Clavicula Salomonis

Dizionario di eretici, dissidenti e inquisitori nel mondo mediterraneo
Edizioni CLORI | Firenze | ISBN 978-8894241600 | DOI 10.5281/zenodo.1309444


La Clavicula Salomonis (o Piccola Chiave di Salomone) è un grimorio anonimo del Seicento, che non deve essere confuso con la Clavis salomonica (o Chiave di Salomone), un testo precedente, risalente al XIII sec. e descritto da Agrippa di Nettesheim nel suo De incertitudine et vanitate omnium Scientiarum et artium (1531). La struttura della Clavicula, in quanto testo tramandato per lo più in forma manoscritta, ha subito diverse modifiche nel corso del tempo e delle diverse tradizioni.

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Premessa

Da sempre considerato dalla speculazione teologica canonica uomo di sapienza, fin dall’episodio biblico che lo riguarda citato nel primo libro dei Re (1Re, 3-5), poiché riletto come prefigurazione della sophia di Dio, il Cristo, Salomone è scivolato pian piano nell’immaginario della scienza popolare, esoterica e filosofica, fino a ricevere la corona di signore e sovrano di quanto è nascosto, occulto e persino in relazione con il mondo inferiore, quello degli spiriti.
In un occidente gravato dalla paura e dal sospetto verso la conoscenza che passava per la stampa, intimorita dalla possibilità di conoscere i segreti dell’universo e nel contempo affascinata dal poterli dominare secondo lo stesso dettato divino, Salomone diventa il padre letterario di una biblioteca vastissima di titoli che sono legati a doppio filo con le scienze più nobili, tra cui quelle naturali e speculative, ma anche con quelle più insidiose, l’alchimia e la magia, che delle prime sono lo secchio nella cultura dell’età moderna.
In un arco temporale che spazia dal III secolo d.C., quando il giudaismo ellenistico aveva trovato spazio, secondo l’apocrifo Lettera di Aristea a Filocrate, nei desiderata del faraone Tolomeo III Sotere, che in Alessandria aveva rivolto le sue attenzioni alla cultura e alle esigenze della comunità ebraica della diaspora, fino al Settecento libertino e illuminista, si può tuttavia isolare, come a campione di questo codice genetico la cui paternità salomonica viene messa sempre più in discussione (Benito J. Feijco poteva affermare con ostentata sicurezza, nel 1728, la non paternità dell’opera all’autore tradizionalmente riconosciuto, il re Salomone) la particolare storia del testo in oggetto, la Clavicula Salomonis, emerso da una bibliografia sterminata e confusa di apocrifi e pseudo-epigrafici; una storia fatta di selezione, aggiustamenti, fraintendimenti e arricchimenti, così come vuole la più normale tradizione dei testi religiosi del mondo mediterraneo.
Perché, se solo in minima parte, la Clavicula Salomonis può essere vista nello stesso tempo come il “libretto delle istruzioni” per i riti magici, ma è anche oggetto del rito stesso, imprescindibile per la sua realizzazione; riti che, come avranno modo di realizzare i censori più agguerriti di questo Sacratus – termine col quale veniva diffuso nel periodo tardo-medievale il testo – «execrabilissimae consecrationes et detestabiles invocationes, scripturae, imagines, apertissimam idolatriae impietatem continent»1.
Di un Salomone sapiente e detentore di arcani segreti sono presenti tracce in alcune opere esoteriche, ovvero rivolte ad un gruppo di iniziati, come i Papiri magici egiziani (II a.C.) e le Apocalissi gnostiche (II-IV d.C.). Soliman ben Daud (Salomone figlio di Davide) compare anche nel Corano (XXXVIII, 36-38) come signore degli abitanti delle ombre, rivisitazione della figura storica alla pari di quella di Alessandro Magno, detto “Bicorno”.
Nel testo della Clavicula, Salomone è definito “magosopho”, unendo alla sapienza già contemplata nel testo biblico anche la scienza magica. Salomone non solo è citato come auctoritas, ma compare come auctor (o pseudo-autore) di altrettanti testi esoterici in ambito giudaico-ellenistico (alcuni dei quali rientrano negli apocrifi veterotestamentari), soprattutto in area alessandrina: nell’Origine del mondo (testo gnostico del III d.C.) si fa riferimento ad un libro di Salomone che contiene la descrizione del processo “eonico” già confutato da Ireneo di Lione nella sua Adversus Haereses, che ha come termine la pretesa di Sophia di conoscere i segreti del Padre: è la sophia gnostica che incarna il Gesù catholicos (da sempre chiamato Filius David); ma è anche la rappresentazione della sapienza salomonica e della sua ascesa mistica (e altrettanto occulta) ai vertici della conoscenza divina.
Questo è anche il contenuto del Libro dei Sette cieli, attribuito da Zosimo di Panopoli (IV d.C.) a Salomone. L’ultimo dei libri in questo contesto che vengono attribuiti al sovrano giudeo è il Testamento (I-III d.C.), che contiene un catalogo di demoni e viene fatto riferimento all’anello, oggetto-simbolo della possibilità di dominare le creature degli inferi. Questo testo particolare viene citato in due vicende giudiziarie che, per la loro collocazione geografica, mettono in luce la diffusione e la portata che ebbe almeno fino alla seconda metà del XIII secolo. Il primo è del 1185 riportato da Niceta Coniata nella sua opera Grandezza e catastrofe di Bisanzio, laddove Aronne Isacco, mago di corte dell’imperatore Manuele Comneno, possedeva «un libro leggendo il quale evocava spiriti e legioni». Il secondo invece è nel Tractatus de Legibus del vescovo Guglielmo d’Alvernia che tra il 1228 e il 1249 lanciò un’offensiva ai testi salomonici (o almeno a tutti quelli che circolavano in gran copia sotto il suo nome), coniando per essi il termine sacratus, dalla doppia accezione di “capaci di soprannaturale” e “maledetti”.
Tuttavia, tanto il teologo bavarese Alberto Magno nel XIII secolo quanto l’umanista ed esoterista tedesco Johannes Thritemius al principio del XVI, parleranno di un «liber quattuor annulorum» con chiaro riferimento all’anulum Salomonis – figura ambivalente, potendo riferirsi tanto al simbolo di regalità quanto alla figura geometrica – del trattato del vescovo francese. In particolare, stando alla descrizione del Tritemio, questi “anelli”, in qualità di cerchi (figura geometrica piana indispensabili alla pratica magica per il valore che essa assume) sono sottoposti «super eutentham et ydea salomonis»: la «bona et perfecta operatio» (euthenteo), ovvero l’azione, e la «forma», ovvero il disegno. Il contesto, tuttavia, è ancora quello della prescienza astronomica/astrologica, e l’appoggio a testi sussidiari che implicassero la nozione magica, se non per fondare un discorso probante, per lo meno lo corroboravano. Tanto più se citava il nome di Salomone.
Il Sacratus poi viene citato anche in un’opera di Pietro d’Abano, il Lucidator dubitabilium astronomiae, dove i tanti e diversi volumina Salomonis vengono considerati invece un unico corpus, e nel glossario sono ricorrenti termini come “anello”, “chiave” e “circolo”. Il volume è citato come Liber Racialis così chiamato da Johannes Reuchlin in riferimento all’opera De Raziel (in ebraico, Sepher Ha-Razim) secondo il quale da Abramo a Salomone sarebbe stata tramandata la chiave per accedere alla conoscenza divina. Questo trattato, voluto nella sua traduzione latina da Alfonso X di Castiglia tra il 1255 e il 1270, venne bruciato dall’inquisitore Nicholaus Eymerich a Barcellona negli anni Cinquanta del Trecento.

