Contarini, Nicolò

Dizionario di eretici, dissidenti e inquisitori nel mondo mediterraneo
Edizioni CLORI | Firenze | ISBN 978-8894241600 | DOI 10.5281/zenodo.1309444


Nicolò Contarini (Venezia, 26 settembre 1553 – Venezia, 2 aprile 1631) è stato un patrizio veneziano, doge della Repubblica di Venezia dal 18 gennaio 1630 al 2 aprile 1631.

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Biografia

Nicolò Contarini e il suo tempo

Membro di una delle più illustri famiglie patrizie, fu un personaggio emblematico del patriziato veneziano di fine Cinquecento/inizi Seicento. In tale periodo il patriziato perdeva definitivamente la propria compattezza mentre declinavano le attività legate al commercio e si indeboliva il ruolo della Serenissima nello scacchiere politico internazionale. All’interno del patriziato emergeva il “partito” dei Giovani, in buona parte esponenti delle famiglie “decadute” e meno abbienti, emarginate dalle cariche più importanti; questi facevano pressione per una riforma costituzionale in senso antioligarchico e per una politica estera più aggressiva e decisamente antiasburgica. I loro avversari, i Vecchi, dal canto loro, difendevano l’assetto costituzionale vigente e propugnavano una politica estera di neutralità, col fine di tenersi amici di tutti, ma soprattutto della potente Spagna e del Papato.

Studi e inizi della carriera politica

Nicolò Contarini compì i primi studi a Venezia insieme a Paolo Sarpi e Andrea Morosini; passò quindi a Padova, ove si laureò in utroque iure. In seguito salì i vari gradini del cursus honorum comune ai membri più influenti del patriziato veneziano, sino ad essere eletto tra i Savi del Consiglio nel 1601. Negli anni della sua ascesa politica giovanile, fu un assiduo frequentatore del ridotto Morosini, luogo di ritrovo prediletto dei Giovani.

L'Interdetto

Contarini fu tra i protagonisti della vicenda dell’Interdetto (1606-1607). Il rifiuto della Repubblica di Venezia di consegnare alla giustizia ecclesiastica due chierici arrestati nel 1605 per reati comuni, causò il noto conflitto col pontefice Paolo V Borghese, il quale, convinto che il provvedimento ledesse la libertà della Chiesa, scomunicò i governanti della Serenissima e interdisse le funzioni religiose pubbliche nel suo territorio. La Repubblica rispose con l’elezione al dogado dell’integerrimo Leonardo Donà, il leader dei Giovani. Tra i collaboratori più intransigenti di questi c’era Niccolò Contarini, che sedeva allora di nuovo tra i Savi del Consiglio. La posizione del Donà era ben più moderata di quella del Contarini e ciò era dovuto alla maggiore sensibilità politica dell’uno rispetto all’impulsività dell’altro. Tuttavia entrambi egualmente, da un lato sostenevano il principio della sovranità dello Stato contro le pretese temporalistiche della Chiesa, dall’altro erano convinti, in un tale conflitto, di difendere la causa dell’ortodossia cattolica. La loro opinione era infatti che la Chiesa, occupandosi degli affari temporali, si corrompeva e deviava dalla lezione evangelica. La scomunica non turbava le loro coscienze, poiché la religione, più che sugli orpelli esteriori, si fondava sull’integrità della condotta morale: e la loro condotta non era affatto deviante rispetto ai principi dell’etica. Tale era lo spirito dei Giovani, fortemente impregnato di istanze di carattere religioso. La vicenda dell’Interdetto, malgrado il serio rischio corso di un conflitto con la Spagna, non ebbe comunque effetti devastanti, giacché grazie alla mediazione francese si giunse ad un compromesso. Il principio della sovranità dello Stato era salvo, tuttavia il Contarini non poteva dirsi soddisfatto: egli, infatti, aveva sperato che la vicenda persuadesse i governanti veneziani a inaugurare una politica fortemente antiasburgica volta a riportare in auge il ruolo e il prestigio internazionale della Repubblica.

