Cambi, Bartolomeo

Dizionario di eretici, dissidenti e inquisitori nel mondo mediterraneo
Edizioni CLORI | Firenze | ISBN 978-8894241600 | DOI 10.5281/zenodo.1309444


Bartolomeo Cambi, noto anche come Bartolomeo da Saluzzo o da Salutio (Socana [Arezzo], 3 aprile 1558 – Roma, 15 novembre 1617), appartenente all’ordine francescano e passato dai Minori osservanti ai Minori riformati, è stato un teologo, autore di numerose opere spirituali, predicatore e trascinatore di folle, particolarmente noto per la virulenza della sua predicazione antiebraica, esplosa a Mantova nell’agosto 1602, e per questo motivo temuto anche dalle autorità ecclesiastiche.

Biografia

Nato il 3 aprile 1558 a Socana, nel Casentino, da Giacomo e Camilla, che gli diedero il nome di Grazia, trascorse l’infanzia in un ambiente contadino, occupandosi essenzialmente della cura dei campi e dell’allevamento delle pecore. Il parroco del paese e un tale Paolino, amico di famiglia, presero a cuore la sua precoce vocazione religiosa, avviandolo agli studi teologici e letterari, nel cui contesto fu attratto particolarmente da autori come Dante e Jacopone da Todi. Il 28 aprile 1575 indossò l’abito dei francescani osservanti della Verna, dopo aver tentato senza successo di essere accolto nel convento domenicano di Bibbiena. Fu allora che assunse il nome di Bartolomeo, aggiungendovi l’appellativo «da Salutio» come segno di doveroso omaggio al padre, probabilmente originario di Saluzzo o trasferitosi in quella località quando il figlio scelse di abbracciare la vita religiosa1.
Bartolomeo Cambi perfezionò la sua formazione nel convento di San Romano, ove la sua presenza è attestata tra gli allievi prediletti del padre Ludovico da Colle, completandola poi nello Studio dell’Ordine ad Assisi. Nella sua formazione culturale e spirituale trovano una speciale collocazione la letteratura d’ispirazione religiosa, con un’attenzione rivolta per lo più alla produzione poetica e mistica, e la ricca tradizione teologica francescana, da s. Bonaventura a Duns Scoto, che si riflette particolarmente nei numerosi scritti della maturità. Per la dimensione ascetica e la materia morale si avverte l’influsso del misticismo spagnolo e di autori come Serafino da Fermo, che insieme alla tradizione profetica influenzarono forme e temi della sua predicazione. Le notevoli capacità intellettuali di Cambi, congiunte al fascino della sua parola, gli facilitarono il cursus honorum all’interno dell’ordine francescano. Nel Capitolo generale del 1584 fu nominato lettore di arti alla Verna; l’anno seguente passò a San Romano, chiamato con ogni probabilità dal suo maestro Ludovico da Colle. Successivamente si trasferì a Bosco di Mugello, poi nel 1587 a Volterra, per fare infine ritorno, quello stesso anno, alla Verna.
Nel 1593 Cambi si trovava nel convento romano dell’Aracoeli come lettore di teologia, richiesto espressamente dal confratello Bonaventura da Caltagirone, ma proprio a questo periodo risale un episodio significativo nella biografia del frate osservante. Durante la visita apostolica di Clemente VIII all’Aracoeli, fu ordinata un’ispezione nella cella del Cambi – impegnato a predicare la Quaresima nella chiesa napoletana di Santa Maria la Nova – che portò alla scoperta di un liuto «ed altre bagattelle», per usare l’espressione del padre Santoro da Melfi, suo biografo. Ritrovamento che costituiva una trasgressione di non poco conto, se si considera che nel 1587 il Capitolo generale di Roma aveva espressamente vietato ai frati e alle monache di possedere liuti e altri strumenti musicali. Inoltre, un decreto promulgato il 9 aprile 1593 dalla Congregazione pontificia delle riforme stabiliva che nelle chiese era consentito suonare esclusivamente l’organo2.
Citato in giudizio direttamente da papa Aldobrandini, Cambi fu invitato a giustificarsi dinanzi al visitatore apostolico Leonardo Bonaghi, ma la prospettiva di una severa condanna, che non escludeva un lungo periodo di carcere, lo indusse ad abbandonare precipitosamente il convento, divenutogli ormai ostile, e tra luglio e agosto del 1594 riparò a Genova, dove, spogliatosi dell’abito religioso, trovò sistemazione in casa di uno degli Spinola locali con funzioni di precettore dei figli. Dopo qualche mese, ritornò improvvisamente sui suoi passi e si rimise spontaneamente alla volontà dei confratelli. Fu pertanto inviato in convento a Siena, ma già nel 1595 ottenne il permesso di predicare la Quaresima a Empoli. In questo periodo, caratterizzato da lunghe pause di meditazione e da una palpabile inquietudine religiosa, il frate osservante intraprese un itinerario spirituale dai forti connotati ascetici, trovando ospitalità nell’austero romitorio della Verna. Questa delicata fase della sua vita si concluse sul finire del 1598, allorquando Cambi fece il suo ingresso, il 22 novembre