata attenzione della Curia romana verso le diocesi e le parrocchie: venne incentivato il sistema delle visite pastorali, vennero riorganizzati gli archivi diocesani, realizzate nuove opere edilizie legate all’episcopato, in particolare gli edifici dei seminari e si verificò una grande ripresa dell’attività sinodale. Di particolare rilevanza fu l’operato di Benedetto XIV. A metà Settecento i vescovi si presentavano infatti, per la prima volta, come un corpo omogeneo, orgoglioso della propria funzione e potenzialmente in conflitto col Papato.
Nel periodo delle riforme e delle rivoluzioni, infatti, i vescovi si divisero in due fronti, uno filopapale ad oltranza ed un altro giansenista e giurisdizionalista. In Toscana, in particolare, vi furono le premesse per la costituzione di una chiesa “nazionale”. Il grande prestigio politico dei vescovadi fu esaltato con la Restaurazione, essendo rimasti essi una delle poche istituzioni a garantire la tradizione e la continuità col passato. Nel frattempo si era ormai concluso il processo di "sacerdotalizzazione" del clero parrocchiale e si era sviluppata una concezione classista ed elitaria del sacerdozio. Ma questi cambiamenti furono solo in parte merito della Curia romana e dei vescovi, poiché fu determinante l’azione dei governi riformatori del Settecento, che promossero una riduzione quantitativa del clero per diminuire le aree di esenzione e immunità fiscale e tentarono di integrarlo in maniera funzionale nell’organizzazione della cura delle anime, esaltando la funzione del sacerdote come funzionario pubblico, non senza contrasti con la Santa Sede (per appianare i contrasti, si ricorse all’espediente del Concordato). La seconda metà del Settecento aveva visto anche il tramonto dei giuspatronati.

Bibliografia

  • Gaetano Greco, Fra disciplina e sacerdozio: il clero regolare nella società italiana dal Cinquecento al Settecento, in Mario Rosa (a cura di), Clero e società nell’Italia moderna, Roma-Bari, Laterza, 19972, pp. 45-114.
  • Claudio Donati, Vescovi e diocesi d’Italia dall’età post-tridentina alla caduta dell’antico regime in Mario Rosa (a cura di), Clero e società nell’Italia moderna, Roma-Bari, Laterza, 19972, pp. 321-389.
  • Michele Mancino, Giovanni Romeo, Clero criminale. L'onore della Chiesa e i delitti degli ecclesiastici nell'Italia della Controriforma, Laterza, Roma-Bari 2013.
  • Adriano Prosperi, «Dominus beneficiorum»: il conferimento dei benefici ecclesiastici tra prassi curiale e ragioni politiche negli stati italiani tra ’400 e ’500, in Paolo Prodi, Peter Johanek (a cura di), Strutture ecclesiastiche in Italia e in Germania prima della Riforma, Il Mulino, Bologna 1984, pp. 51-86.

Article written by Redazione | Ereticopedia.org © 2015

et tamen e summo, quasi fulmen, deicit ictos
invidia inter dum contemptim in Tartara taetra
invidia quoniam ceu fulmine summa vaporant
plerumque et quae sunt aliis magis edita cumque

[Lucretius, "De rerum natura", lib. V]

thumbnail?id=1_usu8DkYtjVJReospyXXSN9GsF3XV_bi&sz=w1000
The content of this website is licensed under Creative Commons Attribution 4.0 International (CC BY 4.0) License