La guerra di Gradisca

La crescita dell’influenza del Contarini sulle decisioni politiche del governo veneziano, portò comunque negli anni successivi ad un confronto militare con gli Asburgo: la guerra di Gradisca (1615-17). Il Contarini era convinto che la guerra fosse la via migliore per risolvere il problema degli Uscocchi, i pirati cristiani transfughi dall’Impero Ottomano (e protetti dagli Asburgo d’Austria), che infestavano l’Adriatico. Ottenne quindi che si deliberasse l’invasione dell’Arciducato d’Austria, conducendo l’offensiva militare in prima persona. Tale politica si rivelò fallimentare e il problema fu risolto soltanto grazie a delle trattative diplomatiche.
Provveditore oltre il Mincio
Nominato in seguito provveditore oltre il Mincio (1621), il Contarini fu poi protagonista di un altro scontro, di minore rilevanza, con gli Asburgo, negando intransigentemente il passo all’esercito spagnolo, che marciava verso la Valtellina, per un tratto di strada che era oggetto di dispute territoriali, attirandosi molte critiche anche da parte di esponenti dei Giovani, per la sua volontà di sfruttare un episodio così marginale come casus belli.

Storiografo ufficiale della Repubblica

In seguito a quest’ultima vicenda, il Contarini abbandonò temporaneamente la politica attiva e si cimentò in un’opera storica, nelle vesti di storiografo ufficiale della Repubblica, incarico che egli occupò tra 1621 e 1623. Le sue Historie venetiane spiccano per la passione civile, il forte sdegno verso un presente di decadenza politica, economica e morale ed il richiamo frequente ad un passato “glorioso”.

Il movimento di Ranier Zeno

L’ascesa del movimento di Ranier Zeno, dal 1623 al 1629, riportò in auge il ruolo del Contarini all’interno delle istituzioni veneziane. Tale movimento era legato alla protesta delle famiglie povere del patriziato contro le famiglie ricche, accusate di sfruttare il Consiglio dei Dieci e gli Inquisitori di Stato col fine di farsi padrone dello Stato. La protesta portò all’istituzione di una commissione di riforma del Consiglio dei Dieci, presieduta proprio dal Contarini; la riforma che ne seguì, la quale aveva un carattere puramente formale, rappresentò la sconfitta di questo movimento, che d’altra parte, come nota il Cozzi, non si identificava col partito dei Giovani. Non a caso, il Contarini disprezzava profondamente lo Zeno per il suo estremismo e per la sua demagogia.

Il dogado e la morte

La carriera politica del Contarini culminò coll’elezione al dogado, avvenuta nel 1630, in un periodo estremamente difficile per la Serenissima, che aveva scelto di appoggiare il duca di Nevers e i francesi nella guerra di successione di Mantova; nello stesso anno Venezia era per di più funestata dalla peste. L’esercito veneziano venne però rovinosamente sconfitto dalle truppe imperiali e la ritirata fu molto disonorevole. Sopravvissuto alla peste, il doge Niccolò Contarini fu sopraffatto però dalla vecchiaia e si spense il 10 aprile 1631. In seguito alla sua morte l’orientamento della politica veneziana cambiava decisamente rotta e, dopo un cinquantennio di incertezze, rientrava sulla linea adottata dopo la pace di Bologna del 1530: una linea sostanzialmente volta al mantenimento della pace e alla neutralità. La sconfitta del partito dei Giovani era ormai definitiva.

Bibliografia

  • Gaetano Cozzi, Il doge Nicolò Contarini. Ricerche sul patriziato veneziano all’inizio del Seicento, Venezia – Roma 1958 (nuova edizione in Id., Venezia barocca. Conflitti di uomini e idee nella crisi del Seicento veneziano, Venezia 1995, p. 1-245).
  • Gaetano Cozzi, Contarini, Nicolò, in DBI, vol. 28 (1983).

Approfondimenti

Article written by Daniele Santarelli | Ereticopedia.org © 2013

et tamen e summo, quasi fulmen, deicit ictos
invidia inter dum contemptim in Tartara taetra
invidia quoniam ceu fulmine summa vaporant
plerumque et quae sunt aliis magis edita cumque

[Lucretius, "De rerum natura", lib. V]

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