di quell’anno, nel convento di Fiesole, che rientrava tra quelli riformati dell’osservanza francescana, accentuando il suo già noto rigorismo in campo ascetico. Grazie al suo carisma e all’indubbia statura intellettuale, l’inquieto frate andava esercitando un forte ascendente sugli altri e ciò gli consentì di imporsi come una delle figure di maggior rilievo del movimento della cosiddetta riforma francescana, fino ad essere eletto custode dei conventi riformati della Toscana in sostituzione di Francesco da Menabbio. La sua eccessiva intransigenza incontrò tuttavia resistenza in un paio di monasteri e pertanto Cambi si trovò costretto, nel 1601, ad abbandonare questa carica, invero poco idonea alla sua personalità essenzialmente disinteressata alle responsabilità di governo, e a riprendere a tempo pieno l’attività di predicatore, a lui senz’altro più congeniale3.
Nel 1602 i veementi discorsi di Cambi innescarono una violenta crociata contro gli ebrei, da lui ritenuti tutti «nemici di Dio», ma ciò non impedì alla gente comune di esaltarlo come «Padre Santo» e degno di venerazione per la sua «santa vita»4. Maturata in piena estate a Reggio, nel corso di un lungo viaggio di attraversamento della pianura padana, la predicazione antiebraica del Cambi ebbe conseguenze nefaste e fece precipitare la città di Mantova «in grandissimo tumulto», per dirla con le parole di un contemporaneo. Nel Ducato si giunse perfino ad impiccare sette ebrei per futili motivi e non si contarono tumulti e disordini nei territori sotto la giurisdizione dei Gonzaga, il che mise subito in allarme le sgomente autorità ecclesiastiche. Anche il gesuita Antonio Possevino rimase turbato dalla fama sinistra che accompagnava il frate francescano e di lui si occupò nel narrare la storia dei Gonzaga a inizio secolo5. Contemporaneamente ebbe inizio la fortuna iconografica della sua effigie, la quale, «intagliata qui anche in rame», andava a ruba quasi come i ritratti dei cardinali Bellarmino e Baronio, percepiti anche da Campanella come le due colonne intellettuali della Controriforma6. Fu così che il 2 settembre 1602 il cardinale Giovanni Francesco Biandrate di San Giorgio intimò a Cambi di presentarsi tempestivamente nell’Urbe e mettersi a disposizione della Curia romana7.
L’incauto francescano fu relegato dalle autorità curiali nel convento romano di San Francesco a Ripa, dove inizialmente visse in una condizione di sostanziale semiprigionia. Riprese a predicare solo in occasione della Quaresima del 1605, all’Aracoeli, impegnandosi tuttavia a non toccare per alcun motivo i temi roventi della polemica antiebraica. Del caso di Bartolomeo Cambi si occupò anche Cesare Baronio, successore di Filippo Neri alla guida dell’Oratorio, che non mostrò di apprezzare i toni violenti e apocalittici delle sue prediche. Il disappunto dell’autorevole filippino toccò il culmine quando il frate francescano, in ritiro ascetico nel convento di Fonte Colombo, presso Rieti, replicò uno dei soliti slanci profetici denso di oscure predizioni e immagini terrificanti, che preconizzavano sventure di portata biblica per il papa, i cardinali e i «grandi prelatoni che mangiano i bon bocconi»8. Baronio si mostrava piuttosto preoccupato per i «secreti» e le «occulte revelationi» del Cambi, il quale esercitava insistenti pressioni sul cardinale sorano al fine di ottenere il permesso di predicare. Facendosi interprete delle preoccupazioni curiali, Baronio lasciò cadere la sua richiesta e suggerì a Vincenzo da Roma, padre guardiano di Fonte Colombo, di «occultare» le incaute sue profezie ed evitarne la diffusione9.
L’iniziativa del cardinale Baronio coincise con un inasprimento delle misure restrittive adottate nei confronti di Cambi, che il 10 maggio 1607 fu condotto nuovamente nel convento di San Francesco a Ripa, controllato a vista da padre Vincenzo da Roma. Paolo V diede inoltre mandato all’oratoriano Agostino Manni, apprezzato confessore e figura di primo piano dell’Oratorio, di occuparsi del frate francescano. Dopo un attento esame il padre filippino espresse un parere positivo in merito alla sua ortodossia, chiudendo tuttavia un occhio sulle consuete tirate apocalittiche e la singolarità delle rigorose penitenze. I due strinsero anche amicizia e una lettera del Manni, datata 6 febbraio 1610 e densa di benevola approvazione della sua produzione spirituale, fu stampata a mo’ di prefazione nella Vita dell’anima del Cambi: è indirizzata a padre Vincenzo da Roma, che in questa circostanza gli aveva chiesto di visionare l’opera per verificare «s’era cosa degna delle stampe»10. A seguito di una sua precisa richiesta, Bartolomeo Cambi fu trasferito nel convento di San Pietro in Montorio, dove trascorse gli ultimi anni della sua esistenza, dedito essenzialmente alle sue meditazioni ascetiche. Morì a Roma il 15 novembre 1617.

