Gambara, Veronica

Dizionario di eretici, dissidenti e inquisitori nel mondo mediterraneo
Edizioni CLORI | Firenze | ISBN 978-8894241600 | DOI 10.5281/zenodo.1309444


Veronica Gambara (Pralboino, 30 novembre 1485 – Correggio, 13 giugno 1550) è stata una letterata, donna di potere e poetessa.

Biografia

Veronica Gambara nacque nella notte tra il 29 e il 30 novembre 1485 nel feudo della famiglia del padre Gianfrancesco, sito nella frazione di Pralboino nel bresciano. Quinta di sette figli: Ippolito, Uberto – che arrivò a indossare la veste cardinalizia –, Brunoro, Camillo, Violante e Isotta (Balestrini 1986, p. 147). Anche sua madre Alda apparteneva a una famiglia nobiliare: quella dei Pio di Carpi. Il fratello del padre, Pietro, era un erudito locale che aveva dato corso, non senza difficoltà, a una tipografia (Pizzagali 2004, 15). È probabilmente grazie alla passione dello zio paterno che Veronica ebbe modo di ricevere un’ottima educazione umanistica. Mentre appare solo una mera ipotesi che il precettore di Veronica fu Giovanni Britannico (celebre insegnante a Brescia nel XVI secolo), di certo il suo insegnante di retorica almeno nei primi anni fu Thomas Ferrandus (di volta in volta indicato come Tomaso Ferando o Ferrando; cfr. Guerrini 1905); un famoso maestro di grammatica che aveva avuto il merito di introdurre prima a Ferrara e poi a Brescia, proprio grazie agli interessi amatoriali di Pietro Gambara, l’arte tipografica (nel 1493 Pietro finanziò la stampa di un opuscolo di Ferrandus sui cavalli). Veronica poté crescere, quindi, in un ambiente culturalmente fecondo: se ancora la nonna paterna, Ginevra Nogarola, fu precocemente lodata per l’erudizione da Francesco Sansovino (Pizzagali 2004, p. 15) anche una cugina della madre, Emilia Pio da Montefeltro oltre a essere stata ritratta da Raffaello Sanzio venne elogiata da Baldassare Castiglione nel Cortigiano per il suo spirito sagace. Nonostante il fervore culturale che animava le due famiglie e si rifletteva nell’ambiante bresciano è, comunque, assai improbabile che Veronica potesse applicarsi negli studi filosofici o che conoscesse il greco e le lettere sacre. Di certo la conoscenza di quest’ultime avvenne, invece, durante gli anni della maturità, forse, a partire dalla vedovanza, quando la Gambara si dimostrò molto attenta ai dibattiti religiosi contemporanei che si concretizzarono poi fattivamente nel concilio Tridentino. Nelle lettere dell’ultimo decennio (dal Quaranta al Cinquanta) è frequente riscontrare temi e istanze religiose; si può ricordare, ad esempio, la presa di posizione contro le teorie teologiche di Bernardino Ochino. È stato ipotizzato (Pignatti 1999) uno scambio epistolare andato perduto sulle vicende del consiglio tra la corte di Correggio, quella di Parma, Roma e Bologna, tutte città dove i Gambara avevano interessi politici. In giovane età più sicuro è il precoce interesse verso la poesia: lo testimonia la pubblicazione già nel 1505 di un componimento (il numero 10 dell’edizione Bullock 1995) in una raccolta miscellanea nominata Frottole (uscita presso la stamperia Petrucci di Venezia). Ma attestate sono: 1. L’intensa e affettuosa corrispondenza per versi e in prosa con Pietro Bembo che ebbe inizio nel 1502 (cfr. Fortini 2016); 2. Il rapporto epistolare con Isabella d’Este, di cui è conservata una lettera datata al 1 febbraio 1503 (Pizzagalli 2004, pp. 19-20).

