Una rilettura di Venezia barocca di Gaetano Cozzi (Il Cardo, Venezia 1995) a vent’anni dalla pubblicazione

Quaderni eretici | Cahiers hérétiques, 4, 2016 : http://www.ereticopedia.org/rivista

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Gaetano Cozzi (1922-2001) è stato uno dei più importanti storici italiani del secondo dopoguerra, autore, in particolare di fondamentali studi sulla storia della Società e dello Stato veneziano in età moderna. È utile ripercorrerne alcuni, tra i suoi più rilevanti, itinerari di ricerca attraverso una breve rilettura di una sua raccolta di studi pubblicata vent’anni or sono, nel 1995, dalla casa editrice Il Cardo (Venezia). Il volume raccoglie quattro saggi dell’illustre e compianto studioso: Il doge Nicolò Contarini. Ricerche sul patriziato veneziano all’inizio del Seicento (1958), Stato e Chiesa: un confronto secolare (1987), La Compagnia di Gesù a Venezia. 1550-1657 (1994), Una vicenda della Venezia barocca. Marco Trevisan e la sua "eroica amicizia" (1960).
I quattro saggi, di cui il primo è un celebre capolavoro storiografico, offrono uno spaccato della realtà veneziana in un’epoca fondamentale per la storia d’Italia e d’Europa. La trattazione è lucida e rigorosa, e al contempo riflette la passione del grande storico per i temi trattati e per la ricerca, come egli stesso afferma in un passo della sua prefazione alla raccolta, a proposito del Contarini: “questo libro (…) mi ha consentito di vivere, pagina per pagina, (…) l’esperienza più affascinante che il lavoro storico possa consentire: il dialogo con il passato. Che questo abbia comportato interpretazioni viziate dall’empito passionale, l’hanno valutato, lo valuteranno i lettori. Io spero, anzi credo proprio di no: che tutto si sia contenuto nel far lievitare di entusiasmo la mia esposizione,e nei suoi punti migliori”.

