Maria I Tudor, regina d'Inghilterra

Dizionario di eretici, dissidenti e inquisitori nel mondo mediterraneo
Edizioni CLORI | Firenze | ISBN 978-8894241600 | DOI 10.5281/zenodo.1309444


Maria I Tudor (Greenwich, 18 febbraio 1516 – Londra, 17 novembre 1558), passata alla storia con l’epiteto di “Sanguinaria” (Bloody Mary), detta anche la Cattolica, è stata regina d’Inghilterra e d’Irlanda dal 1553 alla morte, regina consorte di Spagna dal 1554 alla morte e fautrice di una feroce repressione nei confronti dei protestanti inglesi.

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Biografia

L’infanzia

Maria Tudor, detta “La Sanguinaria” o “La Cattolica”, fu una delle figure più controverse della storia inglese. Nata in un paese cattolico, figlia di una regina e di un re cattolici, vide mutare improvvisamente tutte le sue certezze: prima assistette allo sgretolarsi della sua famiglia, con il ripudio della madre Caterina d’Aragona da parte del padre Enrico VIII, e poi si ritrovò in un paese mutato religiosamente, sotto la nuova egida dell’anglicanesimo protestante. Diventata regina dopo varie peripezie e disconoscimenti ufficiali ed ufficiosi, Maria spese la sua vita nel tentativo di ripristinare la fede cattolica sul suolo inglese, dando vita a una grande repressione nei confronti di tutte le forme di protestantesimo in atto.
Nata nel 1516 dall’unione della cattolicissima principessa spagnola Caterina d’Aragona e del re inglese Enrico VIII Tudor, unica figlia sopravvissuta a vari aborti, Maria non ebbe un’infanzia e un’adolescenza facili: colpita da vari malanni, costretta a una rigida educazione, sottoposta ai voleri impositivi del padre, profondamente umiliata per il ripudio subito da sua madre, da cui fu poi separata, e sottoposta a continui disconoscimenti e pericoli di morte per dare spazio ad altri eredi al trono, riuscì alla fine a diventare regina del suo amato paese, l’Inghilterra.
Nei suoi primi anni di vita, Maria trascorse la maggior parte del tempo circondata dalle dame di compagnia e da Margaret Pole, contessa di Salisbury; i rapporti con i suoi genitori erano perlopiù scanditi da brevi visite programmate, scambi di doni e lettere e non da reali contatti quotidiani. Gli unici momenti in cui la principessa poteva godere della vicinanza pressoché continua del padre e della madre erano racchiusi nelle festività del Natale, quando trascorreva con loro ben dodici giorni di feste, balli e divertimento.
La sua infanzia trascorse così nell’ombra, poiché la principessa veniva vista da suo padre il re non come una possibile erede al trono - il sovrano, d’altronde, credeva di poter ancora generare l’agognato figlio maschio – ma semplicemente come un bene di pregio o come «la perla più grande del regno»1, come era definita dallo stesso Enrico VIII. Maria era un tesoro da proteggere e poi da usare al momento giusto per ottenere favori diplomatici e per questo non ricevette un’istruzione atta a reggere un giorno le sorti del suo paese, ma una semplice istruzione degna del suo rango e adatta a trasformarla al momento giusto da figlia devota a moglie ancor più devota.
Anche la sua educazione fu modellata nel tentativo di rendere Maria docile, paurosa e timorata di Dio: ella fu istruita nella grammatica greca e latina, nella lettura delle Sacre Scritture, nella lingua spagnola e francese, nelle scienze naturali e nella musica e, soprattutto, le venne continuamente inculcata l’idea che, essendo donna, ella era di conseguenza un essere inferiore all’uomo, portata per sua natura a peccare e incapace di pensare e agire da sola.
Dopo essere stata promessa a soli due anni al Delfino di Francia, Francesco di Valois, nel 1522, a sei anni, la principessa fu promessa in sposa a suo cugino, l’imperatore e re di Spagna Carlo V, più grande di lei di sedici anni: l’accordo verrà poi sciolto anni dopo, quando Carlo V deciderà di sposare sua cugina, la principessa portoghese Isabella.
A nove anni, suo padre le concesse il prestigioso titolo di “Principessa del Galles” e un castello, dove Maria vi installò una propria corte e dove per due anni poté far pratica come principessa reale e dama di alto rango.