Temi e tempi della sua predicazione

Pur non disponendo di testi completi delle sue prediche, è noto che Bartolomeo Cambi lanciava accorati appelli alla penitenza e prendeva di mira con toni aspri specialmente i costumi del tempo, gli ecclesiastici impenitenti e gli uomini di governo poco o per nulla morigerati, colpendoli con oscure profezie e invocando terribili punizioni divine. Sul tema della salvezza attingeva immagini ed esempi dalla letteratura medioevale del disprezzo del mondo e da un recente classico come il Combattimento spirituale di Lorenzo Scupoli, esortando gli astanti a combattere l’inefficacia dell’intelletto e a rigettare con sdegno i beni terreni. In tale contesto risultano esemplari le sue terribili rappresentazioni della morte e del disfacimento del corpo: «Finirà, finirà o misero la tua gola. Svanirà questa tua bellezza. Marcirà quella tua carnaccia. Diverrà sterco e puzza quell’idolo tuo. Morirai, creperai, et uscirai di questa vita presente. Uscirà finalmente quella tua misera, et forsi maladetta anima da quello sporco, e fetente corpaccio tuo»11.
Cambi predicava in genere all’aperto, circondato da una folla in delirio, brandendo una grande croce di legno. A Firenze, nel 1599, ebbe inizio la fase aurea della sua predicazione, che fu favorita da un suo ammiratore locale, Marsi Medici, vescovo di Fiesole dal 1596 al 1605 e ausiliare di Alessandro de’ Medici, futuro Leone XI. Presso le autorità diocesane era già in forte sospetto la sua predicazione, i cui toni apocalittici e violenti rischiavano quasi sempre di scatenare moti incontrollati e tensioni sociali. Grazie all’intercessione di Marsi Medici, l’agguerrito predicatore parlò dal pulpito di Santa Maria del Fiore in occasione dei solenni preparativi della festa di s. Giovanni Battista. Fu poi invitato dai francescani di San Giacomo Apostolo, ove, stando alla testimonianza di Ferdinando Leopoldo del Migliore, «si tirò dietro tutta la città»; predicò anche in diversi monasteri femminili e fu richiesto dai canonici di San Lorenzo per l’Avvento del 159912.
Le prediche virulente di Bartolomeo Cambi scatenarono moti e pressioni tali da confermare le preoccupazioni delle autorità diocesane, che nella parola del frate avevano scorto tracce cospicue della sospetta tradizione savonaroliana. Il chiacchierio sollevato dai sermoni fiorentini fece entrare in crisi il rapporto di fiducia con il cardinale Alessandro de’ Medici, il quale ebbe parte attiva nella sospensione imposta alla sua predicazione dopo la terza domenica d’Avvento. A provare un imbarazzo evidente per i temi e i modi della sua predicazione era soprattutto il clero, che non faceva segreto di temere l’adesione di interi monasteri, anche di quelli femminili, alla riforma francescana. Le autorità cittadine erano poi piuttosto preoccupate per i toni marcatamente apocalittici di queste prediche, tenuto conto che si temeva sempre una sollevazione della folla quando a sermoneggiare era il veemente frate. A Montepulciano come a Fiesole, la parola del Cambi infiammava gli astanti, specialmente quando scendeva dal pulpito tra la gente, gesticolando in modo scomposto con la grande croce ben stretta nella mano.
Nel 1601, ottenuta la nomina pontificia a predicatore apostolico, più idonea alle sue attitudini, Cambi riprese a parlare in pubblico, visitando Lucca, Montevarchi, Terranova, Laterina in Valdarno Superiore, infine Arezzo, dove predicò nella chiesa della Pieve e nel convento di Sargiano. Qui lo raggiunse l’invito di Clemente VIII a fare ritorno a Roma, per predicare nella chiesa di San Lorenzo in Damaso, ma Alessandro de’ Medici si oppose con tutte le sue forze e riuscì almeno a evitare il coinvolgimento dell’intera area urbana. La fama di Cambi non accennava comunque a scemare, se si considera che il cardinale Mattei, protettore dei francescani, prese la decisione di far predicare il frate a Genova. Il frate giunse a Porto Venere il 6 novembre 1601. Un biografo ricorda che la sua predicazione destò all’inizio qualche perplessità, poiché alcuni mal sopportavano le frequenti «invettive colla croce» e l’uso di un linguaggio poco raffinato, per non dire grossolano. Cambi mostrò di avere fatto tesoro delle critiche e in seguito si orientò verso un sermone dotto e meno veemente, trattenendosi in città fino all’anno seguente, quando Clemente VIII gli fece pervenire un ordine scritto con cui si richiedeva la sua presenza a Venezia. Ciò gli consentì di attraversare durante l’estate del 1602 una buona parte della pianura padana, toccando una dopo l’altra, in rapida successione, Pavia, Piacenza, Cremona, Parma, Reggio, Modena, Carpi, Mirandola, Concordia e Mantova13.
