Moriscos (Spagna)

Dizionario di eretici, dissidenti e inquisitori nel mondo mediterraneo
Edizioni CLORI | Firenze | ISBN 978-8894241600 | DOI 10.5281/zenodo.1309444


I moriscos furono gli eredi dei musulmani di Spagna, convertiti a forza al cristianesimo al termine della Reconquista, la cui presenza fu cancellata con la loro espulsione definitiva dal territorio spagnolo attuata tra il 1609 e il 1614.

Premessa storiografica

Fino a data recente la storiografia spagnola, e in generale occidentale, presentava unanimemente l'espulsione dei moriscos di Spagna come l'espulsione di un corpo estraneo. Che la deplorasse o meno, essa vi vedeva la conseguenza inevitabile di una frontiera invalicabile che separava i discendenti dei musulmani di Spagna, battezzati tra 1498 e 1527, e gli Spagnoli veri e propri, i vecchio-cristiani. La mancanza apparente o il carattere minoritario dei fenomeni d'integrazione nell'epoca, la persistente vicinanza di un Islam percepito come ostile, la debole presenza - fino a tempi recenti - di musulmani tra gli studiosi, concorrevano a dare a questa definizione un carattere particolarmente netto. Per ragioni inverse il caso dei nuovi cristiani ebrei - benché a lungo abbia prevalso una linea interpretativa simile - era trattato in altro modo.
Tuttavia, a partire dal XVI sec., sono apparsi testi che contraddicono tali affermazioni, trattando i moriscos come degli spagnoli come tutti gli altri. Il più celebre tra di essi è l'opera di un nuovo-cristiano di origine araba granadino, Nuñez Muley. Si tratta di una protesta contro un decreto reale del 1554, che pretendeva di vietare ai discendenti dei musulmani di Granada l'uso dei vestiti "alla turca", della scrittura araba, della lingua araba, dei bagni turchi, dei riti matrimoniali fondati sulla musica e sulla danza. Il tutto poiché si trattava di pratiche musulmane. L'autore fonda le sue argomentazioni sull'autoctonia dei moriscos, affermando che i costumi granadini erano molto diversi rispetto a quelli dell'Africa del nord e che comunque non si trattava di differenze più profonde di quelle tra altre popolazioni della Spagna, tra i baschi e i catalani per es.
La memoria collettiva liberale della Spagna attuale ha ripreso il tema dell'ispanità dei moriscos. In una vibrante polemica contro l'accettazione passiva dell'espulsione del 1609/1610 da parte della storiografia, Francisco Márquez Villanueva la presenta come una ingiustizia fatta da spagnoli ad altri spagnoli1. Il carattere "straniero" dei moriscos è dunque al centro di ogni studio su di loro, oggi come cinque secoli fa, e ciò influenza le prospettive della ricerca. Occorre pertanto esaminare fino a che punto il concetto di "straniero" fosse complesso nella Spagna di Ancien Régime, nonché assai differente rispetto al concetto attuale.

La nozione di "straniero"

La società nella quale erano inseriti i moriscos definiva l'appartenenza al corpo politico su tre livelli:

  1. Il rapporto di vassallaggio nei confronti del sovrano. Esso consisteva nel riconoscere tale persona come re. Si trattava di una pura alleanza personale, senza particolari condizioni di nascita, cultura, razza o religione. Esso dava accesso all'insieme dei diritti che il sovrano poteva concedere in quanto tale, ma non conferiva alcun diritto nell'ambito che dipendeva dalla giurisdizione dell'altra metà del corpo politico, il regno.
  2. L'appartenenza al regno. Nella "teoria classica" dell'organizzazione dei poteri, il potere pubblico non deriva da una fonte unica, ma combina delle unità di potere uguali in dignità, dotata ognuna di una sfera d'azione propria. Se la sfera religiosa era dominio della Chiesa, la sfera civile vedeva due attori principali, il re, ma soprattutto il regno, inteso come comunità politica organizzata che si riconosceva sia come costituente un insieme indipendente sia come vassallo di un unico sovrano. Il regno pre-esiste al sovrano: è fondato su un sentimento di appartenenza comune, su un'antica consuetudine di agire insieme; è estremamente stabile e molto difficile da smembrare; è difficile "aggregargli" degli elementi nuovi. Il regno era concepito come il vero detentore del potere pubblico, limitandosi la sfera d'azione del re ad un'arbitraggio tra i suoi membri e alla correzione delle disfunzioni al suo interno: i diritti del regno da un lato, quelli di Dio dall'altro stabilivano le frontiere invalicabili del potere reale. Era straniero chi era straniero al regno stesso, anche se era vassallo dello stesso sovrano, poiché nulla impediva a un sovrano di reggere diversi regni o di estendere la sua protezione ad individui esterni al regno
  3. (ad un livello più "locale", essendo il regno di fatto concepito come una aggregazione di "municipalità") l'acquisizione della vecindad, cioè dei diritti e dei doveri che denotano l'appartenenza e l'integrazione a una comunità di abitanti di livello "municipale". I meccanismi di acquisizione della vecindad erano molteplici e variabili nella loro forma a seconda dei luoghi. Essi avevano in comune il fatto di insistere sulla durata: si ereditava la vecindad dai propri parenti; nel caso invece di nascita sul posto da una famiglia non riconosciuta come vecina, essa si poteva acquisire solo attraverso una lunga residenza e una integrazione reale nella comunità. Essa dipendeva, in fin dei conti, dal riconoscimento della comunità stessa, espresso in occasione di una prova, in genere l'esercizio per la prima volta, da parte della persona, dei suoi diritti di vecino (voto in un assemblea, uso delle terre comuni etc.) oppure attraverso la domanda di un riconoscimento formale da parte del forastero. Questo riconoscimento da parte della comunità era talmente fondamentale che spesso si imponeva sui criteri d'appartenenza definiti dal diritto: si conoscono molteplici casi di rifiuto della vecindad ad individui che soddisfacevano tutti i criteri legali e, al contrario, l'accettazione di altri che non li soddisfacevano del tutto2.

Dal vassallaggio all'integrazione