La questione “Anna Bolena” e i rapporti con le matrigne

La vita di Maria ebbe una brusca svolta nel 1527, quando suo padre decise di divorziare da sua madre Caterina: non avendo ottenuto un erede maschio, re Enrico, infatuatosi della dama di corte Anna Bolena, aveva deciso di sciogliere il suo matrimonio, sulla base del fatto che Caterina era stata già sposata con suo fratello, il principe Arturo, morto dopo pochi mesi di matrimonio, e che quindi la sua unione con la “cognata” era da ritenersi non valida agli occhi della Chiesa. Da quel momento in poi, la posizione di Maria si fece complicata, poiché «se il matrimonio con Caterina non era valido, allora Maria era una bastarda»2, indegna anche di poter ereditare un giorno il trono.
Separata da sua madre e costretta a vederla in pochi e sporadici incontri, Maria si schierò lo stesso dalla parte di Caterina, consapevole che, se la regina fosse caduta in disgrazia e fosse stata privata del titolo regale, anche ella stessa avrebbe perso il titolo di principessa e tutti i favori regali che le erano stati concessi fino ad allora.
Purtroppo, una volta dichiarato nullo il matrimonio tra suo padre Enrico e sua madre Caterina e con l’Inghilterra ormai distaccata da Roma, Maria venne dichiarata figlia illegittima e, poco dopo, «il re fece promulgare una nuova legge, che ufficializzava come linea di discendenza la progenie di Anna Bolena»3, di fatto escludendola completamente dal trono.
Con il nuovo matrimonio del padre e la nascita della sorellastra Elisabetta, le condizioni di Maria, retrocessa dal grado di principessa a quello di semplice lady, si fecero via via sempre più critiche: la nuova regina, Anna, odiava profondamente Maria, colpevole di non voler cedere nel riconoscerla come sua legittima sovrana. Così, la figlia del re era costretta a subire angherie e cattiverie, come la confisca dei suoi beni o il suo nuovo ruolo come “cameriera” della sorellastra. Inoltre, le venne anche vietato di raggiungere sua madre in fin di vita e, successivamente, di partecipare ai suoi funerali.
Poco dopo la morte di Caterina d’Aragona, Anna Bolena cadde in disgrazia e il re ne ordinò in breve tempo il processo e l’esecuzione, sposandosi poco dopo con Jane Seymour, sua terza moglie e madre del tanto atteso erede maschio, Edoardo VI.
Jane si dimostrò molto ben disposta nei confronti delle figlie del sovrano e, grazie alla sua intercessione, Maria poté ritornare a corte, senza però poter riottenere anche il suo posto nella linea di successione, essendo ancora considerata una figlia nata al di fuori di un sacro vincolo matrimoniale.
Da questo momento in poi, i rapporti di Maria con il padre Enrico saranno scanditi dalla benevolenza o dall’indifferenza delle sue mogli: morta Jane, il re sposò Anna di Clèves, che nei pochi mesi come regina trattò con affetto Maria ed Elisabetta e che, anche dopo la sua uscita di scena, mantenne con entrambe rapporti cordiali.
Dopo il divorzio dalla quarta moglie, Enrico sposò poi Catherine Howard, indifferente alle sorti della principessa Maria, con cui inizialmente stabilì quasi una competizione per ottenere le attenzioni del sovrano, e condannata poi a seguire la sorte della sfortunata cugina Anna Bolena.
Infine, la sesta e ultima moglie del sovrano fu Catherine Parr, che ripristinò alla corte del re una parvenza di famiglia unita, accogliendo i figli delle precedenti mogli e favorendo i rapporti tra questi ultimi e il sovrano. Inoltre, grazie alla Parr, con cui Maria condivideva gli ideali intellettuali, la principessa rientrò nella linea di successione al trono, insieme ad Elisabetta, dopo il fratellastro Edoardo VI e in assenza di suoi discendenti.
Gli ultimi anni di vita di Enrico furono per Maria anni tranquilli e gioiosi, che le permisero di riavvicinarsi al genitore e di essere nuovamente trattata da principessa. Il suo unico tormento risiedeva nel fatto di essere ormai giunta ad un’età matura e non aver ancora contratto alcun matrimonio: iniziava ormai a credere che sarebbe rimasta sola a vita, senza nemmeno la gioia di avere un proprio erede.

