Benincasa, Benvenuta

Dizionario di eretici, dissidenti e inquisitori nel mondo mediterraneo
Edizioni CLORI | Firenze | ISBN 978-8894241600 | DOI 10.5281/zenodo.1309444


Benvenuta Benincasa è stata una donna processata per stregoneria dall'Inquisizione di Modena nel 1370.

Fra i processi celebrati dal tribunale dell’Inquisizione di Modena quello a carico di domina Benvenuta Benincasa, detta la Mangialoca, è il più antico in cui una guaritrice deve rispondere dell’accusa di eresia. Lo svolge, in otto sedute fra il 24 settembre e il 7 ottobre 1370, il frate domenicano Tommaso da Camerino, inquisitore nella Lombardia inferiore con delega speciale per Ferrara e Modena. Fonti notarili, che arricchiscono le scarne notizie biografiche offerte dal processo, ci permettono di affermare che a quella data Benvenuta ha circa sessant’anni, vive in città col secondo marito e gode di una buona posizione sociale. L’inquisita non è eretica secondo la più consueta accezione, anzi rivendica di essere una buona cristiana, frequenta messa e sacramenti, prega anche nell’intimità di casa davanti ad un'icona della Vergine col Bambino. Ma in città corre voce, corroborata dalla testimonianza di due sacerdoti, che lei abbia ed utilizzi speciali poteri. Sin dal primo interrogatorio Benvenuta non trova difficoltà a confessarli, anzi lo fa con orgoglio: è capace di riconoscere se una persona è stata ammaliata, di individuarne il colpevole, di scoprire dove sono nascoste le fatture e di curare la vittima distruggendole. A questa conoscenza accede tramite sogni veritieri nei quali ‘incontra’ l’autore delle malie che costringe a confessare. A quei sogni si prepara ritualmente recitando preghiere devote e coricandosi sul lato destro. Giunge a diagnosticare se una persona è stata ammaliata, da chi e come, anche solo guardandola: è un dono, anzi una grazia che le ha concesso Dio. Utilizza i suoi poteri solo a fin di bene ed è richiesta anche dalle famiglie più in vista della città. Questo semplice quadro devoto nel corso del processo si complica drammaticamente come risultato del confronto con l'inquisitore. Egli sa di avere giurisdizione solo sulla magia ereticale, quella in cui vi è invocazione di demoni con atti di sottomissione, offerte, dulia o adorazione e conseguente apostasia dalla fede. Chiede dunque a Benvenuta “quale visione abbia e quale spirito veda una volta recitata la sua orazione”1 e la donna risponde che “le sembra di vedere un uomo, vestito in modo comune, che viene sempre accompagnato da un gran frastuono, nella forma di quella persona che è responsabile delle fatture e delle malie”. L’inquisitore indaga sulle parole pronunciate dallo spirito quando appare. L’inquisita afferma che le dice: “Signora (domina), eccomi, che cosa comandi?”. Gli ingiunge Benvenuta: “Richiedo te, poiché tu hai ammaliato la tal donna, rivelami dove sono le malie che hai confezionato”. Come una padrona Benvenuta tratta lo spirito col piglio di un esorcista: "Io ti scongiuro, in nome di Dio e di san Geminiano, perché tu mi dica chi sei”. Lo spirito replica: “Tu mi hai invocato in modo tale che non ti posso negare la verità: io sono quello che richiedi". Le domande dell'inquisitore sono suggestive e rivelano lo sforzo di ricondurre il racconto della donna a schemi a lui noti: lui parla di "spiriti", ma Benvenuta riferisce di un "uomo" che vede in una dimensione onirica, poi si adegua e, interrogatorio dopo interrogatorio, gli spiriti si trasformano in demoni diabolici; le preghiere devote evolvono in formule magiche; le pratiche, tese alla guarigione di vittime di malefici, si arricchiscono di una variegata casistica di sortilegi amatori e di un armamentario di pozioni nelle quali si mescolano erbe, oggetti sacri abusati, sangue mestruale e così via. Nonostante non sappia leggere e scrivere, l’apprendistato di Benvenuta avviene sotto il segno della magia colta cerimoniale. Le è stato maestro il primo suocero Manfredino Mangialoca, notaio ed usuraio, che leggendo su un “grande libro” invocava gli spiriti e compiva azioni “mirabili e terribili”. Quando l’inquisitore chiede a Benvenuta se lo spirito che le appare “sia buono o malvagio”, lei risponde che “crede che sia diabolico e diabolicamente trasmesso da colui che opera le fatture e le malie”. Data tale eziologia dell’ammaliamento, il ricorso ai demoni è l’unica strada praticabile per liberare le vittime. Lei sottolinea