Franco, Veronica

Dizionario di eretici, dissidenti e inquisitori nel mondo mediterraneo
Edizioni CLORI | Firenze | ISBN 978-8894241600 | DOI 10.5281/zenodo.1309444


Veronica Franco (Venezia, 1546 - Venezia, 1591) è stata una cortigiana e letterata, perseguitata dall'Inquisizione.

Vita di una donna (di una cortigiana) nella Venezia del XVI secolo

Sono in primo luogo il fascino e l’ascendenza materna che impongono a Veronica Franco – secondo la linea di un destino in apparenza irrevocabile – l’esercizio di un’ars amandi che la rese celebre (e non solo presso i contemporanei).
Perché si abbia conferma della prima fra le due motivazioni che per Veronica sancirono tale destino – la bellezza – ci è sufficiente contemplare il più noto fra i dipinti che la ritraggono, opera di Tintoretto: bionda, con il volto ovale dominato da grandi occhi scuri, Veronica si offre agli sguardi con semplicità, con la spontanea naturalezza di chi istintivamente confida in sé, nel proprio aspetto e nel proprio temperamento. Per la seconda ragione è invece indispensabile attraversare, sebbene in breve, la storia della sua famiglia.
Veronica vide la luce a Venezia nel 1546: i genitori appartenevano a una stirpe annoverata fra i cittadini originari della Serenissima. Sposatasi assai giovane con Paolo Panizza (medico dal quale si separò presto, senza rimpianti), la quindicenne Veronica fu introdotta dalla madre alla pratica di un meretricio dapprima coercitivo e mortificante (i clienti le erano infatti imposti dalla ‘madre-mezzana’, che intascava anche la somma di due scudi prevista per ogni incontro con la figlia) ma, via via, sempre più splendido e coronato da successi. Il trionfo di Veronica nel campo della seduzione (‘agone’ in cui numerose erano le rivali) culminò quando Enrico di Valois, prossimo re di Francia, durante il viaggio di ritorno dalla Polonia verso la patria sostò a Venezia per circa una decina di giorni e, fra i piaceri di cui volle dilettarsi, incluse anche la compagnia della Franco (o Franca, come allora la si chiamava). Era il 1574; al momento del congedo da suo regale visitatore, Veronica, ormai definitivamente consacrata nell’Olimpo delle donne desiderabili, gli lasciò in ricordo un proprio ritratto in miniatura e due sonetti.
Lunga risulta poi la lista dei suoi ‘devoti’ (frutto delle sue numerose relazioni furono sei figli, amati e protetti nell’arco di tutta la vita). Tra questi ‘spasimanti’, il favorito fu Marco Venier, aristocratico, politico e poeta (nato nel 1537, si spense nel 1602). Parente di Marco era Domenico Venier, rinomato petrarchista e animatore, a Santa Maria Formosa, di un importante circolo culturale. E a Veronica, di cui ammirava la finezza d’ingegno, Domenico garantì costante appoggio e consigli per la revisione e pubblicazione dei suoi versi.
Ben diverso fu il rapporto tra Veronica e un altro Venier, Maffio, figlio di un fratello di Domenico. Valido e pungente poeta vernacolare (soprattutto quando riesce ad arginare la sua virulenta asprezza), Maffio, incline a una letteratura d’argomento parodistico se non nettamente osceno, indirizzò a Veronica due capitoli e un sonetto trasudanti livore e spregio: da ‘cortigiana onesta’ ella viene così degradata al livello di una prostituta da trivio; il suo corpo, segnato dalle imperfezioni della vita quotidiana, è tacciato (incredibilmente) di sgradevolezza, disarmonia, persino di sporcizia. Tra l’autore e la destinataria di questi scritti si accese pertanto un durissimo scontro, combattuto a colpi di penna; la replica di Veronica alle ingiurie di Maffio è inclusa nelle Terze rime, edite nel 1575 con dedica al Duca di Mantova e di Monferrato.
Sempre nel 1575, Veronica diede alle stampe, in qualità di curatrice, una silloge in memoria di Estor Martinengo, signore di Malpaga, giovane patrizio di Brescia fedele a Venezia nella lotta contro i Turchi. Facevano parte della raccolta i componimenti degli intellettuali e letterati che Veronica era solita frequentare nel circolo di Domenico Venier.
Cinque anni dopo, Veronica pubblicò anche le Lettere, vivace esempio di prosa epistolare.
Una volta ritiratasi, poco più che trentenne, dall’esercizio della professione, colei che aveva avuto il privilegio di compiacere un sovrano condusse una vita piuttosto tranquilla, sebbene compromessa da alcuni disagi economici, in parte risalennti alla situazione generale in cui versava la Repubblica, prostrata, fra 1575 e 1576, da una pestilenza che ne aveva decimato la popolazione e indebolito i commerci, in parte determinati (o almeno acuiti) da una gestione poco accorta del patrimonio personale.
Nel medesimo 1580 fu accusata da un vicino, Rodolfo Vannitelli, di aver messo in opera atti di magia nera per recuperare alcuni oggetti preziosi, andati smarriti. Condotta al cospetto degli Inquisitori, Veronica emerse tuttavia indenne dal processo
Durante il periodo conclusivo della sua esistenza si dedicò a pratiche di carità, mostrandosi pietosa e soccorrevole soprattutto verso fanciulle indigenti o prostitute desiderose di cambiare vita.
A causa di violente febbri, Veronica abbandonò la sua Venezia (e il mondo terreno) il 22 luglio 1591. Aveva quarantacinque anni.

