Erasmo esploratore dei saperi

Dizionario di eretici, dissidenti e inquisitori nel mondo mediterraneo
Edizioni CLORI | Firenze | ISBN 978-8894241600 | DOI 10.5281/zenodo.1309444


Voce principale di riferimento: Erasmo
Vedi anche: Rinascimento o lungo Rinascimento

L’argomento proposto, e suggerito dalle discussioni recenti sul Rinascimento, non ultima quella avanzata da Umberto Eco che mantiene quasi inalterate le antiche cronologie (il secondo Trecento ne costituisce la principale formazione), tendenza che compare in alcuni interventi di Giuseppe Galasso e Franco Cardini, in forma didascalica, poggia su due elementi fra di loro collegati, quasi in un contrappunto di psicologia culturale, Erasmo e il lungo Rinascimento, quel Rinascimento che, sotto diverse forme, giunge fino alle società contemporanee. Ed è utile osservare come il termine in questione, Rinascimento (delle città, delle economie, dei comportamenti) si unisca a rinascita, distinguendosi da un altro termine che si va estendendo: “nuovo umanesimo”. La possibile realtà di un “nuovo umanesimo” attira, persiste, senza quella capacità di rinnovare che il termine Rinascimento possiede. È significativa la presenza, ed influenza, di Erasmo nel corso del Novecento. Influenza il pensiero di Antonio Gramsci (1929, 1933) nelle discussioni sullo Stato che avvengono nei Quaderni del carcere, ove scorre una vena di erasmismo politico-ideologico; presente, sempre negli anni Trenta del Novecento nelle discussioni sullo Stato fascista, e Delio Cantimori, è un esponente di queste discussioni, mentre Huizinga, lo storico che scrive una esemplare biografia di Erasmo, non partecipa ai colloqui erasmiani ove esponenti del fascismo culturale sono presenti. Erasmo, quindi, accompagna i grandi dibattiti che arricchiscono la storia del Novecento, fino ad inserirsi con Machiavelli, fra gli autori più proficui per porre in atto queste trasformazioni culturali. In altri termini, per usare un’espressione di alcuni studiosi fra i quali Corinne Lucas Fiorato, con Erasmo è possibile non solo interpretare i movimenti culturali del Novecento, bensì “fabbricare il presente”, rimodellarlo. Espressione ricca di fascino per il suo potere di utilizzare le antiche e meno antiche culture per inserirle nei bisogni che sospingono l’uomo del presente. Come in un giuoco alchemico che rinnova aprendo prospettive, Erasmo fa parte di questo giuoco, consapevole come era, che spettava all’erudizione porre i presupposti di ogni cambiamento. Erudizione ed “umanità” si accompagnano in lui che era nato probabilmente nel 1467, nella notte fra il 27 e il 28 ottobre, a Rotterdam. Nascita illegittima da un padre originario di Gouda, in Olanda, di nome Geert o Gérard. Di professione è copista, quindi prete. La madre, Margherita, era la figlia di un medico di Zevenbergen. Importante lo scenario di Rotterdam, poi di Anversa, le città olandesi che in questi anni assistono al loro incremento commerciale, con i loro traffici aperti sugli Oceani: matura quella sensibilità che ben presto attira Erasmo e Tommaso Moro, l’autore della Utopia (1516), e le loro discussioni sulle possibilità di un’utopia intesa come costruzione di uno Stato ideale e di una nuova forma di “cittadino del mondo”, che non manca di attirare la curiosità di Antonio Gramsci. La sua giovinezza cadenza le orme della sua erudizione. Nel 1477 Erasmo è corista presso la scuola capitolare di Utrecht mentre nel 1478 ritorna a Deventer presso i Fratelli della Vita comune. Importante è l’estate del 1500: pubblica la prima edizione degli Adagiorum Collectanea, cioè ottocento proverbi, e di questi 154 sono tratti da fonti greche. Questa raccolta viene pubblicata a Parigi presso Jean Philippi. L’edizione del 1500 introduce nel dibattito erasmiano un importante problema: il ruolo degli Adagia – Proverbi non solo nella storia del Rinascimento bensì in quella contemporanea. Nel carcere di Turi, ove negli anni Trenta del Novecento soggiorna Antonio Gramsci, i proverbi erasmiani erano utilizzati come sigle attraverso le quali esprimere idee politiche: il proverbio come strumento di comunicazione occulta di idee e pensieri. Lo stesso Erasmo, d’altra parte, si era preoccupato di offrire al suo lettore una spiegazione dell’uso dei proverbi: all’interno della conoscenza in generale: dopo l’edizione del 1500, uscita a Parigi presso la stamperia Philippi situata sulla “rive gauche” della Senna in rue Saint-Marceau, segue nel 1508 a Venezia, l’edizione aldina degli Adagiorum Chiliades, presso Aldo Manuzio. “Tesoro di Minerva” sono i