continuamente che a quei demoni non si sottomette anzi li tratta da servi, linea difensiva che, non essendo trattenuta in carcere, ha forse elaborato col consiglio dei famigliari, notai e uomini di Chiesa. La sua “arte” si macchia espressamente di eresia quando ammette, sollecitata dall'inquisitore, di offrire doni ai demoni che invoca: pane e carne che essi nottetempo prelevano. Così l'inquisitore ha la prova del “patto scellerato”. Quelle che per lui sono inequivocabilmente epifanie demoniache, nel mondo di Benvenuta sono apparizioni e presenze di varia natura. Anche dopo avere ammesso la loro essenza diabolica continua a descriverli come gentili e di bell'aspetto. Quando le appaiono non le fanno paura anzi si sente rallegrata e rassicurata perché la guidano a conoscenze positive. Con loro la mette in contatto una specie di astro tutelare che invoca con la formula: "Io te schunzuro, spera, che mego nascisti e mego va e mego vene, mego manze e mego beve, mego dorme e mego zaxe, io te schunzuro che tu vade al purgatorio, o veramente all'inferno e che tu me mene uno spirto che vada là oe io vorò". Fra i vari spiriti ci sono anche anime dei defunti ed è plausibile che i doni di Benvenuta rinviino a tradizioni altre rispetto ai sacrifici ai demoni. La metamorfosi diabolica delle apparizioni si completa quando Benvenuta confessa che uno spirito l’aveva sollecitata a rinnegare la fede: “Credete voi che questo Gesù sia Dio? […] Crediate piuttosto ciò: che io sono maggiore di Dio e più potente di lui”. Lei si era fatto il segno della croce cacciando da sé lo spirito e le lusinghe ereticali. Benvenuta esercita la sua arte convinta che ciò non sia in contrasto col suo essere una buona cristiana, eppure confessa di astenersene nei giorni che dedica alla devozione. Le ultime battute del processo la mettono di fronte all’impraticabilità di quella complicata coesistenza. Benvenuta indica alcuni colleghi (e avversari): il prete Paolo Zamboni opera malie e fatture con abuso di ostie consacrate; donna Maddalena Lapi, stando dentro un cerchio magico coi capelli sciolti sulle spalle, invoca demoni che le appaiono in forma di animali e fiere; Giovanni Navi incontra demoni spaventosi, ma sa come tenerli a bada (anche a suo carico verrà avviato un processo). La diffusione in città delle pratiche magiche (“perniciosa peste”), che sono in concorrenza con la Chiesa e la medicina ufficiale, allarma l’inquisitore. Un prete testimonia che una donna gli aveva rivelato in confessione di essersi affidata alle pratiche di Benvenuta per la guarigione di un figlio. Lui l’aveva avvertita che erano azioni proibite dalla Chiesa e le aveva ingiunto di astenersene altrimenti non l’avrebbe assolta dai peccati. La donna preferì rinunciare alla comunione piuttosto che all’aiuto di Benvenuta perché aveva avuto successo dove tutti i medici avevano fallito.
Sentito il parere del collegio dei giurisperiti, l’inquisitore, pur giudicando gravissimi gli addebiti, condanna la pentita Benvenuta a pubblica abiura, all’esposizione infamante con abitello e mitria e a penitenze spirituali. Ma soprattutto la condanna ad abbandonare l’“arte” perché non solo fare ma anche distruggere le fatture è proibito dalla Chiesa. L’ultimo suo testamento è del 1383: non ha figli, ma il ricco elenco di persone beneficiate suggerisce che nonostante il processo Benvenuta non ha subito ostracismo.

Bibliografia

  • Grazia Biondi, Benvenuta e l’Inquisitore: un destino di donna nella Modena del Trecento, Unione donne italiane - Centro documentazione donna, Modena 1993.
  • Grazia Biondi, Benvenuta Benincasa: una strega di città, in Giovanna Bosco, Patrizia Castelli (a cura di), Stregoneria e streghe nell'Europa moderna. Convegno internazionale di studi. Pisa, 24-26 marzo 1994, Ministero per i Beni Culturali e Ambientali. Ufficio Centrale per i Beni Librari, le Istituzioni Culturali e l'Editoria-Biblioteca Universitaria di Pisa, Roma-Pisa 1996, pp. 287-306.

Article written by Grazia Biondi | Ereticopedia.org © 2024

et tamen e summo, quasi fulmen, deicit ictos
invidia inter dum contemptim in Tartara taetra
invidia quoniam ceu fulmine summa vaporant
plerumque et quae sunt aliis magis edita cumque

[Lucretius, "De rerum natura", lib. V]

thumbnail?id=1_usu8DkYtjVJReospyXXSN9GsF3XV_bi&sz=w1000
The content of this website is licensed under Creative Commons Attribution 4.0 International (CC BY 4.0) License