Vita di una donna (di una scrittrice) nella Venezia del XVI secolo

Veronica fu, come si è detto, una cortigiana dalla grazia sapiente, irresistibile.
Ciò nonostante, il suo destino più vero non coincide con gli eventi che la portarono alla professione di cortigiana, complici il suo fascino e la volontà materna.
Il suo destino autentico – e di ciò Veronica era consapevole e assai orgogliosa – consisteva infatti nello scrivere. Educata, durante l’infanzia, insieme a tre fratelli maschi, Veronica iniziò da subito a gettare le basi di una cultura che le permise in seguito di frequentare ambienti dotti e di affinare progressivamente quanto già appreso. Il circolo di Domenico Venier le fornì inoltre la cornice migliore entro cui far maturare le sue doti di autrice.
Versatile, a suo agio sia con i versi sia con la prosa, Veronica dà prova di evidente favore per la terzina dantesca, metro poco apprezzato nel secolo signoreggiato dal Petrarchismo. Questa propensione rivela l’indole narrativa della sua scrittura, alla quale si addicono l’ampiezza argomentativa e il racconto piuttosto che la concentrazione lirica.
Le Terze rime, uscite nel 1575 (da ricordare, però, che Veronica compose anche sonetti), sono organizzate in due sezioni: nella prima quattordici capitoli si alternano a coppie (sette sono di Veronica e sette di corrispondenti imprecisati); la seconda include invece undici capitoli scritti dalla sola Veronica.
Se ne riportano, di seguito, gli argomenti, secondo la sintesi proposta da Abdelkader Salza (Terze rime e sonetti, Bari, Laterza, 1913):