Proverbi, uno strumento per “un’arte di vivere”, per un obiettivo che possa avere qualche utilità, afferma Erasmo, il quale si dilunga ad offrirne diverse definizioni. Occorre riprenderli anche per capire l’uso che ne venne fatto per trasmettere linguaggi politici ed ideologici. In primo luogo Erasmo (Érasme, Eloge de la Folie et autres écrits, Edition de Jean-Claude Margolin, Paris 2010) riprende la definizione di Donato: l’adagio è un proverbio applicato ad un determinato soggetto in particolari circostanze, mentre Diomede sottolinea come “ciò che vi è significato è differente da ciò che si dice”, oppure il proverbio copre di oscurità un’idea chiara. L’adagio, considerato un proverbio, segue l’esempio di Orazio, in quanto si esprime con brevità e la ricchezza ed il numero di proverbi tende ad offrire una serie di definizioni che permettono al lettore di raggiungere una definizione rassicurante in modo da poterla seguire. Può talvolta comparire sotto forma di allegoria, o in maniera sentenziosa, e metaforica. Erasmo si sofferma pure sui “colori” della metafora. Questo spiega il motivo per il quale i proverbi sono utili per la conoscenza: conquistano la filosofia, l’arte di persuadere, la grazia e la bellezza della parola e permettono di conoscere le sentenze dei grandi autori dell’antichità. Tuttavia esiste una particolare tradizione, proveniente da Aristotele e ripresa da Sinesius, che i proverbi sono le vestigia di una “filosofia primitiva” che si è perduta durante i cicli e le calamità della storia. Il proverbio, a sua volta, è breve e può rivolgersi a diversi argomenti, al discorso, allo studio, a un dovere morale, a una “attività dello spirito”, e sempre con eleganza. L’edizione aldina (settembre 1508) contemplava 4151 proverbi presentati nella forma seguente: “buone parole e sentenze celebri dell’Antichità”. Proprio la varietà dei termini usati da Erasmo spiega il significato recondito dei Proverbi e l’uso che se ne può fare. Sempre dall’edizione aldina sono stati tratti i seguenti che si distinguono per il loro carattere ideologico (Seidel Menchi): Re o matti (fatui) si nasce (Aut regem aut fatuum nasci oportere); Spartam nactus es, hanc orna (ora che hai in mano Sparta, abbine cura); Sileni Ancibiadis (I sileni di Alcibiade); Scarabeus aquilam quaerit (Lo Scarabeo dà la caccia all’Aquila); Dulce bellum inexpertis (Chi ama la guerra non l’ha vista in faccia). Quest’ultimo è penetrato nella cultura occidentale: echi e similitudini, si rintracciano nelle lettere famigliari della Grande guerra.
Non manca di comparire la volpe: “Vulpinari cum vulpe”; fare la volpe con la volpe, proverbio ripreso da Orazio; oppure sottolinea “cum astutis astutis agito”. È con questa arte di comporre e divulgare adagia che nel corso del Rinascimento si forma una sensibilità criptica ove il “simulare” annida le sue possibilità: l’adagium come arte del simulare pensieri o immagini che nella società non appaiono evidenti o perseguiti. E qualcosa di simile avviene, in Erasmo, con l’Elogio della Follia (Moriae encomium) pubblicato nel 1511. Può essere utile presentare alcune forme di procedimento persuasivo usate da Erasmo nel comporre gli adagia. L’esempio più semplice riguarda Lo Scarabeo dà la caccia all’Aquila. Erasmo, prima di tutto, deve presentare al lettore la fonte dalla quale riprese il titolo dell’adagium. Ed inizia con una osservazione: “Quando un essere debole e senza risorse ordisce chissà che trama e insidiose macchinazioni a danno di un nemico di forza assai superiore, si usa dire che lo “scarabeo dà la caccia all’aquila”. Intendendo con queste due figure il divario “fra quegli esseri divini che popolano le corti, e l’umile, oscura plebe”. In questo modo Erasmo ha movimentato, quasi presentato, i due grandi attori che si celano dietro all’aquila ed allo scarabeo: gli uomini del potere, i nobili ed i principi, ed il mondo tumultuoso della plebe perennemente in guerra. In altri termini, è il tema del Principe, dell’uso del suo potere che coinvolge Erasmo e il suo pensiero che diffonde attraverso questo sorprendente strumento. Erasmo si diffonde a ricercare del suo adagium altre fonti: “Secondo un’altra versione e a mio giudizio più corretto –scrive- si usa dire che “lo scarabeo dà la caccia all’aquila”. Ed aggiunge: “Che tu adotti l’una o l’altra lezione, il senso resta press’a poco lo stesso; si tratta sempre di un inerme, che trama lo sterminio di un’antagonista assai più gagliardo, imbastendo scaltri raggiri ed occulti maneggi. Nella Lisistrata di Aristofane s’incontra il verso:

Sono sdegnata, bada
Ti farò da levatrice come lo scarabeo all’aquila

Il procedimento è progressivo fino ad inoltrare il lettore al problema centrale: la lotta senza quartiere per la conquista del cielo (il potere di Giove), fra antagonisti forti ed una miriade di esseri deboli e pericolosi. Ed aggiunge: “Su questa vicenda circolava fra i Greci un apologo non privo di stupidità, che Luciano attribuisce ad Esopo: dice infatti nell’Icaromenippo che Esopo aveva escogitato una favola, secondo la quale scarabei e cammelli avrebbero dato la scalata al cielo. Moderna, dietro il procedimento letterario, è la sensibilità di Erasmo: nasce “una guerra di massacro totale”, una “guerra inconciliabile”, “fra la stirpe delle aquile e l’intero popolo degli scarabei”; una guerra di classe, si potrebbe dire in linguaggio attuale, fra il principe delle aquile, Giove, e la realtà degli altri contendenti. È l’odio a spingere il popolo degli scarabei contro il mondo delle aquile, un odio dettato dal sopruso e dal mal governo. Perché dietro all’aquila esiste un re, un governo di re, e sulla base del suo governo si mantiene la concordia fra il popolo dei deboli, gli scarabei. Non è inutile osservare come Erasmo sottolinei continuamente sotto forma simbolica la realtà umana e sociale, i conflitti che la attraversano, le lotte economiche e sociali che la ispirano. I ricchi e i poveri –fino a comparire lo scarabeo che ogni anno muta la pelle e ringiovanisce mentre l’aquila –il potere sovrano- si appesantisce ed invecchia. Gli adagia sono pure questo grande affresco di storia sociale dietro l’apparente ed ironica forma letteraria. Ed ancora una volta ritorna lo scarabeo nelle vesti del Sileno, figura mutevole, capace di ingenerare nuove energie, creare nuovi ideali. Ed è Erasmo che con lui si osserva e con lui deride i vecchi rappresentanti del potere. Ed è con questo Erasmo che il Novecento aveva iniziato a confrontarsi.
A questo punto sorge il quesito sulla identità di Erasmo, sulla maniera con la quale si offriva al lettore, durante il dialogo infinito che la sua opera intraprende. Nel 1506, mentre attraversa le Alpi per iniziare il suo primo viaggio in Italia, Erasmo scrive (Jean-Claude Margolin) un’Ode alla vecchiaia quasi un De senectute trasferito nella forma di una lunga poesia. Compare davanti a lui, dopo avere presentato sul fisico le conseguenze della vecchiaia, la rosa che di tanto in tanto riempie della sua freschezza e bellezza lo sguardo. Improvvisamente si rivede bambino, mentre giuoca alle noci, quindi adolescente, tutto “infiammato dalle lettere, l’esploratore dei combattimenti / e delle vie dei filosofi, / dei colori della retorica, / l’amoroso folle, e delle seducenti finzioni / di una poesia di miele scintillante / ed io qui tracciando dei sillogismi”. Erasmo che si definisce di volta in volta erudito, philosophus, esperto di filologia in questo sogno si vede adolescente-esploratore di tutte le vie dei filosofi: momento libero della ricerca esplorare tutte le forme della cultura, simile ad un moderno antropologo. E continua: mentre mi accingo a tracciare e rappresentare “delle forme sottili e irreali” con un desiderio di “compiere il ciclo integrale del sapere”, è qui che provo un amore ed un trasporto infinito. È interessante osservare come Erasmo nel 1506, tre anni prima del 1509, ricorra all’immagine dell’ “amoroso folle”, quando la follia