Grande entusiasmo suscitò il suo transito a Pavia e poi a Piacenza, ma da lì fu costretto a partire precipitosamente perché la folla era stata sollevata dalla sua parola. Dopo aver sostato con successo a Cremona, ottenendo finanche il conferimento della cittadinanza onoraria, Cambi si mise in marcia alla volta di Parma. Giunse in città il 12 luglio 1602, di venerdì, e vi tenne due prediche. Il 18 luglio si rimetteva nuovamente in viaggio e il giorno seguente arrivò a Reggio, accompagnato da una fama via via crescente, che tuttavia non riusciva a dissipare i sospetti che aleggiavano sulla sua predicazione. Fu in questa città che il frate francescano orientò esplicitamente i modi della sua predicazione nel senso dell’invettiva e della polemica antigiudaica. Trovata la cattedrale chiusa per lavori di restauro, parlò da un pulpito eretto dinanzi alla chiesa di San Prospero, riscuotendo subito ampi consensi e ovazioni14. Giunto a Modena il 24 luglio, dopo appena due giorni decise di lasciare in tutta fretta la città poiché – stando a quanto riferisce il suo biografo Santoro da Melfi – un individuo gli aveva intimato di lasciar perdere le invettive contro gli ebrei. Bartolomeo Cambi fu tuttavia raggiunto in viaggio da una delegazione cittadina formata anche da gente comune, che alla fine riuscì nell’impresa di riportare il frate a Modena. Per tre volte, dal 27 al 30 luglio, forte del sostegno popolare, Cambi parlò liberamente ai modenesi, toccando i punti più aspri della polemica antiebraica15. Da quel momento i suoi discorsi furono rivolti quasi esclusivamente contro gli ebrei, accusati di non portare segno alcuno che li distinguesse dagli altri e di godere di un trattamento quasi privilegiato nei domini estensi. Il frate non si lasciò sfuggire l’occasione di affrontare la questione del ghetto ebraico, esprimendosi a favore della sua istituzione. Non a caso a Mirandola, dove arrivò la notte del 1° agosto dopo aver fatto tappa a Carpi, la sua predica ottenne come effetto l’istituzione immediata del ghetto. Cambi si spostò poi a Concordia, da cui ripartì in giornata per Mantova, dopo aver predicato e detto messa16.
Dopo aver superato il corso del Mincio, Bartolomeo Cambi giunse finalmente a Mantova la sera di mercoledì 7 agosto, preceduto dalla fama della sua ‘santità’. La città gli era stata descritta dall’aretino Ascanio Rasi, suo solerte informatore, come corrotta e senza leggi17. Ad accoglierlo vi erano le autorità locali e una folla in delirio che a sentire i commenti dei contemporanei sembrava immensa. Accompagnato in trionfo nel convento di San Francesco, ne uscì due giorni dopo, il 9 agosto, per recarsi al Palazzo Ducale, dove nell’oratorio interno di recente costruzione avrebbe celebrato una messa riservata al duca Vincenzo Gonzaga, alla sua consorte e ai figli. Anche la mattina del giorno seguente celebrò una messa privata per la famiglia ducale. Alle ore 12 era atteso per il discorso pubblico in piazza San Pietro, ma già prima che prendesse la parola correva voce che fosse in possesso di straordinarie facoltà taumaturgiche. A sentire Egidio Spinazzi, notaio del Magistrato Camerale, il frate aveva «restituito la favella ad una fanciulla muta», poi «illuminata un’altra cieca, et liberato alcuni indemoniati»18. La gente accorreva perciò in massa alle prediche del «Padre Franciscano Santo», il quale, come un celeste taumaturgo, dispensava «miracoli et altre infinite attioni stupende»19.