1. Dalla Clavis Salomonica alla Clavicula Salomonis

Nel Cinquecento cominciò così a diffondersi una vasta gamma di libelli che rivendicavano come unica paternità quella salomonica, o almeno condividevano gli argomenta e la struttura di fondo. La clavis, la chiave di Salomone, lo strumento per la conoscenza e la dominazione degli spiriti inferiori, comincia a comparire sia nei poemi cavallereschi, come nell’Orlando innamorato del Boiardo (I, XIV, 67-71), o nelle opere filosofiche naturalistiche e speculative, come il De artis et naturae secretis, così come nei cataloghi di libri magici (noto è quello del Thritemius, l’Antipalus del 1508, dove si possono trovare molti titoli che apparentemente sembrano, in questo particolare contesto, non avere alcun legame interno reciproco).
Come è impossibile determinare la nascita di un movimento religioso o di un qualsiasi fenomeno sociale, altrettanto è difficile determinare quando alcuni testi, di per sé di natura magmatica e camaleontica (non aderendo infatti ad un archetipo unitario è difficile ricostruirne la complessa vicenda filologica, potendo godere di tanti autori con finalità diverse) abbiano assunto una forma compiuta. Tuttavia, è alla fine del XVI secolo che la Clavicula Salomonis si afferma come testo indipendente, nella struttura e nei contenuti generali, rispetto alla Clavis Salomonica, grimorio ben precedente e tradotto in molte lingue (di cui sono conservati invece i manoscritti, e, pur mancando gli archetipi, si sono potute individuare due famiglie di codici, con differenze minime o macroscopiche). Secondo gli studi di Elizabeth Butler e di Arthur E. White, la Clavicula Salominis (o la Piccola Chiave) sarebbe quindi un’emanazione, un’ipostasi seicentesca della Chiave Salomonica, così come il Lemegeton2.
Nel Seicento la Clavicula, la Piccola Chiave di Salomone, divenne un genere letterario nel quale confluirono, nelle buste degli archivi inquisitoriali, i materiali più diversi.