partecipa, con il suo flusso innovatore, alle sue ricerche. La follia sogno infinito del sapere. Riprende Erasmo: l’amore del sapere mi sospinge a volare sulle terre e sulle onde dei mari, ricolmo di gioia, di desiderio di sapere (la gioia del Zaratustra di Nietzsche). Tuttavia la vecchiaia, questo tarlo segreto, è penetrato all’interno dei suoi sogni, ed ha messo in evidenza le forze declinanti, ed il tempo che nel suo fluire annienta lentamente “la forte giovinezza”. Tuttavia pensa all’amicizia degli uomini sapienti che lo incontreranno e lo arricchiscono. Importante è l’apparizione di quel termine, esploratore, che libera la sua ricerca dalla pesantezza dei sillogismi e lo conduce verso l’ “amorosa follia” del sapere. L’esploratore ama lo studio delle lotte, dei contrasti fra uomini e pensieri, fra il pensiero laico e quello religioso, e non le realtà immobili, senza vita. È l’universo umano che si agita, ricrea, l’aspetto che lo affascina. Ma esiste qualcosa di più fra l’adolescente che si specchia nell’immagine dell’ “amoroso folle” e la personificazione della follia, la Moira: anche questa appartiene alla dimensione della sua follia. I due testi sono fra di loro in comunicazione. Ad una loro attenta lettura –sono pagine che si snodano fra il 1506 e il 1509-, una apparizione si fa sempre più strada: la follia nelle sembianze di Moria come dai greci viene denominata nelle sembianze di figura mitologica, ironica ed invadente. Nel mondo interiore di Erasmo si muove questa figura che si immedesima con il suo costituirsi come esploratore del sapere e degli uomini. La sua ironia lo anima ed arricchisce. Non si può non osservare, inoltre, che follia/Moria compare in Erasmo quando viaggia: la prima apparizione quando varca le Alpi (1506) durante il viaggio in Italia: inoltre con il Moriae encomium o Encomium Moriae quando nel 1509 ritorna in Inghilterra, dopo avere abbandonato Padova, Adria/Fratta e Roma. Due momenti nei quali è avvenuto qualcosa di simile a Leonardo quando traccia i disegni “erotici” con una raffigurazione tipica di un “primitivismo selvaggio” (Freud, 1910). Anche Erasmo vede smembrarsi l’abbraccio fra vecchiaia/adolescenza fino a fare comparire follia, dea che parla, insegna, sommuove gli animi. Nasce durante un viaggio di ritorno il Moriae encomium, incitamento a mettere a nudo una società di papi, di imperatori, di giureconsulti, di filosofi, di re, di dei, e scoprirne i più riposti rituali (si segue la seguente edizione: Erasmo da Rotterdam, Elogio della pazzia, a cura di Tommaso Fiore. Introduzione di Delio Cantimori, Torino 1981), fino ad affermare il ruolo della libertà in tutte le forme della ricerca: “E infatti (per rispondere all’accusa di meschinità) –scrive Erasmo- sempre fu concesso all’ingegno la libertà di esercitare lo spirito impunemente nella vita degli uomini in genere perché la libertà non trasmodasse in furore. Tanto più mi stupisce la delicatezza d’orecchi dei nostri tempi, che non possono generalmente soffrire… i soliti titoli onorifici. E troverai non pochi uomini religiosi, ma così a sproposito religiosi, che sopporterebbero i più grandi insulti contro Cristo anziché sentire i papi o i grandi, offuscati… specialmente per quando ne va di mezzo la bucolica”. Erasmo in questa declamazione muove il riso perché Moria svela e non condanna. La declamazione, che non manca di influire su Giordano