1. Il doge Nicolò Contarini ripercorre la vicenda biografica di un personaggio emblematico del patriziato veneziano degli inizi del Seicento, ma non può essere considerato una “semplice” biografia perché affronta contemporaneamente vicende fondamentali della storia veneziana. L’analisi della vicenda biografica del Contarini si intreccia con l’analisi delle vicende fondamentali della storia della Repubblica di Venezia alle quali egli prese parte.
Il saggio si apre con uno sguardo alla situazione del patriziato veneziano alla fine del XVI secolo. In tale periodo il patriziato perdeva definitivamente la propria compattezza mentre declinavano le attività legate al commercio e si indeboliva il ruolo della Serenissima nello scacchiere politico internazionale. All’interno del patriziato emergeva il “partito” dei Giovani, in buona parte esponenti delle famiglie “decadute” e meno abbienti, emarginate dalle cariche più importanti; questi facevano pressione per una riforma costituzionale in senso antioligarchico e per una politica estera più aggressiva e decisamente antiasburgica. I loro avversari, i Vecchi, dal canto loro, difendevano l’assetto costituzionale vigente e propugnavano una politica estera di neutralità, col fine di tenersi amici di tutti, ma soprattutto della potente Spagna e del Papato.
Quindi il Cozzi passa a trattare della giovinezza e della prima fase della carriera politica di Niccolò Contarini. Nato nel 1553 da una delle più illustri famiglie patrizie, questi compì i primi studi a Venezia insieme a Paolo Sarpi e Andrea Morosini; passò quindi a Padova, ove si laureò in utroque iure. In seguito salì i vari gradini del cursus honorum comune ai membri più influenti del patriziato veneziano, sino ad essere eletto tra i Savi del Consiglio nel 1601. Negli anni della sua ascesa politica giovanile, fu un assiduo frequentatore del ridotto Morosini, luogo di ritrovo prediletto dei Giovani.
Successivamente si affronta la vicenda dell’Interdetto (1606-1607). Il rifiuto della Repubblica di Venezia di consegnare alla giustizia ecclesiastica due chierici arrestati nel 1605 per reati comuni, causò il noto conflitto col pontefice Paolo V Borghese, il quale, convinto che il provvedimento ledesse la libertà della Chiesa, scomunicò i governanti della Serenissima e interdisse le funzioni religiose pubbliche nel suo territorio. La Repubblica rispose con l’elezione al dogado dell’integerrimo Leonardo Donà, il leader dei Giovani. Tra i collaboratori più intransigenti di questi c’era Niccolò Contarini, che sedeva allora di nuovo tra i Savi del Consiglio. La posizione del Donà era ben più moderata di quella del Contarini e ciò era dovuto alla maggiore sensibilità politica dell’uno rispetto all’impulsività dell’altro. Tuttavia entrambi egualmente, da un lato sostenevano il principio della sovranità dello Stato contro le pretese temporalistiche della Chiesa, dall’altro erano convinti, in un tale conflitto, di difendere la causa dell’ortodossia cattolica. La loro opinione era infatti che la Chiesa, occupandosi degli affari temporali, si corrompeva e deviava dalla lezione evangelica. La scomunica non turbava le loro coscienze, poiché la religione, più che sugli orpelli esteriori, si fondava sull’integrità della condotta morale: e la loro condotta non era affatto deviante rispetto ai principi dell’etica. Tale era lo spirito dei Giovani, fortemente impregnato di istanze di carattere religioso.
La vicenda dell’Interdetto, malgrado il serio rischio corso di un conflitto con la Spagna, non ebbe comunque effetti devastanti, giacché grazie alla mediazione francese si giunse ad un compromesso. Il principio della sovranità dello Stato era salvo, tuttavia il Contarini non poteva dirsi soddisfatto: egli, infatti, aveva sperato che la vicenda persuadesse i governanti veneziani a inaugurare una politica fortemente antiasburgica volta a riportare in auge il ruolo e il prestigio internazionale della Repubblica.
La crescita dell’influenza del Contarini sulle decisioni politiche del governo veneziano, portò comunque negli anni successivi ad un confronto militare con gli Asburgo: la guerra di Gradisca (1615-17). Il Contarini era convinto che la guerra fosse la via migliore per risolvere il problema degli Uscocchi, i pirati cristiani transfughi dall’Impero Ottomano (e protetti dagli Asburgo d’Austria), che infestavano l’Adriatico. Ottenne quindi che si deliberasse l’invasione dell’Arciducato d’Austria, conducendo l’offensiva militare in prima persona. Tale politica si rivelò fallimentare e il problema fu risolto soltanto grazie a delle trattative diplomatiche.
Nominato in seguito provveditore oltre il Mincio (1621), il Contarini fu poi protagonista di un altro scontro, di minore rilevanza, con gli Asburgo, negando intransigentemente il passo all’esercito spagnolo, che marciava verso la Valtellina, per un tratto di strada che era oggetto di dispute territoriali, attirandosi molte critiche anche da parte di esponenti dei Giovani, per la sua volontà di sfruttare un episodio così marginale come casus belli.
In seguito a quest’ultima vicenda, il Contarini abbandonò temporaneamente la politica attiva e si cimentò in un’opera storica, nelle vesti di storiografo ufficiale della Repubblica, incarico che egli occupò tra 1621 e 1623. Le sue Historie venetiane spiccano per la passione civile, il forte sdegno verso un presente di decadenza politica, economica e morale ed il richiamo frequente ad un passato “glorioso”.
L’ascesa del movimento di Ranier Zeno, dal 1623 al 1629, riportò in auge il ruolo del Contarini all’interno delle istituzioni veneziane. Tale movimento era legato alla protesta delle famiglie povere del patriziato contro le famiglie ricche, accusate di sfruttare il Consiglio dei Dieci e gli Inquisitori di Stato col fine di farsi padrone dello Stato. La protesta portò all’istituzione di una commissione di riforma del Consiglio dei Dieci, presieduta proprio dal Contarini; la riforma che ne seguì, la quale aveva un carattere puramente formale, rappresentò la sconfitta di questo movimento, che d’altra parte, come nota il Cozzi, non si identificava col partito dei Giovani. Non a caso, il Contarini disprezzava profondamente lo Zeno per il suo estremismo e per la sua demagogia.
La carriera politica del Contarini culminò coll’elezione al dogado, avvenuta nel 1630, in un periodo estremamente difficile per la Serenissima, che aveva scelto di appoggiare il duca di Nevers e i francesi nella guerra di successione di Mantova; nello stesso anno Venezia era per di più funestata dalla peste. L’esercito veneziano venne però rovinosamente sconfitto dalle truppe imperiali e la ritirata fu molto disonorevole. Sopravvissuto alla peste, il doge Niccolò Contarini fu sopraffatto però dalla vecchiaia e si spense il 10 aprile 1631. In seguito alla sua morte l’orientamento della politica veneziana cambiava decisamente rotta e, dopo un cinquantennio di incertezze, rientrava sulla linea adottata dopo la pace di Bologna del 1530: una linea sostanzialmente volta al mantenimento della pace e alla neutralità. La sconfitta del partito dei Giovani era ormai definitiva.

