Dizionario di eretici, dissidenti e inquisitori nel mondo mediterraneo
Edizioni CLORI | Firenze | ISBN 978-8894241600 | DOI 10.5281/zenodo.1309444
Carlo Antonio Bellagranda è stato un inquisitore, appartenente all’Ordine dei Frati Minori Conventuali.
I pareri sulla provenienza del Bellagranda sono contrastanti. Normalmente appare nei documenti come Carlantonio da Ferrara, tuttavia vi è un’attestazione – a dire il vero isolata – che lo vuole da Ravenna. Ormai è consolidata l’ipotesi, che si può ben accettare, dell’origine ferrarese.
Nell’opera inquisitoriale l’incarico più importante fu certamente quello Udinese (diocesi di Aquileia), iniziato il 18 ottobre 1663, dopo il trasferimento dalla vicina Ceneda (Vittorio Veneto). Pare prima fosse stato inquisitore di Adria per poco più di un anno e mezzo, dal 18 dicembre 1658 al 18 agosto 1661. La nomina nella sede aquileiese non avvenne con decreto della Congregazione dei cardinali, ma in forma orale direttamente da papa Alessandro VII, come risulta da un verbale dell’udienza dell’Assessore del Sant’Ufficio col pontefice.
Nel 1668 per il Bellagranda vi fu il trasferimento alla sede di Pisa, con decreto approvato da papa Clemente IX. L’intenzione era l’avvicendamento degli inquisitori, con lo spostamento di fra Francesco Rambalducci a Udine. Sembrerebbe uno dei tanti trasferimenti praticati dalla Congregazione del Sant’Ufficio, ma non sono limpidi i termini della questione, partendo dal fatto che il cambio non avvenne.
Pare che già alla fine del 1667 il Bellagranda ebbe ordine da parte della Congregazione di lasciare Udine e recarsi in patria, senza dare spiegazioni all’interessato. L’11 gennaio 1668 da Ferrara il frate scrisse alla stessa Congregazione per chiedere ulteriori ordini. Questa rispose che rimanesse lì per poter curare la propria salute. Riscontro che ha tutta l’aria di una mossa per prendere tempo.
Troppi punti sono oscuri e la vicenda si sviluppa in un susseguirsi di fatti apparentemente in contrasto fra loro.
Non sono chiari i motivi che abbiano spinto il Sant’Ufficio a ritirare l’inquisitore da Udine, per spostarlo in un altro Stato. La nomina a Pisa dimostra che non vi erano motivi per negargli un ruolo prestigioso, quindi l’allontanamento non fu certo una punizione.
Sulla questione dell’avvicendamento, che non ebbe seguito, si potrebbe pensare che il Rambalducci non gradisse il trasferimento a Udine, o che il Bellagranda rinunciò alla sede pisana, che tuttavia aveva chiesto esplicitamente nel luglio 1668, specificando la volontà di fare l’inquisitore di Pisa per qualche tempo e poi ritirarsi. Forse voleva salvare il proprio onore.
A tal proposito si noti che informazioni sul Bellagranda vennero chieste dalla Congregazione a monsignor Stefano Brancacci (o Brancaccio), ex nunzio a Venezia e nuovo segretario della Congregazione del Concilio. Allora l’inquisitore fu chiamato a Roma e, a cavallo fra giugno e luglio 1668, lo stesso chiese spiegazioni riguardo la sua convocazione.
A far chiarezza sulla questione potrebbe essere una lettera del 9 agosto 1668, che la Congregazione lesse nella riunione del 12 settembre, mese nel quale il Bellagranda fu deposto dall’ufficio inquisitoriale di Aquileia e Concordia.
La lettera fu scritta da Demetrio Spilimbergo, che denunciava alcune molestie subite dall’inquisitore udinese per essersi occupato degli interessi di sua cognata. Inoltre si fa cenno a dei danni finanziari, per i quali – continuò lo Spilimbergo - l’inquisitore doveva rendere ragione.
Alla fine la Congregazione permise al Bellagranda di lasciare Roma, col divieto però di tornare a Udine. Nominò nuovo inquisitore di Aquileia e Concordia il frate Oliviero Tieghi da Ferrara e dell’ex inquisitore Carlo Antonio Bellagranda non si hanno più notizie.
Caso non raro, anche per lui si sparse la falsa voce di dimissioni volontarie e rinuncia all’incarico.
Bibliografia
- Andrea Del Col (a cura di), L'Inquisizione del patriarcato di Aquileia e della diocesi di Concordia. Gli atti processuali 1557-1823, Edizioni dell'Università di Trieste - Istituto Pio Paschini, Trieste - Udine 2009.
Article written by Mauro Fasan | Ereticopedia.org © 2019
et tamen e summo, quasi fulmen, deicit ictos
invidia inter dum contemptim in Tartara taetra
invidia quoniam ceu fulmine summa vaporant
plerumque et quae sunt aliis magis edita cumque
[Lucretius, "De rerum natura", lib. V]