Bruno, è rivolta all’amico Tommaso Moro in quanto ne assume le sembianze: “Addio, eloquentissimo Moro, e difendi strenuamente la tua Moria. Perché biasimato dalla Pazzia (Moria) è “bello”, e la sua audacia riempie l’animo di gloria”. Moria diviene lo strumento della libertà umana, qualcosa che sorge dall’animo stesso di Erasmo, dal suo “consumarsi” perenne. Dietro a questo sviluppo della declamazione si avverte l’eco dei disegni di Leonardo quando il sogno “selvaggio” sospinge lo stesso Erasmo a proporre Moria come colei “che libera dagli affanni”: “Ciò che grandi oratori possono a stento produrre con discorsi lunghi e lungamente meditati, io, con la mia sola presenza, l’ho ottenuto in un momento: avete cacciato via il tormento delle preoccupazioni”. Se esiste una lettura psicologica dei disegni di Leonardo, esiste la possibilità di penetrare nell’universo nascosto di Erasmo, della sua psiche così aperta ad una avventura intellettuale innovatrice. La stessa cultura contemporanea è investita dall’analoga pulsione verso la liberazione da affanni, paure, dilemmi. E Moria può diventare uno degli strumenti per la liberazione dell’uomo contemporaneo, questo uomo “alienato” (Sartre) ed in possesso di idola che gli impediscono di superare le nebbie che avvolgono la verità, le nebbie dei papi e degli uomini delle corti politiche.
Moria non chiude il suo discorso/declamazione senza essersi soffermata su coloro che ricercano la “felicità celeste”, una ulteriore forma di pazzia? Invita i suoi ascoltatori a diventare suoi seguaci, i “rinomatissimi adepti della Pazzia”. Si scusa di essere donna e di avere lasciato una lunga sequenza di parole, ed invita gli antichi ed i moderni a proporre con lei alcune conclusioni. La principale: entrare nel novero dei seguaci della Pazzia. Anche chi ricerca la felicità futura occorre recuperi questa dimensione che Moria suggerisce, fino ad influenzare i giganti di Tiziano e Pirandello, quando i giganti del mito e della montagna compaiono sulla scena. In questo modo Erasmo dona alla cultura occidentale non solo una figura femminile, Moria, ed una idea della libertà bensì un incitamento a superare i confini della “barbarie” che si annida nelle società umane e religiose, fino a riscoprire il sentimento dell’umano e del suo vibrare.
Il richiamo alla “humanitas” di Erasmo invade la sua opera e non si circoscrive alle pagine del Moriae encomium, probabilmente anche per l’impulso che la scoperta del Laocoonte avvenuta nel 1506, ed interpretata come un exemplum doloris, scoperta avvenuta in una vigna collocata accanto alla Domus aurea ha offerto. La sofferta fatica di Sisifo è superata e con lui il tormento di Prometeo. Un nuovo sentimento culturale in grado di conciliare problemi apparentemente divergenti nel 1516 diviene un costume ammirato dai suoi stessi corrispondenti. Fra il 1511 e il 1516 Erasmo diviene contemporaneamente un consigliere di historia, come sottolinea Reyner Snoy nella epistola che scrive da Gouda probabilmente il 1 settembre 1516 (Opus epistolarum Des. Erasmi Roterodami… per P. S. Allen, Oxonii 1910, t. II, pp. 332-333). Egli ha saputo, scrive Reyner Snoy, unire Venere con Pallade e la grazia delle orazioni con la prudenza, fino a diventare un maestro di eloquenza: “adeo tibi Venerem cum Pallade, gratias orationum cum prudentia rerum omnigena conciliasti, ut merito palam eloquentiae omnes tibi