Recensione di Fulvio Delle Donne, Tredici contro tredici. La Disfida di Barletta tra storia e mito nazionale, Salerno Editrice, Roma 2020
di Armando Pepe
Ci sono eventi storici, a forte carattere identitario, che si sono inseriti nell’immaginario collettivo nazionale. Poi sono diventati anche altro: modi di dire, luoghi comuni, trasfigurazioni sconfinanti nella leggenda. Dovere dello studioso è ricostruire, partendo dalle fonti, una plausibile sintesi degli accadimenti, dandone una ragionevole interpretazione. È ciò che nel libro «Tredici contro tredici. La Disfida di Barletta tra storia e mito nazionale», Salerno Editrice, Roma 2020, fa Fulvio Delle Donne, filologo e docente di letteratura latina medioevale e umanistica presso l’Università degli Studi della Basilicata. L’agile e puntuale pubblicazione trova spazio nella collana “Aculei”, diretta dallo storico Alessandro Barbero. La narrazione, che procede seguendo la direttrice di un linguaggio sostenuto, si dipana lungo quattro capitoli, più un’introduzione e una conclusione. Ricca è anche la bibliografia. Già dalla prima pagina si avverte il lettore della labile demarcazione che corre tra il vero e il verosimile: il 13 febbraio 1503, nei pressi di Barletta, italiani e francesi si sfidano in duello per motivi d’onore patrio, pur nella disunione statuale in cui versa la penisola. C’era già sottotraccia una forte identità italiana. Leggiamo come l’Autore ne descrive l’antefatto: «Tra la fine del 1502 e l’inizio del 1503 nelle regioni dell’Italia meridionale avvampava la guerra tra Francesi e Spagnoli, che solitamente chiamiamo “seconda guerra d’Italia”, (p. 9)». Nacque un parapiglia tra i cavalieri delle due nazionalità, cui partecipò dalla parte degli spagnoli un nugolo d’uomini d’arme italiani, comandati da Prospero Colonna. Gli italiani per giunta fecero prigionieri alcuni francesi, tra cui il signore di La Motte. Ancorché prigionieri degli spagnoli, in un’epoca di bei gesti e di codici cavallereschi, ai francesi fu offerto di partecipare a una cena e, forse a causa dell’eccesso di vino, al La Motte scappò un’ingiuria nei confronti degli italiani. Bisognava lavare l’onta e fu organizzata una disfida (combattimento e/o duello) tra italiani e francesi. Sia pure semplice, il fatto è stato tramandato in diverse versioni, in plurimi volumi, ognuno con particolari più o meno inediti, ciò che non ha prodotto altro che una congerie di fonti. A questo punto l’Autore interviene nel far chiarezza tra le parole e le carte che si sono spese sull’evento. Nel capitolo II, intitolato “L’Episodio e le sue prime narrazioni” si passano in rassegna le fonti letterarie sull’avvenimento, la prima delle quali è stata scritta dal poeta Giovanni Battista Valentini, detto “il Cantalicio” perché proveniente da Cantalice, dal 1927 in provincia di Rieti ma anticamente nel Regno di Napoli in quanto geograficamente abruzzese. Il Cantalicio, facendo ricorso al latino, scrisse il poema “De bis recepta Parthenope”, ovvero “Gonsalviae libri quatuor”, stampato il 20 luglio 1506, a tre anni dalla Disfida. Come ricorda l’Autore, «La Gonsalvia è un poema encomiastico-celebrativo dedicato alle imprese di Gonzalo de Córdoba, che articola in quattro libri equamente calibrati e armonicamente bilanciati il racconto delle imprese del Gran Capitano. La descrizione più specifica della Disfida è racchiusa in 141 dei 1044 versi del libro II (da 770 a 911), (p. 56)». Poi ne parlarono molti altri, tra cui Paolo Giovio, Giovanni Antonio Summonte e Ludovico Antonio Muratori. La ricerca delle fonti, tra archivi e biblioteche, che l’Autore ha curato con impegno e dedizione è sicuramente conclusiva, per cui il libro in questione diviene paradigmatico per chiunque voglia fare degli studi ulteriori. Ma non solo di libri e codici si tratta, ma anche di Public History (per come oggi è intesa) e dell’uso pubblico della storia, ciò nel capitolo IV, dal titolo “Il mito e le sue deformazioni”. Massimo D’Azeglio, uomo politico piemontese, patriota, pittore e romanziere, nonché genero di Alessandro Manzoni, nel 1833 diede alle stampe il volume “Ettore Fieramosca o la Disfida di Barletta”, che mise in risalto la figura del condottiero italiano, nato a Capua e morto a Valladolid. Tra i suoi feudi si annoveravano Mignano Montelungo, Galluccio e Rocca d’Evandro, posti nel mezzo di Terra di Lavoro. Sottolinea Fulvio Delle Donne che «Il romanzo di D’Azeglio è “storico” non nel senso che intende rappresentare la storia com’è, ma nel senso che ambienta in un momento cronologicamente identificabile vicende storiche rielaborate letterariamente; esattamente come aveva fatto Alessandro Manzoni, suocero di D’Azeglio, che certamente diede anch’egli uno sguardo all’opera e qualche consiglio all’autore. (p. 104)». Tuttavia , durante il ventennio fascista, ci fu un risvolto tragico nell’uso nella memoria, di fatto non condivisa. Spaventati dalla probabilità che ad ospitare il monumento della Disfida fosse la città di Bari, i barlettani si surriscaldarono per poi infiammarsi; a Barletta, il 10 novembre 1931 «si scatenò la reazione della popolazione, che venne poi repressa nel sangue: 2 furono i morti, 16 i feriti, 39 gli arrestati. (p. 111)». Dopo poemi e copiosa narrativa non poteva mancare la fiction cinematografica, recensita dall’Autore in modo esaustivo, dall’ “Ettore Fieramosca (La Disfida di Barletta)”, di Alessandro Blasetti, uscito nelle sale il 29 dicembre 1938, a “Il soldato di ventura”, di Pasquale Festa Campanile, film uscito nel 1976. Il protagonista principale, nei panni di Ettore Fieramosca, era Bud Spencer, che evidentemente non poteva non vincere la Disfida di Barletta.
COME CITARE: Armando Pepe, Un libro conclusivo sulla Disfida di Barletta. Da Ettore Fieramosca a Bud Spencer, in "Quaderni eretici. Studi sul dissenso politico, religioso e letterario", 8, 2020 [URL: http://www.ereticopedia.org/rivista#toc38]
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et tamen e summo, quasi fulmen, deicit ictos
invidia inter dum contemptim in Tartara taetra
invidia quoniam ceu fulmine summa vaporant
plerumque et quae sunt aliis magis edita cumque
[Lucretius, "De rerum natura", lib. V]