La prima predica mantovana, tenuta sabato 10 agosto, fu tra le più violentemente antiebraiche ed ebbe conseguenze devastanti. Dopo aver censurato aspramente la corruzione dei costumi, la moda del «ciuffo» e la prostituzione, Bartolomeo Cambi si scagliò con toni apocalittici contro gli ebrei, giudicati senza attenuanti «nemici di Dio», accusati tra l’altro di aver cercato di corrompere con «grossa somma di danari» i francescani di Mantova per impedirgli di predicare e deplorando i loro traffici poco chiari e i vari maneggi, resi possibili, a suo dire, dai loro protettori e dalla stessa amministrazione locale. Da qui ad accusare pubblicamente il Gonzaga di politica arrendevole verso gli ebrei il passo fu breve. La folla si era fatta incontrollabile e appariva in completa balia del predicatore, che inveiva contro gli ebrei con ogni genere di «maledittione». Ma agli astanti, quella del frate francescano era apparsa «una gran predica»20. Il 9 agosto, alla vigilia della predica, Cambi si era mostrato preoccupato circa l’atteggiamento assunto dal Gonzaga sulla questione ebraica e al duca di Modena aveva espresso il parere che gli ebrei, «nemici nostri e del signor nostro Giesù Christo», «si doverebbono cacciar via»21.
L’inquietudine si era impadronita della popolazione. L’infiammata predica del frate francescano, che si era scagliato «con tanta furia et rabia» contro la comunità ebraica, aveva quasi «posta questa città in manifesta seditione et tumulto». Il clima si inasprì ulteriormente quando alcuni cittadini della comunità ebraica, infastiditi dai toni minacciosi del suo discorso, si misero a parodiare e a schernire l’astioso frate nel vestibolo della loro sinagoga. Malauguratamente il gruppo fu sorpreso da qualcuno e denunciato all’autorità vescovile. Sette ebrei furono arrestati per essere sottoposti al giudizio del tribunale episcopale. Vincenzo Gonzaga si trovò perciò costretto ad «armare molti soldati per diffesa della publica quiete»22. Nella predica dell’11 agosto in piazza San Pietro, Bartolomeo Cambi non si lasciò sfuggire l’occasione di inveire nuovamente contro gli ebrei e i loro protettori, esigendo che Gonzaga giustiziasse i sette imprigionati e che a seguire tutta la comunità ebraica fosse espulsa dal Ducato. Non contento, il frate scese in strada, di sera, brandendo platealmente il crocifisso e arringando contro gli ebrei una folla che in breve tempo diventò immensa23.
Vincenzo Gonzaga giudicò opportuno prendere tempo e nel frattempo fece armare gruppi di volontari «a piedi et a cavallo per reprimere una imminente seditione»24. Quando poi la situazione sembrò irrimediabilmente compromessa, durante la notte del 12 agosto Gonzaga si prese la responsabilità di «processare et appiccare» i sette ebrei, con l’imputazione di lesa maestà, posti «coi piedi in suso ad una forca» velocemente allestita nella piazza di San Pietro, «ma altri ne sono stati lapidati et morti»25. Per di più autorizzò una serie di eccezionali misure restrittive, quali la confisca dei beni personali e il bando perpetuo dalla città e dai territori del Ducato per i loro parenti e tutti i discendenti. E per placare la folla di curiosi, che il martedì mattina indugiava nei pressi degli ebrei «appiccati», fu posto in testa ai sette sventurati un berretto giallo con la scritta: «per haver schernita in derisione della religione cristiana la parola di Dio»26. La decisione estrema presa da Vincenzo Gonzaga, che pure aveva cercato invano «d’acquetar il Padre dicendoli di volergli dar sodisfattione, ma che del scacciar gli hebrei non si poteva così all’hora», servì quanto meno ad arginare il pericolo di una sollevazione popolare dagli esiti inevitabilmente tragici. A titolo precauzionale Bartolomeo Cambi era sorvegliato a vista da una guardia armata, con lo scopo di impedire che lasciasse il convento per mettersi a capo della folla urlante che contava ormai non meno di trentamila persone. L’ostilità nei confronti degli ebrei era diventata dunque generalizzata, nonostante l’iniziale cautela del tentennante Gonzaga, ansioso di ricevere istruzioni dalla Curia romana, che nel frattempo aveva impartito l’ordine di rendere «gli hebrei assai ben segnalati con cordoni rossi alle berette et alli capelli»27.