Di certo l’evento più importante della prima parte della vita di Veronica fu il matrimonio con il consanguineo conte Giberto da Correggio – le madri dei due erano cugine di secondo grado – per il quale si dovette attendere la dispensa papale (emessa il 6 ottobre 1508); nonostante l’attesa il matrimonio fu concluso per procura già nel 1507 ma la Gambara si stabilì a Correggio solo nel corso del 1509: in compagnia dei due piccoli figli – Ippolito e Girolamo nati a distanza di un anno l’uno dall’altro – nel dicembre del 1511 Veronica si trovava di nuovo a Brescia per i funerali del padre; in quel periodo la città insorse contro il dominio francese e la famiglia Gambara, che appoggia il governo straniero, scampò ai linciaggi solo trovando rifugio nella rocca del castello di famiglia, dove restarono alcuni mesi finché la ribellione non fu domata da Gaston de Foix il 18 febbraio 1512 (episodio noto come il Sacco di Brescia). I rapporti delle famiglie Gambara e Correggio con la Francia erano eloquenti, frutto di convenienze tradizionali e patti antichi durarono ancora alcuni anni: nel 1515 Veronica, per esempio, accompagnò il marito Giberto all’incontro tra il re di Francia Francesco I e papa Leone X avvenuto a Bologna. Tre anni dopo restò vedova ma decise di non risposarsi. Si dimostrò, quindi, un’ottima amministratrice del patrimonio famigliare e della contea: per evitare divisioni del patrimonio, dopo aver sistemato le figlie di primo letto del marito, il primo figlio Ippolito fu presto designato alla successione – venne educato al mestiere delle armi e divenne ufficiale dell’esercito imperiale – mentre Girolamo fu avviato alla carriera ecclesiastica (nel 1528 quando Clemente VII nominò Uberto Gambara governatore di Bologna, Veronica si affrettò a inviare Girolamo alla corte dello zio). A Ippolito nel 1541 fu fatta sposare la giovane cugina Chiara di Correggio: l’obiettivo – di fatto raggiunto già nel 1534 ma le nozze furono ritardate per la giovane età della sposa (nata nel 1527) – era concentrare nelle mani del figlio le sorti patrimoniali del piccolo stato evitando, ancora una volta, una doppia linea di successione o di pretendenza. Sul piano politico si dimostrò piuttosto lungimirante: l’indipendenza della piccola contea di Correggio andava preservata attraverso trattati e atti diplomatici. Abbandonò, e fu seguita anche dalla famiglia paterna, il tradizionale legame filofrancese e si avvicinò al partito imperiale: nel 1520 il feudo, infatti, ricevette una nuova investitura da Carlo V. Nel 1529 si trasferì a Bologna, governata dallo zio Uberto, dove risiedeva già il fratello Brunoro, esule da Brescia (occupata nel frattempo dai veneziani). Il prestigio della famiglia Gambara, che poté presto recuperare i propri possedimenti padani proprio grazie all’intervento imperiale, giovò anche a Veronica, la quale ebbe, infatti, modo di intensificare le frequentazioni con i più celebri letterati del tempo. Nella casa bolognese ricevette Francesco Maria Molza, Bernardo Cappello, Giovanni Mauro e Gian Giorgio Trissino. Nei primi anni trenta incontrò due volte l’imperatore: il 23 marzo 1530 lo accolse presso il casino suburbano (forse adornato da Antonio Allegri, cioè il Correggio, così attesta una lettera della stessa Gambara, cfr. Pignatti 1999) fatto edificare da Nicolò II dei Correggio; dall’imperatore ottenne la promessa di salvaguardia del territorio della contea (patto violato da Alfonso d’Avalos già nel 1531, che fece soggiornare presso il contado le proprie truppe spagnolo recandovi gravi danni, furieri di carestia e peste). Carlo V tornò in Italia nel 1533 e a gennaio e decise di sostare nuovamente presso la residenza di campagna della Gambara. Nel 1532 Veronica fece un breve viaggio a Verolanuova nel bresciano che venne celebrato col sonetto Poiché per mia ventura a veder torno (numero 37 dell’edizione Bullock 1995). Un anno particolarmente problematico fu il 1538, quando Galeotto Pico della Mirandola invase la piccola contea dei Correggio. Fortunatamente, anche grazie agli ottimi rapporti tanto con il nuovo papa Paolo III quanto con Carlo V la situazione si ristabilì presto (ma fu solo con la figlia di Ippolito, Fulvia, unica della numerosa prole giunta a età matura, che cessarono i pericoli causati dai turbolenti Pico: ella venne, infatti, data in sposa a Ludovico II nel 1560, segnando, di fatto, l’alleanza tra le due casate). A partire dagli anni Quaranta il feudo passò saldamente nelle mani del primo figlio e Veronica poté concentrarsi sugli ozii letterari, a cui, comunque, aveva dedicato ogni possibile momento libero. Nel 1549 compì un ultimo viaggio a Mantova per le nozze del duca Francesco III con Caterina d’Asburgo; tornata in patria si spense il 13 giugno 1550.