  • Loda la bellezza e l’ingegno di Veronica e la prega di essergli benigna e amorosa.
  • Essa lo riama e vuole ch’egli compia, per amor di lei, opere ed azioni conformi alla virtù del suo animo
  • Lontana dall’amante soffre e piange e sospira Venezia. Dove appena sarà tornata, a lui che l’attende darà, in amorosa lotta, dolce ristoro delle noie passate.
  • Rispondendo all’epistola precedente, l’amante, pur dolendosi ch’ella abbia voluto allontanarsi, spera che per la pietà di lui s’induca a tornar presto.
  • Non ama più colui che la prese con la beltà sua caduca; ora la ragione, vinto il senso, la fa desiderosa di riavvicinarsi all’uomo virtuoso, da lei trascurato per quello.
  • L’uomo è lusingato e lieto del pentimento di lei e spera di provarle la sua fede.
  • Un amante non corrisposto da Veronica si lamenta della crudeltà di lei e la supplica umilmente di riamarlo, invocando l’aiuto d’Amore.
  • Veronica risponde dicendosi ancor soggetta ad uomo indegno, che le fa trascurare ogni altro amante. Forse un giorno, libera dal giogo, verrà a chi ancora ora la supplica invano.
  • Altro lamento di un amante di Veronica durante un’assenza di lei.
  • Non potendo ella, invaghita d’un uomo a lei caro su tutti, corrispondere ad altro affetto, s’è allontanata da Venezia, perché nella sua assenza si mitighi l’ardore di chi l’ama senza speranza.
  • Mentr’ella è a Verona con un suo amante, un altro, rimasto a Venezia, si duole ch’ella tardi a tornare, ed a ciò la sollecita.
  • Ella risponde invitando l’innamorato, che non può riamare, a celebrar Venezia, dove, perché egli possa dimenticare lei per altra donna, non tornerà così presto.
  • La donna disfida a morte l’amante, che è con lei corrucciato; tuttavia, s’egli cercherà pace, si azzufferà sì con lui, ma nelle voluttuose risse d’amore.
  • L’amante sfidato si dichiara vinto senza contrasto con arme e s’arrende alla bella inimica, al cui dominio offre volentieri il cuore.
  • Si scusa con un amico per non essere andata a trovarlo: la partenza dell’amante così l’ha turbata e sconvolta, che non se n’è sentita la forza, benché n’avesse desiderio; ma s’egli insiste, andrà da lui che stima.
  • Ad un maledico che l’ha con i suoi versi oltraggiata, risponde a lungo e ribatte le ingiurie che colpivano la condizione di lei.
  • Sfogo di gelosia contro un suo amante che ha lodato un’altra donna; ma, poiché ancora gli vuol bene, lo invita a venir presto da lei e gli perdona.
  • Prega un amico cortese di correggerle i versi di un’epistola da lei scritta per far la pace con l’amante.
  • Ad un uomo di religione, pel quale provò in gioventù un amore non dichiarato, Veronica manifesta, ora ch’egli è giunto all’età matura, i suoi sentimenti, mutati in fervida amicizia, e lo prega di benevola e cordiale corrispondenza.
  • Lamenta la durezza d’un uomo, che non la riama e che, mentr’ella di notte va a casa sua per trovarlo, è assente, forse presso un’amica più fortunata di lei. Spera tuttavia corrispondenza dall’animo gentile di lui; altrimenti ne morrà.
  • Scrive all’amante, da cui si è allontanata: incauta, ché senza di lui non ha un momento di pace.
  • La crudeltà dell’amante l’ha spinta a rifugiarsi in campagna: quivi ogni spettacolo naturale, rivelandole la potenza d’Amore, la richiama alla sua triste sorte e a Venezia, miracolo unico di bellezza; onde sospira il ritorno.
  • Oltraggiata da un vile, in sua assenza, chiede consiglio ad un uomo d’arme, esperto delle questioni d’onore, per vendicarsi, com’è suo diritto.
  • Rimprovero cortese ad uno, che per ira ha offeso una donna, e per poco non l’ha percossa.
  • In lode di Fumane, luogo dell’Illustrissimo Signor Conte Marc’Antonio della Torre, Preposto di Verona.


Dagli argomenti dei capitoli sopra riprodotti possiamo trarre qualche ulteriore spiraglio di luce sulla sincerità dei vari amori di Veronica Franco (amori di rado coincidenti – è intuibile – con la sua ‘professione’). Di certo, infatti, ella non amava il mestiere nel quale pure eccelleva.
Amò invece, come si è accennato, alcuni dei suoi amanti.
E amava, ancor maggiormente, la spontaneità del piacere, per il quale non riteneva indispensabile la metamorfosi purificante in slancio dello spirito. L’amore in cui il battito del cuore e il sospiro si fanno brivido della carne è l’unico tipo di amore che Veronica sa di poter affrontare ed esprimere, e il suo carattere schietto la sostiene mentre filtra i modelli letterari (Petrarca, in primis) attraverso quest’audace sensibilità.
Libera nonostante i limiti che dall’esterno le venivano imposti, costretta a un destino di cortigiana ma obbediente – di una lieta, consapevole, voluta obbedienza – alla vocazione poetica, Veronica si confermò, nell’arco di un’intera vita, una donna intellettualmente onesta e teneramente affettuosa. Se non seppe determinare fino in fondo (ma chi è in grado di farlo, del resto?) il suo destino, non lo subì comunque mai: con pazienza, con cura, lo riscattò e lo ri-orientò… grazie alla sua ‘stella polare’. La stella della scrittura.