2. La diffusione manoscritta di un libro di magia tascabile a Venezia

Nella Venezia di età moderna, per evitare l’attività censoria del Serenissimo governo e degli organi ecclesiastici, continuavano ad essere messi in circolazione, per la vendita o l’uso privato, testi manoscritti. Le motivazioni, apparentemente ovvie, possono essere tuttavia esemplificate per far emergere anche quelle che coinvolgono l’uomo nella sua dimensione antropologica più profonda, quella del timor di Dio. Una dei motivi principali è che l’efficacia di un testo poteva dipendere non solo dal suo contenuto (peso intrinseco) ma anche dalla forma in cui veniva espresso, ovvero dalla grafia, dalla cura del prodotto finale (peso estrinseco), e nel caso della Clavicula, soprattutto dai simboli, se presenti, che erano vergati a mano, con inchiostro nero, minio o colorati, e arricchiti da particolari. Nel tracciare parole, glifi e pentacoli, nell’atto stesso di racchiudere nella figura circolare delle rappresentazioni magiche, delle formule e delle invocazioni possiamo ritrovare la stessa radice originaria che spinse altre società complesse ad attribuire al disegno fatto di propria mano un significato decisivo per la buona riuscita del rito. Si pensi soprattutto all’apparato speculativo costruito dai teorici dell’estetica orientale, dall’India induista al mondo sino-nipponico.
Secondarie, ma non per importanza, sono le motivazioni di opportunità pratica, facilità di circolazione e possibilità di intervento e selezione dei testi. Sotto il nome di Clavicula Salomonis e di qualche opera di Pietro d’Abano (così emerge dagli interrogatori depositati presso il Sant’Uffizio) venivano così smerciate le opere più varie, o anche solo brani delle medesime, collazionate insieme. I testi venivano trascritti dagli interessati in ottavo o in sedicesimo per essere più facilmente nascosti nelle tasche o in qualche cucitura delle vesti, rilegati in carta o pergamena, ma spesso venivano trovati dagli inquisitori sgualciti, logori, piegati e riscritti, segno di una faticosa vita clandestina ma anche di un uso abituale.
I lettori che diventavano copisti trasformavano poi il testo in qualcosa d’altro, spesso tradotto e semplificato, per poter essere più fruibile; anche le abilità grafiche nella copiatura delle immagini della Clavicula influenzavano il testo; se ne potevano trovare da poco più di tre fino a centocinque, ma in alcuni esemplari si poteva assistere ad un fatto alquanto curioso: pagine con ampi spazi bianchi tra i capitoli, là dove dovevano trovarsi i pentacoli e gli atri disegni necessari alle evocazioni demoniache (si veda ad esempio la Clavicula trovata in casa di Laura Malipiero nel 1654).
Probabilmente le immagini, per la valenza simbolica che esse rappresentavano, venivano copiate separatamente, da mani di copisti esperti, che usavano «inchiostro, minio, oro e altri colori»; alcune volte i pentacoli e gli altri simboli, vergati anche con lettere ebraiche, greche ed altre allegorie esoteriche, venivano disegnati alla fine del volume; altre volte invece erano sommariamente ricopiati con tratto rapido ed indeciso.
Ogni Clavicula, quindi, era diversa dall’altra: tornando ai documenti allegati al processo contro Laura Malipiero, si può constatare la diversificazione degli esemplari della Clavicula in suo possesso, due copie diverse tra loro soprattutto nella disposizione interna del materiale e nella parte didascalica. Le copie in suo possesso potevano essere giunte in casa sua grazie alla presenza di uno studente di medicina dello studio patavino, elemento questo che conferma non solo la casualità della trasmissione del testo, che seguiva percorsi sotterranei, emergendo soltanto di rado per finire sul tavolo di qualche inquisitorie, ma che evidenzia anche il superamento della disparità culturale, proprio delle prime conventicole eterodosse.
Ciò che conferiva mistero al libro, e soprattutto la sua funzionalità pratica, non era tanto la necessità di una coerenza interna, cosa più comune per una rubrica post-tridentina o per un manuale di esorcisti, ma l’essere nel linguaggio e nella forma scardinato e incomprensibile. Se fosse stato compreso, anche e soprattutto dai fruitori meno colti, non avrebbe di certo sortito l’effetto desiderato.

3. Un esempio storiografico: la Clavicula del sarto napoletano Francesco Viola

Raggiunta la consapevolezza preliminare che ogni Clavicula si differenzia dall’altra e che si possono recensire tanti testi quanti sono i fruitori degli stessi, si prenderà quale esempio l’esemplare che l’inquisitore veneziano che si accinse ad esaminare nel 1636, dopo averla recuperata in casa del sarto napoletano Francesco Viola3. Com’è costruita questa copia della Clavicula e in cosa differisce da tutte le altre? Innanzitutto, è stato eliminato il proemio classico, sostituito invece da un preludio che introduceva l’opera. Alle due sezioni classiche della Clavicula (e questo esemplare è mutilo della prima, un catalogo ignorato dal copista, mentre presenta la seconda, un grimorio per l’evocazione degli spiriti), il copista aggiunge un trattato astrologico sulle influenze degli spiriti sui pianeti e una quarta parte che serviva da consacrazione della Clavicula stessa.
Oltre all’opera di Salomone, l’inquisitore trova sul suo tavolo anche un altro libretto, questa volta in volgare, manoscritto , suddiviso in cinquantasei capitoletti, contenente indicazioni di magia pratica, con titoli espliciti circa lo scopo dell’esperimento.
L’apparato iconografico non era particolarmente elaborato, essendo costituito da figure stilizzate, comode da copiare in fretta, anche da persone non dotate. Anche la struttura stessa degli esperimenti denota una persona poco colta (probabilmente si tratta della versione semplificata da Lunardo Longo).

3.1. L’incipit e il Primo libro


Clavicula Salomonis de Secretis. In nomine Adonai Tetragrammaton Apyruch Exbranor. Incipit Clavicula Salomonis, quam olim composuit ipse sapientissimus Salomon filius Davidis, ut filios suos instrueret in arte Rabidmadar. Continet autem in prima parte utilissima ad omnes eventus secreta secretissima, quorum Catalogum in ipsius fronte perspicies. In secunda varias docet dispositiones secundum locum, diem, horam, mensem, annum, ut talis qualibus opus fuerit veniat spiritus, qui de quibus libet rebus interrogatus, sive politicis, sive philosophicis, sive quibuscumque aliis ad unquem, et doctissime sine errorem respondebit, sed antequam legas volo te instruendum hoc caractere.
(Archivio di Stato di Venezia, d'ora in poi ASVe, Sant’Uffizio, b. 93, 4r)

