Ressa, Alessandro

Dizionario di eretici, dissidenti e inquisitori nel mondo mediterraneo
Edizioni CLORI | Firenze | ISBN 978-8894241600 | DOI 10.5281/zenodo.1309444


Alessandro Ressa (Imola, inizio XVI sec. – Imola?, post luglio 1559) è stato un artigiano. A suo carico il Sant’Ufficio di Imola istruì il primo processo per eresia della sua storia.

Biografia

Le informazioni sul conto di Ressa si riducono a quelle che si possono desumere dalle sue deposizioni, rilasciate agli inquisitori tra il febbraio e l’agosto del 1551.
Nato con tutta probabilità a Imola, a metà del Cinquecento vi abitava – «in parochia Sancti Iacobi» – con una moglie e un figlio, svolgendo l’attività di orologiaio, rilegatore e venditore di libri. Benché fosse membro della locale confraternita intitolata alla Beata Vergine della Consolazione, le discussioni con clienti, amici e conoscenti portarono presto Ressa ad approfondire criticamente le proprie convinzioni religiose. Spesso in viaggio tra Bologna, Faenza e Forlì, il libraio ebbe così occasione di leggere numerosi testi eterodossi (Erasmo, Juan de Valdés, Urbanus Rhegius, Bernardino Ochino) e sviluppare una crescente insofferenza verso le tradizionali forme della devozione cattolica. Il punto culminante di questo percorso fu un alterco con il prete «Pietro Avenale Marochio», avvenuto nel 1548 a margine di una processione dedicata alla Madonna di Valverde: Ressa negò pubblicamente ogni valore alla devozione delle immagini sacre, guadagnandosi, da lì in poi, la fama di «lutherano».
Le sue disavventure con il neonato Sant’Uffizio imolese iniziarono tuttavia alcuni anni dopo, nel febbraio del 1551. A mettere gli inquisitori sulle tracce di Ressa furono i risultati di un recente processo per eresia celebrato nella vicina Faenza, a carico dell’orefice Pietro Gentile. Nel fascicolo che i giudici inviarono a Roma compariva una missiva molto compromettente, che il libraio imolese aveva spedito all’imputato il 4 maggio 1549: nello scritto Ressa criticava duramente una predica del vescovo di Lavello, Tommaso Stella detto il Todeschino, colpevole di aver sostenuto l’importanza salvifica delle opere.
Su sollecitazione del commissario generale dell’Inquisizione romana, Teofilo Scullica, l’8 febbraio 1551 Ressa venne dunque convocato e imprigionato nelle carceri vescovili di Imola. Sin dai primi interrogatori, le risposte dell’artigiano alle domande dei giudici seguirono una precisa strategia: Ressa cercò di difendere la propria ortodossia minimizzando le proprie colpe e imputando i suoi passati errori alla cattiva frequentazione di personaggi in odore d’eterodossia come il mercante Innocenzo Magnani da Tossignano, il domenicano Aurelio da Chio e l’agostiniano Raffaele «di Bressana» o «di Bergamasco». Il 20 agosto 1551, per sua fortuna, proprio quando alla fase accusatoria stava per seguire l’apertura del vero e proprio processo contro il libraio, i giudici decisero di scagionare e liberare l’imputato, accogliendo le pressanti richieste del nobile imolese Michele Machirelli, amico personale di Ressa.
Negli anni successivi questi rimase verosimilmente a Imola, dove le sue idee religiose continuavano ad alimentare sospetti, come emerge dalle successive deposizioni di un suo passato compagno di fede, Giulio Cicognola (1552), e da quelle di Giovan Battista Selli e di Bernardo di Pietro Babini (1559). Non si hanno invece notizie circa il momento e il luogo della sua morte.

Fonti e bibliografia

  • Imola, Archivio diocesano, Fondo Inquisizione, b. 1 (1551-1595), Processo Ressa e Processo Cicognola.
  • Marco Iacovella, Ressa, Alessandro, in DBI, vol. 87 (2016).
  • Raffaella Rotelli, Il tribunale del Sant’Uffizio a Imola dalla fondazione al 1578, relatore Carlo Ginzburg, Università di Bologna, a. a. 1973-74.

Article written by Marco Iacovella | Ereticopedia.org © 2016

et tamen e summo, quasi fulmen, deicit ictos
invidia inter dum contemptim in Tartara taetra
invidia quoniam ceu fulmine summa vaporant
plerumque et quae sunt aliis magis edita cumque

[Lucretius, "De rerum natura", lib. V]

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