L’ascesa al trono, il tentativo di restaurazione del cattolicesimo e il matrimonio con Filippo II

Alla morte del re Enrico VIII, il primo a salire al trono fu a soli nove anni Edoardo VI, fratellastro di Maria, a cui inizialmente concesse di praticare la sua fede cattolica, da sempre mantenuta salda nonostante il distacco inglese dalla Chiesa di Roma. Poco dopo, però, Maria raccolse intorno a sé sempre più seguaci della vera fede cattolica, tanto da essere richiamata dal re suo fratello per discutere della questione: la principessa si rifiutò di rinunciare al cattolicesimo e Edoardo iniziò a tenere a distanza la sorella, minacciandola di continuo e aspettandosi che alla fine si piegasse al suo volere. Maria, però, non cedette mai alla richiesta di abbandonare la fede cattolica, nemmeno quando fu avvertita di un possibile attacco o rapimento ai suoi danni. Dal canto suo, Edoardo si vendicò di tale affronto cambiando la linea di successione: estromise sua sorella quale sua diretta erede e scelse come nuovo successore una sua cugina, Jane Gray.
Alla morte del giovane re, salì effettivamente al trono Jane, una giovinetta impreparata al suo nuovo ruolo e completamente alla mercé di suo marito, Guilford Dudley, e del padre di lui, John Dudley. Regnò per appena nove giorni, prima che Maria rivendicasse i suoi diritti da legittima erede: dopo aver fatto richiudere Jane nella Torre di Londra, la principessa venne incoronata a Westminster nell’ottobre del 1553 con una solenne cerimonia e acclamata come sovrana d’Inghilterra da tutto il popolo.
Maria aveva al tempo trentasette anni, era ancora di aspetto piacevole e non soffriva di particolari problemi di salute: amava vestire bene, con abiti ricamati e intessuti con fili d’oro e d’argento, ed amava i gioielli, che sfoggiava in gran quantità. Ma, accanto all’amore per il lusso e l’eleganza, la sua vita era stata sempre scandita dal rigore e dall’austerità, due tratti che non l’avrebbero abbandonata nemmeno dopo la sua ascesa al trono.
Non appena venne riconosciuta come regina, si fece subito strada in lei «il solo, reale obiettivo perseguito, il totale ripristino della religione cattolica sul suolo inglese»4. Decisa ad epurare l’Inghilterra dall’anglicanesimo, generato solo per un capriccio paterno nel voler sposare un’altra donna, Maria cercò con ogni mezzo di ristabilire l’unica vera fede cattolica sul suolo inglese, originando le cosiddette “Marian Persecutions”. Per fare ciò, stabilì innanzitutto di doversi sposare, nonostante la sua non più giovane età, con un degno sovrano cattolico, in modo da poter generare un erede che avrebbe poi perseguito e continuato la sua opera, finché l’Inghilterra non fosse tornata docile sotto l’egida della religione cattolica. La sua scelta, così, «cadde sul sovrano più cattolico fra i sovrani cattolici, ai limiti del fanatismo: Filippo II di Spagna»5.
Cresciuta con un’ideale romantico del matrimonio e innamoratasi come una ragazzina del sovrano spagnolo, più giovane di lei di undici anni, la regina però si dimostrò un’accorta politicante: ben sapendo che la dote che portava al suo sposo era il suo intero regno, decise di tutelarsi con un accordo prematrimoniale, in modo da mettere subito in chiaro che lei sola sarebbe stata regina e governante dell’Inghilterra. L’accordo, infatti, «prevedeva che Filippo avrebbe condiviso con la regina lo stile di governo, l’onore e il titolo di re»6, senza però poter agire da solo, compiendo scelte autonome e personali; l’unico incarico affidatogli completamente, per la sua natura maschile, fu il comando dell’esercito e della flotta.
La scelta di sposare il figlio di suo cugino Carlo V, però, non fu ben accolta dai protestanti inglesi, che mal tolleravano un cattolico e uno straniero – per di più un Asburgo – come nuovo sovrano in Inghilterra: si organizzarono, così, tentativi di resistenza, il più grande dei quali fu la rivolta guidata da Thomas Wyatt il Giovane, che marciò verso Londra ma venne ben presto sconfitto dalle truppe reali e in seguito condannato a morte.
Eliminata la minaccia dei protestanti in rivolta, il 25 luglio 1554 nella cattedrale di Winchester fu celebrato con grande sfarzo il matrimonio tra Maria I Tudor e Filippo II di Spagna, che si erano incontrati solo pochi giorni prima: entrambi erano apparsi soddisfatti della reciproca conoscenza, anche se erano riusciti a conversare soltanto in latino, dal momento che non conoscevano le rispettive lingue madri.
Subito dopo il matrimonio, Maria iniziò a pensare alla maternità e al desiderio di dare all’Inghilterra un nuovo erede Tudor: agli inizi del 1555, la regina si ritirò ad Hampton Court per attendere la nascita del bambino che sentiva di portare in grembo. Però, passato il termine della gravidanza, prevista per aprile, Maria non partorì alcun bambino e, man mano che altri mesi passavano, divenne chiaro che c’era stato un errore e che la regina non era mai stata incinta. Per Maria fu una tragedia, unita anche alla tristezza per la partenza del marito: richiamato dal padre Carlo V, che si preparava ad abdicare, Filippo sarebbe tornato alla corte inglese soltanto dopo più di un anno.