Dopo essere stato introdotto nella materia, «res est enim plane oscura et clara nimis» (ASVe, Sant’Uffizio, b. 93, 5v), il lettore viene quindi istruito sulla gerarchia degli spiriti4, venendo a sapere che esistono

quidam superiores, quidam inferiores: superiores sunt Imperator, Princeps, Comes; nomina sunt Lucifer, Belzebuth, Hestor5; Inferiores sunt subditi Lucifero, et tales Europam et Asiam incolunt, vel subditi Belzebuth et tales Africam incolunt; tandem subditi Hestor, et tales Americam incolunt et omnes habent duos duces, qui subditis imperant quas Imperator, Princeps vel Comes decernunt. […] Hi enim tres omnimodam sibi vendicant potentiam, de toto orbe deliberant, et quaecumque facienda sunt ducibus precipiunt, subditis enim, et inferioribus non apparent propria forma, nec alicui alteri, sed modo forma equi in circo ambulantis modo lupi cum cornibus, modo et sepius forma hirci cum ingenti proboside. Ducibus autem propria tantum figura se se offerunt, ut de negotiis presentibus ipsos instruant.
(ASVe, Sant’Uffizio, b. 93, 6r)

Segue la descrizione di questa triade, della trinità demoniaca:

Luciferi figura talis est puer et formosissimus quantum dici non potest eius oculi solis instar corruscant, et dum irascitur in rubore suffunduntur tandem, Lucifer nihil habet stupendum in sua figura.
Belzebuth imperator spirituum qui Africam incolunt sepius sub luce paulo grandiori duces alloquitur, aliquando dum magni ponderis res agitur sub forma vituli sed portentesa apparet, humanis scilicet pedibus, praeterquam quod unum ex posterioribus ceruinum habet, leonis, aut harpiae, non longe dissimilibus, dum irascitur flammam vomit, et ululat instar lupi.
Hestor alatus est et niger usque ad umbilicum, reliquum uersus inferius parte dextera album, sinistra roseum est proboscis tamen illius uiridis est ad ulxefere magnitudinem extensa, et dura quam instar zonae circa uentrem obuolutans nodo sistit, hac autem suos subditos ad ea quae sunt facienda desides prouocat, et quam plures ex Americanis eius getibus necat, si non necat moribundos prosternit. Scio quod sub asini figura sepius uisus est.
(ASVe, Sant’Uffizio, b. 93, 6v-7r).

Segue la descrizione di diciotto demoni (ASVe, Sant’Uffizio, b. 93, cc. 8v-10v) con le relative raffigurazioni; ciascuno di questi, dotato di una specifica caratteristica, è alle dipendenze dei “comandanti” che seguono i tre demoni superiores, Lucifero, Berlzebuth e Hestor. Il testo afferma che

alia et perplurima sunt demonia, quae, etiam sunt precipua sub duce Satanaeli sunt 54 quorum 4 sunt principaliora, et nobis magis accommoda, reliquos tacebimus, nihil enim refert inutilia explicare: ipsa quatuor sunt Sergurth, Heramael, Irmasliel, et Suffugrel, et ad pentacula supernecessaria, ideo de iis in 2a parte dicemus.
(ASVe, Sant’Uffizio, b. 93, 10v-11r.)

Dopo aver continuato con la descrizione di alcuni altri spiriti, e aver associato a ciascuno un caracter, ovvero un simbolo, un glifo che possa contenere rappresentare simbolicamente tutto il significato e la presenza del demone, l’autore si accinge a concludere la prima parte.

Haec dicta sunt de spiritibus, ut melius sequentia intelligantur. Sequitur 1a pars de secretis secretissimis, quorum Catalogus hic est quem promisimus in praeludio huius libelli.
Ut pluat, et ningat, ut fulguret, ut non frigeamus, ut nimio calore non torqueamur, ut aperiamus clavaturas, ut amorem puellae conciliemus, ut amatae puellae concubitu potiamur, ut nummos quoties libuerit habeamus, ut simus inuisibiles, ut inimicus emoriatur, ut musica audiatur dulcissima, ut de mortui vivi appareant nobis et eloquantur.
(ASVe, Sant’Uffizio, b. 93, 12r.)

Soffermandosi sulle possibilità che questo secondo capitolo del libello offre, possiamo porre una prima domanda antropologica fondamentale: che cosa desiderava l’uomo dell’età moderna? Perché ancora si affidava ad un testo così improbabile? Possiamo già preannunciare che la risposta potrebbe trovare maggiore soddisfazione consultando il secondo testo, quello in volgare, la cui utilità sembra avvicinarsi alle esigenze non solo di un sarto del XVI secolo, quant’anche ad un uomo dell’età contemporanea. Prenderemo in esame uno di questi riti, ciascuno dei quali prevedeva inizialmente l’iscrizione di circoli o pentacoli sull’altare e l’individuazione dello spirito corretto che presiede alla richiesta desiderata. Il tutto corredato di formule complesse da pronunciare, in lingue non dissimili dall’ebraico e dal greco. Consideriamo il rito «Ut nummos quoties libuerit habeamus», ovvero per ottenere quanto denaro si desidera:

Quot nummos habere volueris, siue cupreos, siue aureos, siue argenteos, siue aeneos, tot circulos rotundos seca ex pergameno duplicato, et simul conglutinato: et in utraque parte signum describe monetae quam cupis, fac deinde circulum supra tabulam, et tot fac caracteres Claunth, quot sunt nummi quos habere cupis, et deinde omnes pergameos nummos in altum tanquam cylindrum erige et hoc carmen pronuncia.

Claunth seras catebam Sygnugth nemth
Eranot agan Serurma serunt erichrem.
Clibanot nechin Trebien.