La corrispondenza epistolare

Di recente la produzione epistolografica della Gambara ha riscosso un sempre più crescente interesse nonostante l’autrice non avesse mai pensato di raccogliere le sue lettere per costituire un libro organico: la mancanza di schermatura consegna una testimonianza autentica della dimensione privata e intimistica della Gambara; nonostante ciò il livello stilistico è più che apprezzabile tanto che alcune epistole furono edite in miscellanee cinquecentesche per l’alto grado stilistico. Si tratta di un materiale cospicuo ma comunque minimo rispetto a quanto si presume sia andato disperso (Selmi 1989). Si ha già avuto modo di ricordare alcuni carteggi importanti, bisogna specificare che molte delle corrispondenze sono state ricavate grazie agli studiosi del Settecento e dell’Ottocento, dotati di un precipuo interesse erudito: nonostante l’intenso lavoro filologico sono ancora mancanti però molte lettere. Oggi si conservano: due lettere dirette a Gian Giorgio Trissino, scambiate tra il 1505 e il 1506; una lettera senza data è diretta a Bernardo Tasso (che menziona la Gambara in Amadigi, XXX 4 e XLIV 70). Le dieci lettere che costituiscono il corpus bembiano testimoniano un rapporto di stima e devozione reciproci. Vi è una lettera diretta a Lodovico Dolce (data 28 aprile 1537). E ben undici dirette a Pietro Aretino. Undici lettere, infine, destinate ai membri dei Gonzaga e degli Este sono state pubblicate a fine Ottocento (Amaduzzi 1889).

La produzione lirica. Anche in questo caso si tratta di componimenti d’occasione in senso lato: non sembra esserci stata da parte della Gambara l’idea di costituire un canzoniere e, vista la mancanza del progetto, le Rime sono state edite anche recentemente da Bullock seguendo un ordine tematico. Benché lo stile risponda principalmente agli stilemi della lirica petrarchistica cinquecentesca non mancano occasioni di riflessione pubblica: ne sono un esempio i sonetti composti per la conquista di Tunisi a opera dell’imperatore Carlo V (o encomiastici dello stesso imperatore, numeri 44-48); ancora testi celebrativi di Paolo III (59 e 61), o di Bembo (63-65), rime sacre (55-58) e “diverse” (tra cui almeno un sonetto sulla predestinazione, il numero 57, cfr. Bettoni 2002). La raccolta a livello filologico, però, non sembra essere del tutto certa se recentemente (Tarsi 2015) è stato proposto di elidere dalla produzione associabile alla Gambara il sonetto Se più stanno a pparir quei duo bei lumi.

Bibliografia

Le rime della Gambara si leggono nell’edizione Veronica Gambara, Rime, a cura di A. Bullock, Olschki, Firenze, 1995; apprezzabile è l’antologia Liriche del Cinquecento, a cura di M. Farnetti e L. Fortini, Iacobelli, Roma, 2014. Si vedano poi Veronica Gambara, Undici lettere inedite, a cura di L. Amanduzzi, Guastalla, Pecorini, 1889. Di seguito i saggi citati: Anna Bettoni, Il sonetto di Veronica Gambara sulla predestinazione in Du Bellay, in “Italique”, 5, 2002, pp. 33-52; Maria Chiara Tarsi, Una poetessa nella Milano di primo Cinquecento: Camilla Scarampi (e di un sonetto conteso a Veronica Gambara), in “Giornale Storico della Letteratura italiana”, 639, 2015, pp. 414-451; Elisabetta Selmi, Per l’epistolario di Veronica Gambara in Veronica Gambara e la poesia del suo tempo nell'Italia settentrionale. Atti del Convegno (Brescia-Correggio. 17-19 ottobre 1985), a cura di C. Bozzetti e P. Gibellini, Olschki, Firenze, 1989, pp. 143-181 (ma prezioso è tutto il volume); Laura Fortini, Veronica Gambara o del corrispondersi in prosa e in versi, in Scrivere lettere nel Cinquecento, a cura di L. Fortini, G. Izzi, C. Ranieri, Edizioni di Storia e letteratura, Roma, 2016, pp. 73-93; Paolo Guerrini, Il primo tipografo bresciano, in “Rivista di scienze storiche”, 2, 2, 1905, pp. 146-154. Per lo studio della vita imprescindibile è la lettura della voce del Dizionario biografico degli italiani a cura di Franco Pignatti [consultabile online: http://www.treccani.it]. Per l’infanzia della poetessa ugualmente utili: Fausto Balestrini, Profili di donne nella storia di Brescia, Giornale di Brescia, Brescia, 1986; Daniela Pizzagalli, La signora della poesia: vita e passioni di Veronica Gambara, artista del Rinascimento, Rizzoli, Milano, 2004.

Nota bene

Questa voce fa parte della sezione "Dominae fortunae suae". La forza trasformatrice dell’ingegno femminile, che approfondisce il contributo offerto dalle donne alla nascita e allo sviluppo dei diversi campi del sapere.

Article written by Paolo Rigo | Ereticopedia.org © 2017

et tamen e summo, quasi fulmen, deicit ictos
invidia inter dum contemptim in Tartara taetra
invidia quoniam ceu fulmine summa vaporant
plerumque et quae sunt aliis magis edita cumque

[Lucretius, "De rerum natura", lib. V]

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