I moriscos possono essere definiti all'inizio del XVI sec. come vassalli del re di Spagna, ma non come membri del regno. Vassalli (di un altro sovrano) lo erano già in quanto musulmani prima del completamento della Reconquista: erano già allora membri di un regno a parte, diverso da quello dei cristiani, dotato di proprie istituzioni - le "aljamas" -, di un sistema di imposizione fiscale specifico, di un diritto specifico, e negoziavano con il sovrano i loro interessi e con le comunità cristiane le modalità della loro integrazione. La conversione escluse i moriscos da questo regno senza tuttavia integrarli nel regno cristiano.
I meccanismi di questa mancanza di integrazione nel regno cristiano meritano una breve analisi. Mercedes García Arenal ha insistito sul fatto che, più che una questione di pratiche esteriori e apparenze, entrava in gioco un sistema di percezione e di auto-percezione3.
Il caso dei moriscos di Daimiel è significativo. La documentazione inquisitoriale che è stata esplorata4 - i moriscos di Daimiel sono stati oggetto di una sessantina di processi in un decennio - non lascia alcun dubbio. I moriscos perseguiti dall'Inquisizione, forse un terzo degli adulti della comunità - avevano la volontà di restare musulmani. Essi erano apparentemente del tutto assimilati: non parlavano e non leggevano più né l'arabo né l'aljamiado; si vestivano come i vecchio-cristiani; mangiavano le stesse pietanze (eccetto il maiale); vivevano come loro lavorando la terra; e niente nel loro aspetto fisico e nelle loro abitudini denotava la loro origine, che era riconoscibile solo dai loro cognomi di famiglia. Non sapevano quasi niente ormai dell'Islam e delle sue tradizioni. Ma esprimevano la loro appartenza esultando delle vittorie dei Turchi, esecravano la presa di Tunisi da parte di Carlo V, rispondevano "sporco cristiano" a chi dava loro del "cane musulmano", si auto-tassavano per il riscatto degli schiavi nordafricani e uno dei più ricchi tra loro, Lope de Hinestrosa, accettò il matrimonio della figlia con un uomo poverissimo per il solo motivo che quest'ultimo, proveniente da una comunità morisca d'Aragona, leggeva l'aljamiado ed era in grado di presiedere con meno incompetenza rispetto agli altri le riunioni di culto che il suocero organizzava a casa sua.
L'Islam era per questi moriscos una sorta di rifugio contro l'ostilità sociale e l'insicurezza politica e giuridica da cui si sentivano oppressi. Il tratto più caratterizzante della loro religione era l'opposizione al cristianesimo. Ma vi era di mezzo anche un'organizzazione politica semi-clandestina, erede della municipalità morisca delle cinque città della Mancha, che continuò fino agli anni quaranta del XVI sec. a condurre delle trattative con la Monarchia spagnola. L'Inquisizione, in dieci anni di persecuzioni, fece "saltare" la solidarietà tra i moriscos: quando essa mise fine all'ondata dei processi, tutti avevano denunciato tiutti, e tutti ne erano ben conscienti, senza sapere chi avesse denunciato chi. La repressione inquisitoriale non era stata materialmente feroce: una sola esecuzione, i beni formalmente confiscati rimasero perlopiù in mano ai loro proprietari, la maggior parte dei sessanta arrestati furono rilasciati dopo qualche mese o anno di prigione. Ma la diffidenza si era ormai instaurata e i moriscos di Daimiel divennero sinceramente cristiani nel volgere di poco, al punto di convincere le autorità: nel 1626, dopo esser stati temporaneamente espulsi ed esser rientrati semi-clandestinamente, furono definitivamente autorizzati a restare5.