Deinde haec iterum cane ad liram ter et dormi per horam supra lecto de nummis non cogitans, et post horam loco nummorum pergammicorum inuenies nummos tot quales volueras, hoc ex sequenti figura percipies.
(ASVe, Sant’Uffizio, b. 93, 16v-17r)

Per ottenere quanto denaro si desidera, i dovevano riprodurre delle monete in carta pergamena, scrivendone la quantità sul dorso; dopo averle disposte in colonna a formare un cilindro in un circolo disegnato sul tavolo (vedi cilindro stilizzato in 17r), si dovevano tracciare i simboli del demone Claunth (come si vede nell’immagine riportata tanto in 10r quanto in 17r), che in 8r è descritto come colui che «in divitias quos tollere et dare potest». Mentre veniva fatto questo, si doveva cantare per tre volte con la lira un breve componimento, nel quale vengono invocati anche altri demoni. Fino a qui, il rito sembra promettere bene. La seconda parte rivela così quel sottile confine tra possibile e imprevedibile: la descrizione del rito afferma che si può ottenere il risultato sperato soltanto dopo aver dormito per un’ora sulle monete di pergamena «non cogitans», che potremmo tradurre con “senza pensarci”.
Ora, pur rimanendo nella Weltanschauung dell’uomo mediamente acculturato dell’età moderna6, non possiamo ignorare quali e quante speranze nutrisse, nell’ordine del superstizioso e del soprannaturale, nel poter ottenere tanto denaro quanto ne aveva desiderato. Ed è proprio quel desiderio che l’autore del rito avrebbe dovuto tacitare nel cuore e nella mente durante il suo sonno di un’ora se avesse veramente voluto portarlo a compimento con successo.
Questa era la linea sottile di demarcazione tra la realtà e l’immaginazione, tra naturale e soprannaturale, tra fisico e metafisico.
Possiamo ricorrere a tal proposito al concetto di “magia” così come venne approfondito, a livello antropologico, da Ernesto De Martino. Egli ha dedicato al fenomeno della magia una sua intera opera, Il mondo magico. In questo saggio egli si chiede come mai la magia per alcuni esista e per altri no, e per questo passa in rassegna molti documenti etno-antropologici a testimonianza del fatto che la magia esiste. L’etnologo De Martino cita ad esempio il caso dei “camminatori sul fuoco” di cui si occupò Gudgeon, oppure le descrizioni di guarigioni di cui parla Marco Polo nel suo Milione. Il problema dell’esistenza della magia è speculare al concetto di realtà. Esso è per gli occidentali un rapporto “esclusivo”, per altre culture “non solo inclusivo, ma soprattutto complementare”. Proprio la resistenza ad accettare l’esistenza della magia è secondo De Martino un problema metodologico: per un’analisi critica non lo si può escludere in maniera scettica e dogmatica, come avrebbero fatto gli storici e gli etnologi della seconda metà dell’Ottocento. Il timore di cadere nel “difetto di critica” ha comportato per la ricerca l’imbrigliamento degli studiosi in un criterio univoco di autenticità.
Possiamo trarre una prima seppur non esaustiva conclusione: la credenza nel rito era tale dal renderlo reale (quindi molto più che verosimile, se si pensa che chi compiva il rito era disposto a molti compromessi pur di portarlo a compimento in modo corretto) a prescindere dai risultati che esso poteva garantire.

3.2 Il Secondo libro

Alla c. 19v troviamo la dicitura «Finis secretorum» e alla carta successiva comincia la terza parte della Clavicula: «Sequitur liber secundus de Pentaculis siue apparationibus». Questo secondo libro che si estende dalla c. 20v alla c. 48v è suddiviso in tre parti: una prima, dedicata alla conoscenza di alcuni spiriti che

tam boni, quam mali colunt, velimque scias tibi doctrinae hanc artem traditam esse, non ad contemptum Dei, illique servientium, sed ad illius honorem et gloriam, ad proximi tui utilitatem, et ad proprium usum quando necessitas requirit, velimque praeterea eam secreto serves, neminique nisi filiis sapientiae reveles, iisque maxime qui timent dominum, qui secreto secreta custodire sciunt, qui corde, et mente puri sunt, ventri non indulgentes nullique corporis voluptati dediti, qui ab omni hominum societate nisi sapientem se alienare cupiunt, illis denique, qui iudicio tuo huic arti sunt aptissimi, quod nisi obserues omnia opera tua, arsque propria damno, et periculosa tibi erit.