conferant”. Come avviene con Morìa l’eloquenza compare come uno strumento importante per avvicinare problemi politici oppure nell’attingere alle fonti della historia. A sua volta Venere addolcisce la mano di Pallade mentre un nuovo sentimento della grazia si presenta nello svolgersi delle orazioni. Reyner avvolge Erasmo entro un diverso alone della cultura mentre gli confida l’opera alla quale si è dedicato: una “historiam Hollandiae”. Descrive ad Erasmo il progetto dell’opera al quale lo stesso Edipo pare avere collaborato: inizia con la descrizione geografica (“descriptionem Bataviae”), quindi si sofferma sugli abitanti, sulle guerre contro i romani fino al trasferimento in Inghilterra dei “Frisiorum”. Il modello di storia che propone ad Erasmo tende ad interpretare la storia della Bathavia colta nei suoi aspetti sociali: lo studio delle popolazioni e dei loro trasferimenti verso la vicina Inghilterra. Orazio con il suo stile e con la sua poesia aiuta l’autore in questa impresa, mentre Edipo si presenta come la personificazione dei lacerti che lo storico deve raccogliere. Dopo Morìa è Edipo a presentare il suo volto nel cadenzare la historia. Forse la stessa Morìa si unisce con Edipo nel rappresentare il mondo rinnovato dalla loro presenza. Ed in questo “Faustus ac felix” è il richiamo di Reyner ad Erasmo, simile ad un Fauno espressione dell’eloquenza. Se si ricerca una utilitas in questo rincorrere la eloquenza e la historia Orazio diviene una fertile guida.
È importante l’apparire dell’Edipo nella epistola di Reyner: è colui che si immerge nella historia, e la anima. Lacerti di informazioni, testi mutili si fondono in questa figura che in Erasmo significa lo stesso volto, indubitabilmente esemplare, della Morìa, la sua anima profonda. Morìa edipica emerge con un fascino che si indirizza al di là della pagina della historia.
Le divinità del riso e dell’occulto, del mondo sotterraneo di Edipo, si arricchiscono nella epistola che il 2 settembre 1516 indirizza da Basilea ad Erasmo, Wolfgang Köpfel (Opus epistolarum… tomo II, pp. 333-338). Gli amici di Basilea lo aspettano sempre con grande trepidazione. La sua attività è simile ad un Oceano che abbraccia nella sua ampiezza la dottrina: “universae doctrinae redundantem Oceanum et vindicatorem verae litteraturae”. E con la mano si volgono le pagine di Erasmo, giorno e notte: “diurna versent manu nocturnaque Erasmum”. L’immagine dell’Oceano arricchisce le immagini che servono a rappresentare l’opera di Erasmo. Attraverso di lui si acquisisce non solo il significato della humanitas, si diffonde la mansuetudine, si educano i comportamenti. Un’espressione nuova dell’umano emerge, attraverso l’esplorare le culture. Lo stesso Momo non interviene sobillando gli dei e gli uomini. Per questo Erasmo diviene un faber, un costruttore intellettuale: “Sed utilitas adeo perspicua non tam venit a me fabro inepto quam a te faberrimo Erasmo, totius orbis decore”. I riferimenti alla capacità di Erasmo di rappresentare il moderno intellettuale costruttore di culture arricchiscono le pagine dei corrispondenti ed adombrano un aspetto che le culture del Novecento riprendono: l’Edipo che si annida nella sua Morìa e nel suo pensiero. Perché anche le ideologie del Novecento avvertono l’influsso di un Erasmo esploratore e faber alla ricerca continua di un modello di intellettuale che influisce sul fluire delle società.