L'atteggiamento della società vecchio-cristiana non evolve,da parte sua, allo stesso modo: i moriscos restano degli "stranieri". Nel 1645 un notabile di Villanueva de los Ojos, borgo vicino a Daimiel e una delle "cinque città" della Mancha, prete e commissario dell'Inquisizione per giunta, è perseguitato per aver estorto regolarmente dei fondi ai moriscos del luogo attraverso la minaccia dell'Inquisizione. E si trattava di moriscos presenti in Castiglia da molto prima della loro conversione, che condividevano con i vecchio-cristiani la stessa civiltà materiale e pratiche sociali simili.
Che dire poi degli espulsi da Granada, dispersi in Castiglia nel 1569, che cumulavano, oltre alla loro origine islamica, tutti i tratti che rendono scomoda la presenza dell'immigrante (concorrenza sul mercato del lavoro, cucina con l'olio in un paese in cui si cucinava con lo strutto, stranezza dei costumi, difficoltà con la lingua, problemi comportamentali dovuti allo sradicamento, svolgimento di attività illegali per sopravvivere etc.)? Che dire delle popolazioni moriscas delle signorie aragonesi e valenciane, mantenute con cura al di fuori dalle influenze cristianizzatrici da una nobiltà cristiana troppo interessata a conservarle malgrado l'Inquisizione per riscuotere meglio il prezzo della loro protezione? Il morisco era e restava in fondo uno "straniero" nel regno di Spagna, esisteva politicamente solo in quanto vassallo: e poiché il re si considerava tradito da lui, era privo di ogni protezione, di ogni inserzione nel corpo politico, la sua posizione all'interno di esso era diventata estremamente instabile.
La creazione delle condizioni che scatenarono l'espulsione era inevitabile? Senz'altro è evidente che il sovrano avrebbe potuto non deciderla. La ricerca recente ha mostrato che la decisione gli fu dettata da considerazioni sia di alta politica interna sia di politica internazionale in un contesto di "confessionalizzazione". Ci volle una forte propaganda, proseguita per anni, e trattative intense con diversi corpi, in particolare la nobiltà, per far accettare la misura ai vecchio-cristiani stessi, dalle loro élites politiche almeno.
La necessità di questa propaganda è resa d'altra parte più evidente dall'abbondanza delle testimonianze raccolte sui casi di assimilazione. Le più numerose ed efficaci, come sempre in queste materie, passarono perfettamente inosservate, e non sono riscontrabili se non indirettamente. Così, numerose comunità musulmane della Mancha, che conosciamo grazie alla lista di battezzati stilata alla loro conversione, sparirono senza lasciare traccia6. Si calcola che circa 15.000 moriscos, come quelli di Daimiel, riuscirono a restare legalmente in Spagna dopo l'espulsione. Certi casi studiati ci mostrano il funzionamento della macchina assimilatrice. Lope Marbella, un mercante originario del Regno di Granada e deportato a Valladolid nel 1569-70, classificato ancora come morisco nel censimento episcopale del 1589 , riuscì a farsi riconoscere lo status di vecchio-cristiano dalla Cancelleria di Granada, provando - o meglio trovando un numero sufficiente di testimoni disposti ad affermarlo - che la sua famiglia si era convertita prima della caduta di Granada7 . Era esattamente lo stesso meccanismo che serviva ad aggregare i notabili non nobili alla nobiltà, a trasformare i discendenti degli ebrei in vecchio-cristiani e i mercanti francesi in cittadini castigliani : provare giudiziariamente, presso un organismo dipendente dal regno, non la realtà biologica della presupposta ascendenza, ma una riuscita integrazione dimostrata dalla qualità dei testimoni chiamati a provarla, sotto la forma di un mito familiare sull'autenticità del quale nessuno si fa illusioni. Tuttavia, nel momento in cui l'autorità aveva conferito ad un individuo lo status di vecchio-cristiano, chiunque avesse contestato il suo giudizio sarebbe stata passibile di essere perseguito legalmente.
Questa assimilazione era lenta. Essa esigeva la volontà del morisco di rinunciare alla propria, più profonda, identità, ad accettare un periodo di ricostruzione dolorosa durante il quale non era più quello che era prima e non era diventato ancora quel che voleva essere. Rinunciare alla propria religione voleva dire rinunciare alla propria storia: Mercedes García Arenal ha mostrato la profondità della capitolazione che è espressa nel memoriale di Núñez Muley citato sopra.
L'assimilazione esigeva comunque del tempo e delle circostanze favorevoli.