Questi spiriti puri, dei quali sembra parlare, sembra trattarsi di angeli; tuttavia queste creature che, come si legge di seguito, presiedono ciascuna ad una delle sfere elementari (terra, acqua, fuoco e aria) e planetarie (da mercurio al primo mobile), dotate ciascuna di poteri particolari, «tam boni, quam mali colunt». Non si è passati, a mio avviso, ad un trattato di angiologia, né tanto meno a forme di magia positiva in contrapposizione a quanto descritto nelle carte precedenti. Siamo di fronte ad un secondo catalogo, simile all’Antipalus già citato, che è finito col tempo per diventare parte della Clavicula. Così la descrizione prosegue con «quae operanti in Arte cognoscenda sunt», ovvero con quanto deve essere conosciuto dall’officiante del rito perché questo possa avere successo.
Dalla c. 26r comincia una terza sezione, lungo la quale vengono descritti gli strumenti e le disposizioni che devono essere assunte dall’officiante. Ci possiamo soffermare al capitolo sesto (cc. 27r-28r) dove vengono descritte le modalità per costruire il “cerchio”. La preghiera di esorcismo presente, estrapolata dall’Ordinarium Missae in cui comparve dalla riforma tridentina, sembra stridere nel contesto della Clavicula; tuttavia, come ogni formula liturgica ecclesiastica estrapolata dal suo contesto, essa serviva a preparare l’officiante in un rituale ascetico di purificazione che ne garantisse, quasi ad imitazione del ministero sacerdotale, la migliore disposizione fisica e spirituale.
Seguono quindi, nei capitoli successivi, «De Pentaculo, De gladio (come preparare il coltello per l’evocazione dello spirito), De Aqua benedicta, De Veste (cucita da mani di vergine etc…), De Igne et Suffumigiis, De Sanguine et Atramento, De charta virginea, De Loco et Tempore», e per finire «De Inuocationibus et Coniurationibus Spirituum, De Experimentis».
Segue una procedura complessa che coinvolge l’officiante e i suoi «socii» per sette giorni (ASVe, Sant’Uffizio, b. 93, 33r-36v), con tanto di digiuno e astinenza, purificazione e preparazione spirituale. Il rito è propiziatorio, per garantirsi il favore degli spiriti, chiamando in causa addirittura Dio come loro signore e padrone, nel nome del quale, richiamati ad agire, devono dare obbedienza. Il prontuario, come nel caso già trascritto nell’esempio precedente, prende le distanze da un possibile fallimento della propiziazione e dell’evocazione, poiché «si nihil tibi et sociis appareat, coniurationem precedentem reiterabis, cum hac sequente».
Tra gli esperimenti che la Clavicula propone in questa sezione, ne troviamo altri di molto interessanti: poter scappare ai nemici, diventare invisibili, trovarsi contemporaneamente in due luoghi, volare, conoscere il futuro etc… ma ce n’è uno sul quale possiamo soffermarci, poiché si potrebbe essere intessuto con la storia del sarto Francesco Viola e probabilmente con la vita e le scelte di molti uomini politici appartenenti al patriziato veneto, fossero essi laici o ecclesiastici.
Alla c. 39r-39v troviamo la dicitura «Ut aquiras Magnos honores». Senza scomodare la prima cantica dantesca, le motivazioni che spingevano l’uomo del popolo minuto a desiderare tutto e subito, persino ricorrendo alla magia, erano legate alle passioni viscerali che prendevano il nome di cupidigia, lussuria e la superbia. I riferimenti materiali, che troviamo in tutte le evocazioni e le richieste che vengono fatte agli spiriti, sono il denaro, le fanciulle (o i garzoni) e gli onori.
E una delle pratiche più in voga a Venezia, similmente a quanto avveniva a Roma per l’elezione del pontefice, era la scommessa su chi sarebbe stato eletto doge della Repubblica. Possiamo immaginare che, mentre Francesco Viola e i suoi due compagni cercavano di accrescere la conoscenza delle res futurae, qualche patrizio veneto di casa Contarini o Mocenigo potesse cercare pentacoli da conservare nella toga nel giorno in cui avesse dovuto estrarre la “ballotta”. Così dice il testo di questo experimentum:

Hoc pentaculum debet fieri sole existente in signo leonis, quod factum involves in panno serico semperque tecum feres dum scilicet reges, principes, et magnates comitaberis, a quibus sine dubio magnos honores obtinebis.

3.3 Il Terzo libro e la conclusione

Terminate le esposizioni grafiche dei pentacoli ad uso degli officianti, inizia il terzo libro della Clavicula, nel quale, come di esponeva all’inizio, vengono descritte le relazioni esistenti tra le Intelligenze celesti, ordinate per grado ed importanza, in relazione ai pianeti; il caracter, il segno grafico che le rappresenta, garantisce una virtù che viene descritta, secondo le intuizioni del magosopho Salomone, che per primo ordinò le intelligenze celesti e identificò gli esseri angelici che le presiedono. La quarta ed ultima parte invece (dalla c. 67r alla 75 r.) espone quali siano le attività necessarie all’officiante per preparare l’altare.

4. Tradizioni minori: il piccolo manoscritto in volgare di Francesco Viola

Sul tavolo dell’inquisitore si trova anche un libretto in volgare, probabilmente un prontuario tascabile, un “fratello minore” della Clavicula, vergato con mano rapidissima e imprecisa, senza una apparente dignità formale. Un cahier de notes, un taccuino per gli appunti, le cui pretese sono molto più vicine alle esigenze di un uomo mediamente colto e invischiato nella vita commerciale dell’età moderna, come poteva esserlo Francesco Viola. A differenza della Clavicula e della sua tradizione manoscritta, questo taccuino si avvicina maggiormente all’immaginario collettivo del libro di magia, poiché, in modo molto più immediato e scavalcando il seppur interessantissimo apparato demonologico e astrologico presente nella Clavicula, cerca di accontentare rapidamente il fruitore di queste stregonerie.
I pentacoli disegnati su carta semplice, sono il prodotto materiale delle istruzioni riportate nel secondo e nel terzo libro della Clavicula. Recano infatti in apice il pentacolo ben descritto e il testo è vergato, nella maggioranza degli esemplari, con una scrittura testuale a tratto pesante.
Tutto fa pensare quindi ad un documento ufficiale, al risultato finale di un’evocazione, ad un “amuleto” consacrato pronto all’uso. Anzi, il fatto stesso che il pentacolo sporga dal resto del foglio e si caratterizzi come un oggetto indipendente dal testo sottostante, potrebbe far pensare che si tratti di un elemento rimuovibile e staccabile, per essere conservato separatamente dalle – possiamo immaginarle così – istruzioni per l’uso.
I riti che prendono forma nel libello, altrettanto complessi, sono tuttavia apocrifi, e nascono dalla fantasia dell’autore, costituendosi pertanto come testimoni unici del loro contenuto. Nel quaderno degli appunti di Francesco Viola vengono a fondersi così alcuni elementi presenti nel terzo libro della Clavicula – come la preparazione dell’officiante con un coltello di osso bianco, con la riduzione in cenere della vittima sacrificale, con l’uso di materiali “vergini”, ovvero mai utilizzati – ma anche con la scienza medica officinale monastica, che nelle piante ed erbe medicinali vede l’aiuto per ridestare gli umori sanguinei e persino con la liturgia cattolica o ebraica.
Sottraendo all’amuleto la sua struttura linguistica, privando la Clavicula e gli altri prontuari della loro sovrastruttura esoterica, ci si trova di fronte ad un prodotto della cultura dell’età moderna, volto a rispondere alle esigenze di cui la società, oltre le istituzioni e alle convenzioni, poteva sentire il bisogno: poteva esorcizzare la paura del buio, luogo ideale in cui si nascondevano ladri, briganti e assassini, e dove l’immaginazione tesseva contorni fantastici per spiegare ciò che non si poteva spiegare; poteva sondare il terreno dell’affettività e della sessualità, un ambito che per quanto privato era fin troppo regolato e invaso dalla prescrizioni morali della Chiesa cattolica; poteva desiderare oltre le proprie aspettative di vita onori, lunga vita, denaro e salute, provando a gettarsi oltre i limiti che il caso aveva assegnato loro, per nascita, stirpe e sangue; poteva conoscere, come era avvenuto al re Salomone, un mondo altro, in cui naturale e soprannaturale si confondevano.