Il 13 agosto il frate francescano lasciava Mantova sotto scorta diretto a Ferrara, dopo aver predicato «contro il Prencipe, contro li ministri et contro il suo governo, et contro gl’hebrei ma non già con charità ma con passione grandissima». La situazione generale continuava ad essere di alta tensione, tant’è che al consigliere del duca Annibale Chieppio, diplomatico di consumata esperienza, sembrava un chiaro «miracolo di Dio» che Mantova non fosse «andata tutta a filo di spada»28. Frattanto Vincenzo Gonzaga stava preparando con grande cura la documentazione illustrativa del comportamento mantovano di Cambi, responsabile di aver posto in serio pericolo la stabilità del Ducato e la sua stessa sopravvivenza. Una dettagliata relazione, approvata dal vescovo e dall’inquisitore locale, fu trasmessa a Roma per il tramite di Alessandro Striggio, ambasciatore straordinario presso il pontefice. Il duca di Mantova si rivolse poi, a titolo personale, a Clemente VIII, chiedendo una punizione esemplare per Bartolomeo Cambi, che era giunto a «solevare una città contro l’ubidienza del suo Prencipe»29.
La condotta di Clemente VIII, esposta ai giudizi taglienti di Alessandro Striggio e del residente mantovano Lelio Arrigoni, si rivelò politicamente accorta ma anche volutamente ambigua. Se da un lato papa Aldobrandini manifestò «grandissimo dispiacere et amaritudine» per i gravissimi disordini avvenuti in città, lodando senza riserve la «prudentia usata» dal Gonzaga, dall’altro non risparmiò invettive contro gli ebrei e critiche circostanziate allo stesso operato del duca, ritenuto troppo remissivo e accomodante con la comunità ebraica, per di più colpevole di aver sottratto gli ebrei alla giurisdizione del tribunale diocesano. Sembra chiara la strategia del pontefice, il quale, pur biasimando «gli eccessi del frate et del modo del predicare», rivendicava tuttavia la piena giurisdizione ecclesiastica nei territori del Ducato30. Quanto al Cambi, dovette accontentarsi di sermoneggiare a Ferrara sul Monte di Pietà e sulla Confraternita delle Stimmate, anche perché marcato da vicino dall’attento Dionisio Brutturi, corriere del duca di Mantova, incaricato di prevenire ogni sorta di tumulto e assembramento di folla. Dei disordini mantovani era stato messo al corrente anche il cardinale Giovanni Francesco Biandrate, legato pontificio a Ferrara, che non mancò di ammonire il rissoso frate «acciò qui non seguisse disordine». Biandrate, pur convenendo sul punto «che questo buon Padre habbia ecceduto i termini», non sembrava tuttavia troppo indignato dal suo antigiudaismo rozzo e apocalittico: a proposito dell’eccidio degli ebrei mantovani, non esitava a giudicarli «scelerati», parlando con soddisfazione di «giustizia meritatamente fatta»31.
Tuttavia, il girovagare del veemente francescano, temuto ormai apertamente anche dall’alto clero, non ebbe lunga durata. A Venezia gli fu impedito di predicare perché le autorità locali erano state preventivamente allertate dal sistema informativo attivato dal Gonzaga, ragion per cui Cambi si trovò costretto a ripiegare su Murano, dove il 28 agosto riuscì finalmente a parlare. Il frate si guardò bene dal menzionare Mantova o il Gonzaga, timoroso di suscitare la reazione delle autorità laiche ed ecclesiastiche. Si limitò dunque a «riprender i peccati in generale», ritornando però nell’arringa finale ai consueti toni apocalittici, invitando gli astanti a «cridar misericordia» e invocando egli stesso giustizia, ma il «popolo» assisteva «spaventato»32. Ercole Udine, ambasciatore mantovano a Venezia, era al corrente dell’interessamento del Sant’Uffizio al caso del Cambi e tutto lasciava intuire che di lì a poco il predicatore francescano sarebbe stato richiamato con urgenza a Roma per chiarire la sua vacillante posizione dinanzi all’Inquisizione. Atteso a Bologna, ove era stato richiesto espressamente dall’arcivescovo Alfonso Paleotti, successore del cugino Gabriele alla guida della diocesi, Cambi si trovò costretto a cambiare improvvisamente i suoi programmi, anche perché le manovre diplomatiche avviate da Vincenzo Gonzaga iniziavano a sortire i primi effetti significativi. Come si è detto, agli inizi di settembre il cardinale Biandrate ordinò infatti al frate, ora considerato dai diplomatici mantovani «un imprudente per non dir altro», di consegnarsi alle autorità curiali, ponendo fine al suo tragico viaggio e alle note tirate apocalittiche33.