Il peso delle circostanze

E le circostanze pesarono molto, poiché lo "straniero" era sempre una pedina in una strategia di potere. I moriscos di Daimiel furono a lungo protetti dalla comunità vecchio-cristiana locale. La prima inchiesta dell'Inquisizione, nel 1538, non diede nessun risultato, nonostante decine di interrogatori: lo stesso curato del posto li giudicò buoni cristiani, a parte alcune abitudini strane comunque scusabili, come la sepoltura dei morti a grande profondità. Per ottenere infine l'informazione di cui essa aveva bisogno, l'Inquisizione doveva attendere il tradimento della cognata di Lope de Hinestrosa, uno dei leaders della comunità. Questo tradimento fu provocato dall'amante della donna, uno dei fratelli Oviedo, un nuovo-cristiano di origini giudaiche che aveva allora un contenzioso con la municipalità per farsi riconoscere come hidalgo.
Fu lui a "consegnare" la comunità morisca all'Inquisizione Il suo exploit fu ricompensato.
All'inizio degli anni settanta, davanti a un inquirente rappresentante del re, un informatore locale presentava la famiglia Oviedo come la quintessenza dell'identità vecchio-cristiana e le armi della famiglia, che aveva nel frattempo acquisito la nobiltà, erano un'illustrazione significativa del modo in cui essa aveva costruito la propria onorabilità: un ponte con quattro pilastri - rappresentanti i quattro fratelli Oviedo degli anni quaranta -, simbolo della fermezza nella fede; sul ponte un lupo, rappresentante la feccia morisca, sul quale piombava un'aquila, l'aquila della fede, naturalmente8. Detto in breve, l'Islam di Daimiel pagò il prezzo della purificazione delle origini (giudaiche) della famiglia Oviedo.
Circostanze locali, ma anche clima generale: il grado di tolleranza ai margini del sistema sociale, l'accettazione di una zona "fluida" alle frontiere delle appartenze, condiziona largamente la realizzazione delle operazioni di integrazione. Ora, nella seconda metà del sec. XVI la tendenza era quella dell'indurimento e del "chiarimento" delle frontiere, differentemente dai decenni precedenti. Questo cambiamento di clima ha probabilmente guastato molte delle assimilazioni in corso.
Dalla fine, almeno, del XV sec. due partiti si affrontarono duramente all'interno delle élites spagnole. Da lato, per semplificare, i fautori di una religione incentrata su pochi fondamenti della fede, profondamente interiorizzati dal fedele. Le "forme" esteriori, in questa prospettiva, perdevano ogni importanza così come la appartenenza, prima della "conversione interiore", a tale o talaltra comunità (cristiana o meno). Dall'altro lato, un partito inquisitoriale, per il quale il campo dell'ortodossia si estende alle pratiche esteriori, perche tali pratiche fanno parte integranti della fede; un partito per il quale l'Inquisizione è una garanzia essenziale della fedeltà religiosa, e per il quale l'origine nuovo-cristiana rende a priori sospetti di eterodossia. Se nella prima metà del XVI sec. i due partiti avevano pari influenza, e il primo riuscì abilmente a bloccare le iniziative del secondo, a partire dagli anni cinquanta il partito inquisitoriale si impose progressivamente fino a trionfare con il regno di Filippo II. Questo tournant è comune a tutta l'Europa. L'espansione della Riforma protestante ha provocato una combattiva riorganizzazione della Chiesa cattolica, certi dicono l'invenzione di una nuova "confessione", il cattolicesimo moderno, opposto ad altre nuove "confessioni", appartenenti alla famiglia protestante: un indurimento comunque delle sue posizioni ideologiche, una crescente diffidenza verso tutto ciò che non rientrava nella "norma" più stretta. Successe lo stesso nel campo protestante, e progressivamente tutti gli aspetti della vita sociale e intellettuale furono condizionati dall'appartenenza religiosa.
Questa ipervalorizzazione del fattore religioso, e l'invasione attraverso di lui di tutti gli ambiti della vita, rendeva evidentemente ancora più difficile la lenta e fragile assimilazione dei moriscos nel regno cristiano. Abbiamo tuttavia molti indizi che ci confermano che essa avanzava anche nei gruppi apparentemente meglio ancorati alla loro antica identità musulmana. Essa fu bloccata dalla "confessionalizzazione" rampante della società spagnola. In effetti alla fine del XVI sec. le circostanze erano tali che la presenza dei moriscos alle porte del regno, ma privi di un regno, era divenuta insostenibile.
Il modello qui descritto per la Spagna può certamente valere in altri contesti ed i suoi elementi principali si trovano in altre epoche ed altri luoghi. Esso fa riflettere sulla complessità della nozione di "straniero", sul gioco rispettivo dei fattori politici, sociali e religiosi, sulla sottile dialettica tra i fenomeni di fondo e le circostanze puntuali ed infine sull'instabilità degli equilibri costruiti ad ogni istante dall'insieme degli attori.

In definitiva, quello che si aspettavano i vecchio-cristiani dai moriscos era una capitolazione incondizionata, una assimilazione totale e non il mantenimento di una qualche originalità in una società "plurale"; e una capitolazione della portata della quale solo le comunità locali sarebbero state giudici. La differenza rispetto all'epoca contemporanea (XIX-XX sec.) è evidente. La situazione qui descritta è anteriore alla comparsa del concetto di nazione, che ha condotto a definire la nazionalità attraverso una legge generale applicabile meccanicamente dappertutto e a tutti ed ha trasformato la nozione separandola giuridicamente dall'accettazione da parte della comunità locale.

Bibliografia

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Voci correlate

Nota bene

Questo testo è la versione italiana, con vari e consistenti adattamenti e modifiche, di un articolo originalmente pubblicato in francese: J.-P. Dedieu, Les morisques, des étrangers sur leur propre sol, in Etre étranger au Maghreb et ailleurs, a cura di Mohamed Lazhar Gharbi, Université de Tunis, Tunis 2011.


 
Article written by Jean Pierre Dedieu | Ereticopedia.org © 2013
Italian translation & adaptation by Daniele Santarelli

et tamen e summo, quasi fulmen, deicit ictos
invidia inter dum contemptim in Tartara taetra
invidia quoniam ceu fulmine summa vaporant
plerumque et quae sunt aliis magis edita cumque

[Lucretius, "De rerum natura", lib. V]

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