Fonti e bibliografia

Fonti archivistiche

  • Venezia, Archivio di Stato, Sant’Uffizio, b. 93, contro Francesco Viola, Lunardo Longo, Pietro Rinaldi.

Fonti manoscritte

  • Amsterdam, Bibliotheca Philosophica Hermetica, BPH 114, ff. 74-138: forse il manoscritto latino più antico.
  • Amsterdam, Bibliotheca Rosenthaliana, Ms. Ros 1808 A 9 (già Ms. Ros. 12), 1729.
  • Budapest, Library of the Hungarian Academy of Sciences, Ms. Kaufmann A 256, XVIII sec.
  • Cleveland, Public Library, Ms. BF 1601.C5313/1834.
  • Firenze, Biblioteca Medicea Laurenziana, Plut. 89 sup. 38, ff. 52r-76r: “Clavicula Salomonis”, 1494.
  • Gent, Universiteit Gent, BHSL.HS.1021/B: “Clavicula Salomonis. Secretum secretorum omnium artium magicarum Libri duo Versi ex Lingua greca per sapientissimum virum Thoz Natione grecum Libri Duo“, XVI sec.
  • Jersusalem, The Jewish National Library, Israel Ms. Var. 223: “Clavicula Salomonis”, XVIII sec.
  • Leipzig, Universitätsbibliothek, Cod. Mag. 51: “Segreti varii mirabili et provati per me Gioann Mateo Peccatrice Spagniolo nel Anno 1538”, 1750 ca.
  • Leipzig, Universitätsbibliothek, Cod. Mag. 85.A, XVII sec.
  • London, British Library, Harleian MS. 5596. XV sec.: contiene un testo molto simile alla Clavicula e può essere considerato il prototipo dell’intero genere letterario.
  • London, British Library, Sloane MS. 2383, “Clavis libri secretorum”, XVII sec.
  • London, British Library, Sloane Ms. 1309, XVII sec.
  • London, British Library, Sloane Ms. 3675, XVII sec.
  • London, British Library, Sloane Ms. 3847, “The Clavicle of Solomon, revealed by Ptolomy the Grecian”, 1572.
  • London, British Library, Ms Or. 6360: 'Maphteah Shelomoh, XVII sec.
  • London, British Library, Ms. Or. 14759, XVII sec.
  • London, British Library, Ms. Add. 39666: « La Clavicule Magique et Cabalistique du Sage Roy Salomon », 1732.
  • London, British Library, Ms. Add. 36674, “The Key of Knowledge”, seconda metà XVI sec
  • London, Warburg Institute: Innes Collection, ms FBH 80, “Zecorbeni seu Clavicula Salomonis Regis ex hebraica latinitati donnata sacris pentaculis insignita suoque candori restituta opera Abrahami Colorni”, XVIII sec.
  • London, Wellcome Institute, Ms. 4659 La Clavicule ou la Clef de Salomon Roy des Hébreux et fils de David, traduitte de l'hébreux, seconda metà XVIII sec.
  • London, Wellcome Institute, Ms. 4662 Livre du Secret des Secrets ou la Clavicule de Salomon qui est le véritable Grimoire contenu en deux livres, seconda metà XVIII sec.
  • London, Wellcome Institute, Ms. 4664 : « La Clavicule de Salomon des secrets au nom d'Adonay Tetragrammaton », 1825.
  • London, Wellcome Institute, Ms. 4666 : « Les Clavicules de Salomon », XVIII sec.
  • London, Wellcome Institute, Ms. 4668: “Clavicula”; “Tre tavole di Livio Agrippa”, 1775 ca.
  • Madison, University of Wisconsin-Madison, Memorial Library, Duveen Collection: “Clavicula Salomonis filii David”, seconda metà XVII sec.
  • Madrid, Biblioteca Nacional de España, Ms. BNE 12707 “Abraham Colorno, Clavicula Salomonis hebraeorum regis: traducta ex hebraeo in latinum idioma. Ex mandato suae celsitudinis Mantuae Ducis”, XVII sec.
  • Luzern, Staatsarchiv, Ms. KA 140: Claviculus Salomonis sive obedientia angelorum, XVIII sec.
  • Oxford, Bodleian Libraries Ms. Aubrey 24, “Zecorbeni sive Claviculae Salomonis libri IV in quibus I De Praeparementis, II De Experimentis, III De Pentaculis, IV De Artibus”, 1674.
  • Oxford, Bodleian Library, Michael Ms. 276: “Clavicolo di Salomone Re d'Israel figlio de David”, XVII sec.
  • Paris, Bibliothèque nationale de France, Ms. Ital. 1524, “Compilazioni di vari trattati latini d'astrologia, necromanzia, magia, medicina, ecc.”, 1446 (manoscritto italiano censito più antico).
  • Paris, Bibliothèque nationale de France, Ms. Lat. 1512. Toz Graecus, «Toz graeci philosophi nominatissimi expositio super libros Salomonis de secretis secretorum ad Roboam”, XVII sec.
  • Paris, Bibliothèque nationale de France, Ms. Lat. 14075. Toz Graecus, “Clavicula Salomonis”, XVII sec.
  • Paris, Bibliothèque nationale de France, Ms. Lat. 18510. Testamenti sive claviculae Salomonis scientia enucleata ad Roboam”, XVIII sec.
  • Paris, Bibliothèque nationale de France, Ms. Franc. 2346 : « Les Clavicules de Rabbi Salomon », XVIII sec.
  • Paris, Bibliothèque nationale de France, Ms. Franc. 2347 : «Zekerboni, par Pierre Mora, à Bellegrade. MLVII», XVIII sec.
  • Paris, Bibliothèque nationale de France, Ms. Franc. 2348 : « Livre de la Clavicule de Salomon, roy des Hébreux », XVIII sec.
  • Paris, Bibliothèque nationale de France, Ms. Franc. 2349 : « Les vrais Clavicules du roy Salomon, traduitte de l'hébreu par Armadel », XVIII sec.
  • Paris, Bibliothèque nationale de France, Ms. Franc. 2350, XVIII sec.
  • Paris, Bibliothèque nationale de France, Ms. Franc. 2493, « Le secret des secrets, ou le véritable grimoire, par Tosgraec », XVIII sec.
  • Paris, Bibliothèque nationale de France, Ms. Franc. 2497, « Les vrais Talismans, pentacles, et cercles », XVIII sec.
  • Paris, Bibliothèque nationale de France, Ms. Franc. 2790, « Zekerboni”, XVIII sec.
  • Paris, Bibliothèque nationale de France, Ms. Franc. 2791, « Livre Second de la Clavicule de Salomon, ou le véritable Grimoire », XVIII sec.
  • Paris, Bibliothèque nationale de France, Ms. Franc. 14783 : « Clavicule de Salamon (sic), mise de latin en françois et rangée selon l'ordre des matières », XV sec.
  • Paris, Bibliothèque nationale de France, Ms. Franc. 14787 : « Mélanges astrologiques. III Roue de Pitagoras » ; « Clavicule céleste Cataloged », XVII sec.
  • Philadelphia, University of Penn, Ms. 515: “Clavicola magica, e cabalistica”, XVIII sec.
  • Philadelphia, University of Penn, Ms. 1673 (già ms. 584), “Clavicula Salomonis Regis. Abrahamum Coturnium”, XVIII sec.
  • Princeton University Library, Greek MS. 131, ff. 171-201: Vasileia Solomomtos, XVI sec.
  • St. Gallen (Switzerland), Vadianische Sammlung, VadSlg Ms 334, XVI sec. (1533-1566).