Opere

Il sostanziale silenzio a cui fu costretto Bartolomeo Cambi dopo i tumulti di Mantova ebbe una sua compensazione in una produzione scritta di carattere spirituale straordinariamente ampia e diversificata, sia in prosa sia in versi, in cui trovano una loro coerente collocazione i caratteristici slanci mistici e tracce residue delle note tirate profetiche. Nella maggior parte delle sue opere, Cambi si confronta con l’ideale della perfezione cristiana nella sua versione postridentina. In tale contesto la perfectio, come specchio di specifiche virtù cristianamente coltivate, si configura per lui come una priorità di ogni credente impegnato nell’itinerario terreno verso il trascendente34.
Nella produzione spirituale di Cambi campeggiano i temi della passione di Cristo e dell’amore divino, collocato al centro dell’esistenza umana e indagato nelle sue varie formulazioni. Il suo primo scritto fu il Testamento dell’anima a Dio, breve trattato sull’orazione incluso anche in opere successive35. L’anno seguente uscì la Luce dell’anima desiderosa, che si compone inizialmente di tre parti: Luce dell’anima desiderosa; Orticello di devotione; Testamento dell’anima a Dio, già edito l’anno precedente. L’opera conobbe diciassette edizioni tra il 1605 e il 1674; in alcune uscite fu aggiunto il Paradiso de’ contemplativi come sua quarta parte o come secondo volume autonomo36.
Nel 1606 Bartolomeo Cambi partecipò alla polemica sull’Interdetto con una Lettera scritta alli signori Venetiani che l’intitolazione vuole «piena di affettuosissima carità», ma che in sostanza si configura come un severo ammonimento volto a ottenere dalla Serenissima la dovuta e piena obbedienza al pontefice, simbolo di un indiscusso primato teologico, giuridico e giurisdizionale. Composta a Fonte Colombo il 15 giugno di quell’anno e diffusa ad ampio raggio con diverse uscite plurime, la Lettera si presenta densa di tragiche premonizioni e di sciagure di portata biblica per i veneziani disobbedienti all’autorità pontificia, il che avvicina il frate francescano al cardinale Baronio, la cui Paraenesis ad Rempublicam Venetam, uscita a sostegno di Paolo V durante l’aspra ‘guerra delle scritture’, rivelò un radicalismo politico-dottrinario che finanche il suo amico Bellarmino aveva cercato opportunamente di evitare37.
Negli anni seguenti la produzione letteraria di Cambi si fece ancora più intensa, con numerose edizioni in latino, francese e spagnolo, e coincise con lo stato di sostanziale relegazione in cui il frate si trovava nel convento romano di San Francesco a Ripa. In rapida successione, il prolifico francescano fece uscire un buon numero di operette mistiche. Nel 1607 apparve il Paradiso de’ contemplativi, quarta parte – come si è detto – della Luce dell’anima e tra i suoi scritti più significativi, composto sotto la diretta influenza dell’Eden seu Paradisus contemplativorum, opera di Hendrik Herp, mistico francescano di area fiamminga38. Nel 1608 fu pubblicata la Scuola del divino amore, edita due anni dopo in latino a Colonia39. Nel 1611 uscì l’Innamorato di Giesù – la cui fortuna editoriale nel Seicento fu notevole, come si rileva dalle numerose edizioni successive alla princeps – e contemporaneamente si stampò l’«operetta amorosa» le Inventioni d’amore40. Nel 1612 Cambi diede alle stampe Le sette trombe per risvegliare il peccatore a penitenza, tra le sue opere più famose e di più larga diffusione, di cui si ebbe anche un’edizione latina a Friburgo, nel 1620, la cui fortuna editoriale è attestata fino al principio del secolo scorso41. L’anno seguente fu pubblicata la Compagnia dell’amore42. Apparve invece postumo, nel 1621, la Porta della salute, breve trattato di preparazione alla confessione in forma di dialogo43.
Di carattere poetico sono l’Alfabeto del divino amore, la Musa spirituale, il Praticello del divino amore e il menzionato poema in ottave Vita dell’anima, opere pubblicate tutte nell’arco di un quinquennio, tra il 1609 e il 161444. Postumo apparve il suo epistolario, che si legge in due edizioni cronologicamente vicine, uscite dalla stessa tipografia romana nel 1628 e nel 162945. Dieci anni dopo fu stampata a Venezia, in due grossi volumi in quarto, la più ampia raccolta dei suoi scritti46.