2. Il secondo saggio della raccolta affronta il tema dei rapporti tra la Repubblica di Venezia e la Chiesa Romana nel Seicento evidenziando soprattutto la contrapposizione, all’interno del ceto dirigente veneziano, tra i “papalisti” e i loro avversari; questi ultimi volevano estendere il controllo statuale alla sfera ecclesiastica. La loro preponderanza tra la fine del Cinquecento e i primi del Seicento portò ad una serie di scontri con Roma. Temi di scontro erano le nomine vescovili, i cardinali veneziani e i benefici ecclesiastici. La Repubblica aveva infatti perso il diritto di nomina dei vescovi del Dominio accettando le capitolazioni di Giulio II, e tentava vanamente di rimpossessarsene. Sui cardinali veneziani si discuteva se fossero più sudditi della Chiesa o di Venezia. I benefici ecclesiastici, se da un lato potevano rappresentare importanti fonti di sostentamento per i patrizi, dall’altro li allontanavano dalla vita pubblica e rappresentavano potenti armi clientelari nelle mani della Chiesa Romana.
Un problema non irrilevante era rappresentato inoltre dalla presenza in territorio veneziano di minoranze religiose non cattoliche: vi erano infatti, per esempio, numerosissimi greco-ortodossi (che avevano addirittura un proprio arcivescovo!) e protestanti (tedeschi, svizzeri, olandesi), e queste minoranze erano in genere protette dal governo veneziano per motivi di interesse economico ed opportunismo politico.

3. Il terzo saggio della raccolta ripercorre le fortune e le sfortune della Compagnia di Gesù nello Stato veneziano nel suo primo secolo di storia. Inizialmente assai ammirati per il loro fervore religioso, i gesuiti caddero successivamente in disgrazia, in primo luogo perché, nella loro qualità di confessori e padri spirituali, “controllavano” le coscienze di molti patrizi di spicco e in secondo luogo per la loro cieca obbedienza a Roma. Così, i loro collegi vennero chiusi e, in seguito alla vicenda dell’Interdetto, essi vennero banditi dal territorio della Serenissima, potendovi tornare solo un cinquantennio più tardi, grazie ad una successiva decisione presa dai governanti veneziani allora intenti ad una politica maggiormente riconciliativa nei confronti della Santa Sede.

4. Il quarto ed ultimo saggio della raccolta ha per Cozzi “una fisionomia particolare: che l’indagine storica si accompagni al gusto per raccontare”. Esso tratta dell’amicizia tra due patrizi veneziani, Marco Trevisan e Niccolò Barbarigo. Il Trevisan offrì la propria amicizia al Barbarigo a partire dal 1618-19, e questa permise a costui, caduto in disgrazia per incerti motivi, di recuperare l’ “onore” e la stima degli altri patrizi, uscendo così dal suo isolamento. Tale amicizia rappresentò, per il Cozzi, una risposta alla crisi politica e morale della Venezia dell’epoca. La notizia dell’amicizia, definita immediatamente “eroica”, fece il giro del mondo e venne pubblicizzata da molte operette celebrative. Tuttavia a partire dalla fine degli anni ’20 l’interesse per l’amicizia scemò, tramutandosi in insofferenza. Il Trevisan cadde poi a sua volta in disgrazia scontrandosi nel 1631 con il potente patrizio Domenico Molino, e venne bandito dal territorio veneziano, ove rientrò solamente in seguito alla morte di costui (1635). L’amico Barbarigo morì nel 1644 e la sua famiglia impedì al Trevisan di succedergli nei beni. Egli si dedicò quindi all’attività letteraria, per sopravvivere, componendo tra l’altro un’Apologia ed esaltando nei suoi libri l’amicizia, l’eroismo e l’immortalità della fama e della gloria. Malgrado il Trevisan non ottenesse una piena riabilitazione fino al 1655, egli condusse ugualmente una vita tranquilla, approfittando dell’omertà diffusa a Venezia e ritornando addirittura a sedere in Maggior Consiglio prima della revoca ufficiale del suo bando. Morì nel 1674 a san Barnaba, la parrocchia dei nobili poveri, ricordato nel necrologio parrocchiale e in quello dell’addetto al magistrato della sanità come “heroe”, ma senza avere né un monumento funerario né una lapide sulla sua fossa.

Con il saggio sul Trevisan e sulla sua “eroica amicizia” si conclude questa raccolta, la quale rappresenta non solo una magistrale opera storica ma anche un importante lascito spirituale da parte di uno storico rigoroso e appassionato, quale fu il Cozzi.

(Daniele Santarelli)

et tamen e summo, quasi fulmen, deicit ictos
invidia inter dum contemptim in Tartara taetra
invidia quoniam ceu fulmine summa vaporant
plerumque et quae sunt aliis magis edita cumque

[Lucretius, "De rerum natura", lib. V]

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