Bibliografia

  • Federico Barbierato, Nella stanza dei circoli. Clavicula Salomonis e libri di magia a Venezia nei secoli XVII e XVIII, Sylvestre-Bonnard, Milano 2006.
  • Federico Barbierato, Il testo impossibile: la Clavicula Salomonis a Venezia (Secoli XVII-XVIII), in «Annali della Fondazione Luigi Einaudi», I, 32, 1998, pp. 235-284.
  • Teresa Bernardi, Mobilità e appartenenze multiple a Venezia: il caso di Tarsia alias Laura Malipiero (1630-1660), in «Genesis. Rivista della Società Italiana delle Storiche», II, 16, 2017, pp. 37-59.
  • Jean Patrice Boudet, Entre science et nigromance. Astrologie, divination et magie dans l’Occident médiéval (XIIe-XVe siècle), Éditions de la Sorbonne, Paris 2002.
  • Elizabeth M. Butler, Ritual Magic, Cambridge University Press, Cambridge 1979.
  • Ernesto De Martino, Il mondo magico, Einaudi, Torino 1973.
  • Florence Gal, Jean-Patrice Boudet, Laurence Moulinier-Brogi, Vedrai mirabilia. Un libro di magia del Quattrocento, Viella, Roma 2017.
  • Benedek Lang, Unlocked Books. Manuscripts of Learned Magic in the Medieval Libraries of Central Europe, Pennsylvania University Press, Philadelphia 2008.
  • Jules Michelet, La Sorciére: The Witch of the Middle Ages, tradotto da L. J. Teotter, Simpkin & Marshall, London 1863.
  • Giangiorgio Pasqualotto, Figure di pensiero. Opere e simboli nelle culture d’Oriente, Marsilio, Venezia 2010.
  • Joseph H. Peterson, The Lesser Key of Solomon: Lemegeton Clavicula Salomonis, Weiser Book, York Beach 2001.
  • Maximilian Rudwin, The Devil in Legend and Literature, AMS Press, New York 19702.
  • Julien Véronèse. La magie rituelle à la fin du Moyen Âge. Le cas de la Clavicula Salomonis, in Jacquart, Danielle, Agostino Paravicini Bagliani (a cura di), Le Moyen Âge et les sciences, SISMEL-Edizioni del Galluzzo, Firenze, 2021, pp. 617-637.
  • Arthur E. Waite, The Book of Black Magic, Red Wheel, York Beach 1972.

Article written by Vincenzo Vozza | Ereticopedia.org © 2022

et tamen e summo, quasi fulmen, deicit ictos
invidia inter dum contemptim in Tartara taetra
invidia quoniam ceu fulmine summa vaporant
plerumque et quae sunt aliis magis edita cumque

[Lucretius, "De rerum natura", lib. V]

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