Bibliografia

Edizioni recenti

Rime

  • Veronica Franco, Terze rime e sonetti, a cura di Gilberto Beccari, Lanciano, Carabba, 1912.
  • Eadem, Rime, a cura di Abdelkader Salza, Bari, Laterza, 1913.
  • Eadem, Rime, a cura di Stefano Bianchi, Milano, Mursia, 1995.
  • Eadem, Lettere, a cura di Stefano Bianchi, Roma, Salerno, 1998.

Lettere

  • Veronica Franco, Lettere dell’unica edizione del MDLXXX, con proemio e nota iconografica a cura di Benedetto Croce, Napoli, Ricciardi, 1949.
  • Eadem, Lettere, a cura di Stefano Bianchi, Roma, Salerno, 1998.

Per lo scontro tra Veronica e Maffio Venier, si veda:

  • Manlio Dazzi, Il libro chiuso di Maffio Venier (La tenzone con Veronica Franco), Venezia, Neri Pozza, 1956.

Studi (biografie e saggi)

  • Arturo Graf, Una cortigiana fra mille: Veronica Franco, in Attraverso il Cinquecento, Torino, Loescher, 1888, pp. 215-351.
  • Giuseppe Tassini, Veronica Franco, celebre poetessa e cortigiana del secolo XVI, Venezia, Fontana, 18882.
  • Benedetto Croce, La lirica cinquecentesca, in Poesia popolare e poesia d’arte. Studi sulla poesia italiana dal Tre al Cinquecento, Bari, Laterza, 1933, pp. 414-419.
  • Riccardo Scrivano, La poetessa Veronica Franco, in Cultura e letteratura nel Cinquecento, Roma, Edizioni dell’Ateneo, 1966.
  • Alvise Zorzi, Cortigiana veneziana. Veronica Franco e i suoi poeti, Milano, Camunia, 1986.
  • Margaret Rosenthal, The Honest Courtesan. Veronica Franco, Citizen and Writer in Sixteenth-Century Venice, The University of Chicago, 1992.
  • Elvira Favretti, Figure e fatti del Cinquecento veneto, Alessandria, Edizioni dell’Orso, 1992 (su Veronica Franco, pp. 71-95).
  • Stefano Bianchi, Petrarchismo liminare. Tradizione letteraria e ‘gioco d’amore’ nella poesia di Veronica Franco, in Passare il tempo. La letteratura del gioco e dell’intrattenimento dal XII al XVI secolo, Atti del Convegno di Pienza, 10-14 settembre 1991, Roma, Salerno, 1993, II, pp. 721-737.
  • Chapelle Wojciehowski, Veronica Franco vs. Maffio Venier: Sex, Death, and Poetry in Cinquecento Venice, in «Italica», 3-4, 2006, pp. 367-390.
  • Gregory M. Pell, Trascendence of gender in Aretino and Franco: cross-dressing literally and literary cross-dressing in «Studi rinascimentali», 5, 2007, pp. 111-126.
  • Cesare Catà, Rinascimento tra Petrarca e Passione. Il Neo-platonismo ‘corporeo’ della poesia di Veronica Franco, in «La parola del testo», 2, 2009, pp. 357-373.
  • Valeria Palumbo, Veronica Franco la cortigiana poetessa, EdizioniAnordest, Treviso, 2011.
  • Stefano Bianchi, Veronica Franco, in Idem, La scrittura poetica femminile nel Cinquecento veneto: Gaspara Stampa e Veronica Franco, Vecchiarelli, Roma, 2013.

Si vedano altresì le seguenti voci biografiche:

  • Floriana Calitti, Franco, Veronica, in DBI, vol. 50 (1998).
  • Alessandro Medico, Franco, Veronica, in DSI, vol. 2, p. 626.

Per una rassegna più ampia, si rimanda alla Nota bibliografica redatta da Stefano Bianchi nell’edizione a sua cura delle Rime di Veronica Franco (Milano, Mursia, 1995), pp. 35-39).

Link

Nota bene

Questa voce fa parte della sezione "Dominae fortunae suae". La forza trasformatrice dell’ingegno femminile, che approfondisce il contributo offerto dalle donne alla nascita e allo sviluppo dei diversi campi del sapere.

Article written by Francesca Favaro | Ereticopedia.org © 2017

et tamen e summo, quasi fulmen, deicit ictos
invidia inter dum contemptim in Tartara taetra
invidia quoniam ceu fulmine summa vaporant
plerumque et quae sunt aliis magis edita cumque

[Lucretius, "De rerum natura", lib. V]

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