Opere digitalizzate

  • Copia d’una lettera scritta alli signori Venetiani piena di affettuosissima carità dal R. P. F. Bartolomeo Cambi da Saluthio Minore Osservante di S. Francesco, in Firenze, appresso Raffaello Grossi, 1606: [Google books]
  • Inventioni d’amore. Operetta amorosa, e di spirituali essercitii ripiena, utile e molto giovevole, per acquistar presto e bene il purissimo amore del Crocefisso di Giesù. Composta da F. Bartolomeo da Saluthio Minor Osservante Riformato, in Venetia, appresso Barezzo Barezzi, 1611: [Google books]
  • Paradiso de’ contemplativi. Parte quarta. Della luce dell’anima. Composto dal R. P. F. Bartolomeo da Salutio, Minore Osservante Riformato. Opera utilissima et necessaria per quelli che da dovero vogliono attendere alla vita contemplativa, in Napoli, appresso Lazzaro Scoriggio, 1612: [Google books]
  • Compagnia dell’Amore, fondata dal molto R. Padre Fra Bartolomeo da Saluthio, Min. Osserv. Reform. Ove s’insegna all’anime divote del santissimo Sacramento quello che devono fare, per entrare in questa santa et amorosa Compagnia. Con molti affettuosi soliloquii, orationi e canti spirituali, in lode del santissimo Sacramento, et alquanti miracoli divotissimi, in Roma, appresso Bartolomeo Zannetti, ad istanza di Angelo Pozzo e Bernardino Calamo di Roma, 1613: [Google books]
  • Le sette trombe per risvegliare il peccatore a penitenza. Operetta utilissima, e di molto profitto, per la salute dell’anime de’ peccatori et peccatrici. Composta dal R. P. F. Bartolomeo da Saluthio, Min. Osserv. Riformato, in Roma, per Bartolomeo Zannetti, ad istanza di Angelo Pozzo e Bernardino Calamo, 1614 [pubblicato con: Conforto del peccatore. Operetta di diversi componimenti spirituali ripiena … Composta dal R. P. F. Bartolomeo da Saluthio]: [Google books]
  • Vita dell’anima desiderosa di cavar frutto grande dalla Sant.ma Passione di Giesù Christo. Operetta affettuosa e compassionevole composta dal R. P. F. Bartolomeo Saluthio Minore osservante Riformato. Con gli argomenti e meditationi in prosa a ciascun canto del medes. Autore, in Roma, nella Stamparia della Camera Apostolica, 1614: [Google books]
  • Lettere spirituali del P. F. Bartholomeo da Saluthio, de’ Min. Osser. Riformati. Raccolte dal P. F. Giorgio da Fiano dell’istesso Ordine, già compagno di detto Padre. Divise in quattro libri. Scritte a città, et a persone di diversi stati e conditioni, per loro instruttione spirituale, e per il più in risposta di quelli, che ne’ lor bisogni si raccomandavano alle sue orationi, in Roma, per Francesco Cavalli, ad istanza di Odoardo Scardutio da Cerreto, terra nell’Umbria, a Pasquino, all’insegna del Regno del Papa, 1629: [Google books]

Fonti e bibliografia

  • Bartolomeo da Salutio, Lettere spirituali … Raccolte dal p. Fra Giorgio da Fiano … divise in quattro libri …, in Roma, per Francesco Cavalli, 1628 (II ed.: ivi, 1629).
  • Bartolomeo da Salutio, Opere spirituali … Divise in due parti. Utilissime e di notabile profitto per la salute delle anime …, in Venetia, appresso Marco Ginammi, 1639, 2 v.
  • Bartolomeo da Salutio, Il sacro cigno. Prose e poesie scelte, prefazione, scelta e cura di Francesco Sarri, Libreria editrice fiorentina, Firenze 1924.
  • Adriano Prosperi, Cambi, Bartolomeo, in Dizionario Biografico degli Italiani, vol. XVII, Istituto della Enciclopedia Italiana, Roma 1974, pp. 92-96, <http://www.treccani.it/enciclopedia/bartolomeo-cambi_(Dizionario-Biografico)/>.
  • Francesco Sarri, Il venerabile Bartolommeo Cambi da Salutio (1557-1617). Oratore, mistico, poeta, Bemporad, Firenze 1925.
  • Alfonso Silvestri, Le prediche del p. Bartolomeo Cambi da Salutio, O. F. M. Rif., in Mantova nel 1602, in “Miscellanea francescana”, 48, 1948, pp. 368-384.
  • Anastaas van den Wyngaert, Barthélemy de Salutio, in Dictionnaire d’histoire et de géographie ecclésiastiques, ed. Alfred Baudrillart, vol. VI (Baader-Baviere), Letouzey et Ane (ora Brepols), Paris 1932, coll. 1025-1026.
  • Stefano Zen, Bartolomeo Cambi e la predicazione antiebraica nel Ducato di Mantova al tempo di Clemente VIII, in La Sho’ah tra interpretazione e memoria. Atti del Convegno internazionale di studi, Napoli, 5-9 maggio 1997, a cura di Paolo Amodio, Romeo De Maio e Giuseppe Lissa, Vivarium, Napoli 1999 (stampa 1998), pp. 73-85.
  • Stefano Zen, Bartolomeo Cambi, la predicazione della verità e il nemico ebreo, in Id., Monarchia della verità. Modelli culturali e pedagogia della Controriforma, Vivarium, Napoli 2002, pp. 217-241.
  • Pietro Zovatto (a cura di), Storia della spiritualità italiana, Città Nuova, Roma 2002, pp. 389-390.

Voci correlate

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et tamen e summo, quasi fulmen, deicit ictos
invidia inter dum contemptim in Tartara taetra
invidia quoniam ceu fulmine summa vaporant
plerumque et quae sunt aliis magis edita cumque

[Lucretius, "De rerum natura", lib. V]

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