Volterrani, Caterina

Dizionario di eretici, dissidenti e inquisitori nel mondo mediterraneo
Edizioni CLORI | Firenze | ISBN 978-8894241600 | DOI 10.5281/zenodo.1309444


Caterina Volterrani da Campìgnoli, detta “la Volterrana”, nata attorno al 1584 e morta presumibilmente dopo il 1650, è stata una donna processata per stregoneria a San Miniato nel 1647. Il procedimento contro di lei fu avviato a seguito della denuncia fatta da un contadino di Capannoli, vicino a Pontedera. Caterina era accusata di aver fatto una malia alla moglie del contadino che si era poi offerta di guarire. Tutti nelle campagne di Santo Pietro Belvedere, tra Pontedera e San Miniato, sapevano che l’anziana donna, vedova, senza fissa dimora, con qualche figlio ancora in vita ma non convivente, chiedeva l’elemosina di podere in podere e all’occorrenza curava con le erbe esseri umani e animali.

Il processo si svolse dal 7 maggio al 22 luglio 1647; fu sospeso dal 14 al 27 maggio per permettere la verifica dei “riscontri”, cioè le prove della colpevolezza e, come già era avvenuto nel caso di Gostanza da Libbiano, una cinquantina di anni prima, nello stesso luogo, si concluse con l’assoluzione dell’imputata e l’ingiunzione di trasferirsi altrove. Non senza prima passare però, anche questa volta, dalla stanza della tortura.
La deposizione della Volterrana presenta uno schema comune a tanti altri processi analoghi: dapprima si protesta innocente, poi ammette di saper togliere le malie e infine cede e si avventura nel racconto di un Diavolo a cui aveva venduto un figlio in cambio di soldi perché aveva fame e di un sabba strampalato e contraddittorio, costruito su binari chiaramente suggeriti da chi conduce, di volta in volta, gli interrogatori.
Qualche mese dopo la conclusione del processo samminiatese, Caterina fu arrestata di nuovo e condotta dai “birri” a Pisa. Questa volta l’interrogatorio fu condotto direttamente dal Vicario del Santo Offizio di Pisa, Bonaventura Vandalo, nella chiesa di San Francesco, sede del Santo Offizio locale.
La deposizione dell’imputata coincide con la precedente ma le risposte denotano una maggiore familiarità con il lessico dei processi per stregoneria, acquisita evidentemente dal contatto con gli “esperti” della materia. La documentazione conservatasi non è completa e non sappiamo come si concluse la vicenda.
La storia di Caterina, per quanto riguarda la vittima, è una storia di miseria, di ignoranza e di cattivo vicinato come tante altre. Riguardo invece ai responsabili dei procedimenti giudiziari può essere utile per ricostruire il complicato intreccio di competenze tra i tribunali ecclesiastici locali e il Santo Offizio, tribunale pontificio e quindi organo di uno Stato straniero. Il processo samminiatese fu avviato dall’autorità vescovile della nuova diocesi istituita da poco (1622) per volontà di Maddalena d’Austria, Ganduchessa di Toscana. Il vescovo in carica era Alessandro Strozzi della potente famiglia fiorentina. La materia dell’indagine chiamava però in causa il Sant’Offizio di Pisa e, di conseguenza frate Lodovico Zaccheo da Sessa che ne era Inquisitore generale. Il 12 giugno 1647 quest’ultimo fece pervenire agli inquirenti di San Miniato una lettera in cui dichiarava inconsistenti le accuse rivolte alla donna e di essere contrario alla tortura perché a seguito dei tormenti gli imputati confessavano qualsiasi cosa. A dimostrazione di ciò portava una esperienza personale: quando era inquisitore di Aquileia, nella diocesi di Concordia, un tale, accusato di essere “stregone” aveva confessato sotto tortura di aver fatto cose terribili delle quali non si era riusciti a trovare neanche una prova. Raccomandava poi, prima di fare o decidere qualsiasi cosa, di mandare gli incartamenti a Roma e attendere poi istruzioni.
La lettera giunse troppo tardi, lo zelo degli inquirenti locali, come già era avvenuto per Gostanza, aveva già portato a torturare Caterina.

Fonti archivistiche

  • Archivio Vescovile di San Miniato, Fondo Atti civili del Tribunale ecclesiastico diocesano, filza non numerata anno 1647 cc.n.n.
  • Archivio storico diocesano di Pisa, Fondo del Tribunale del S. Offizio, Filza 11, cc.910-11, 929, 948, 1056-65.

Bibliografia

  • Silvia Nannipieri, Caterina e il Diavolo. Una storia di streghe e inquisitori nella campagna pisana del Seicento, ETS, Pisa 1999.
  • Silvia Nannipieri, L’eredità di Gostanza: Caterina e il Diavolo, in Incanti e sortilegi, streghe nella storia e nel cinema, a cura di Laura Caretti e Dinora Corsi, ETS, Pisa 2002, pp. 73-83.

Article written by Silvia Nannipieri | Ereticopedia.org © 2022

et tamen e summo, quasi fulmen, deicit ictos
invidia inter dum contemptim in Tartara taetra
invidia quoniam ceu fulmine summa vaporant
plerumque et quae sunt aliis magis edita cumque

[Lucretius, "De rerum natura", lib. V]

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