Bibliografia

Edizioni di riferimento:

  • Erasmo, Opera omnia, ed. 1540, (Basilea, a cura di Jérôme Froben e Nicolas Episcopius); ed. 1703-1706 in 10 tomi e 11 volumi in folio (Leyda, a cura di J. Clericus e Jean Leclerc). Dal 1969 è in preparazione ad Amsterdam l’edizione critica. Anche attraverso le edizioni si può comprendere l'importanza di Erasmo nella cultura moderna e contemporanea: la censura non impedisce questa circolazione, bensì la seleziona.
  • Opus Epistolarum Des. Erasmi Roterodami, Clarendonian press, Oxford [Oxonii, In typ. Clarendoniano] 1906-1958

Sull'influenza di Erasmo in Spagna:

  • Marcel Bataillon, Érasme et l’Espagne, Droz, Paris, 1937, ampliato in Erasmo y España, 2 voll., Fondo de Cultura Economica, Mexico e Buenos Aires, 1950 e 1983. Poi in 3 voll., Droz, Genève 1991

La cultura italiana del Novecento ha dialogato con Erasmo:

  • Elogio della pazzia e dialoghi, Laterza, Bari 1914 (a cura di Benedetto Croce)
  • Johan Huizinga, Erasmo, Einaudi,Torino 1941
  • Siro Attilio Nulli, Erasmo e il Rinascimento, Einaudi, Torino 1955
  • Alberto Tenenti, Erasmo, Compagnia edizioni internazionali, Milano 1966
  • Roland H. Bainton, Erasmo della cristianità, Sansoni, Firenze 1970
  • Erasmo da Rotterdam, Adagia. Sei saggi politici in forma di proverbi, Einaudi, Torino 1980
  • Silvana Seidel Menchi, Erasmo in Italia 1520-1580, Bollati Boringhieri, Torino 1987
  • Erasmo, Venezia e la cultura padana nel '500, a cura di Achille Olivieri, Minelliana, Rovigo 1995
  • Erasmo e le utopie del Cinquecento. L’influenza della Morìa e dell’Enchiridion, a cura di Achille Olivieri, Unicopli, Milano 1996
  • Erasmo e il Funus. Dialoghi sulla morte e sulla libertà nel Rinascimento, a cura di Achille Olivieri, Unicopli, Milano 1998
  • Erasmo da Rotterdam, Elogio della Pazzia, introduzione di Roland Bainton e Carlo Carena, Einaudi, Torino 2002
  • Erasmo da Rotterdam, Sulla facondia delle parole e dei ragionamenti, Aracne, Roma 2011 (cura e traduzione di Cristiano Rocchio)
  • Erasmo da Rotterdam, Giulio, Einaudi, Torino 2014 (cura e traduzione di Silvana Seidel Menchi)

Altri studi ed edizioni erasmiane:

  • Léon E. Halkin, Erasmo, traduzione di Eugenio Garin, Laterza, Roma-Bari 1989
  • Luca D’Ascia, Erasmo e l’Umanesimo romano, Olschki, Firenze 1991
  • Jean Claude Margolin, Erasme, précepteur de l'Europe, Julliard, Paris 1995
  • Erasmo da Rotterdam, I colloqui, a cura di Gian Piero Brega, Garzanti, Milano 2000
  • Erasmo da Rotterdam, Adagia, a cura di Davide Canfora, Salerno, Roma 2002
  • Erasmo da Rotterdam, Gli Antibarbari, introduzione a cura di Luca D’Ascia, Einaudi, Torino 2002
  • Cesare Vasoli, Erasmo da Rotterdam e la cultura europea, Olschki, Firenze 2008
  • Achille Olivieri, “Esperienza” e “civilità” a Venezia nel Cinquecento. L’intelelttuale e la città, Unicopli, Milano 2009
  • Érasme, Eloge de la Folie et autres écrits, édition de Jean-Claude Margolin, Gallimard, Paris 2010
  • Enzo A. Baldini, Massimo Firpo, Premessa a Religione e politica in Erasmo da Rotterdam, Edizioni di Storia e Letteratura, Roma 2011

ARTICLE WRITTEN BY ACHILLE OLIVIERI | ERETICOPEDIA.ORG © 2014-2015

et tamen e summo, quasi fulmen, deicit ictos
invidia inter dum contemptim in Tartara taetra
invidia quoniam ceu fulmine summa vaporant
plerumque et quae sunt aliis magis edita cumque

[Lucretius, "De rerum natura", lib. V]

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