Le persecuzioni contro i protestanti e la leggenda di “Bloody Mary”

Sempre più desiderosa di avere un erede e col marito lontano, Maria rivolse la sua frustrazione nella sua faida contro i protestanti, soprattutto dopo la rivolta portata avanti da Wyatt: in tutto il regno proliferavano i roghi su cui venivano bruciati gli eretici protestanti e tutti coloro che male interpretavano i dogmi della dottrina cristiana. Secondo la contabilità ufficiale, circa trecento persone vennero condannate al rogo durante i cinque anni di regno di Maria Tudor, ma «ancora oggi ci si chiede come abbia potuto questa donna famosa per la pietà e la grande compassione nei confronti degli umili e degli indifesi essere così implacabile e crudele. E totalmente sua la responsabilità di questa strage o altri decisero per lei?»7.
Eppure, fu proprio la sovrana a mandare avanti la repressione contro i protestanti, inconsapevole che, durante i suoi anni di isolamento per volere paterno, la nuova religione anglicana aveva preso piede e proliferato sul suolo inglese: per Maria il ripristino della religione cattolica era una questione personale, poiché ben ricordava le umiliazioni subite da lei e da sua madre per un capriccio del re suo padre. La nascita della nuova religione inglese era avvenuta solamente per permettere al padre Enrico di sposare un’altra donna, ripudiando la prima moglie e la sua stessa figlia, e questo Maria non poteva perdonarlo. Occorreva sradicare completamente l’anglicanesimo e riportare la vera fede cattolica in Inghilterra, per onorare sua madre e se stessa. Per questo motivo, papa Giulio III, che appoggiava la regina Maria nella sua lotta ai protestanti, inviò alla corte inglese il cardinale Reginald Pole, figlio della vecchia governante di Maria e imparentato con la stessa sovrana, che divenne arcivescovo di Canterbury e si attivò per restaurare il cattolicesimo secondo i voleri del papa e della sovrana inglese.
Inoltre, la stessa religione divenne un motivo di contrasto tra Maria e la sorellastra Elisabetta: «i rapporti tra le sorelle erano resi difficili non solo dalla differenza di età - Maria aveva trentasette anni, Elisabetta venti -, ma anche dalla diversità di origini, di carattere e di religione»8. Infatti, tanto la regina era fortemente cattolica quanto Elisabetta protestante e, nonostante all’inizio del suo regno Maria avesse insistito affinché la sorellastra fosse presente a tutte le cerimonie cattoliche, in cuor suo sapeva che una conversione al cattolicesimo da parte di Elisabetta era alquanto impossibile.
Più volte i consiglieri della regina provarono a fomentarla contro Elisabetta, insistendo sul problema religioso e su alcuni tentativi fatti dalla sorellastra per congiurare contro la regina, ma, malgrado l’odio mai sopito per la madre di Elisabetta, Anna Bolena, «Maria nutrì sempre per Elisabetta un affetto quasi materno»9, che le permise di perdonare ogni suo possibile coinvolgimento nei vari tentativi di tradimento e che le fece tollerare il suo diverso credo religioso, mai ostentato peraltro apertamente dalla sorellastra.
Se nei confronti della sorellastra Maria si dimostrava benevola e tollerante, sebbene l’avesse fatta rinchiudere per breve tempo nella Torre di Londra, nei confronti dei protestanti eretici e rivoltosi, invece, si comportava diversamente, esibendo orgogliosamente lo stendardo del cattolicesimo: «per lei la fede cattolica era diventata molto di più che l'amata religione dell'infanzia, il credo dell'imperatore e della reggente delle Fiandre, la Chiesa che aveva sostenuto la madre e per cui erano morte tante delle persone che le erano state care. Il cattolicesimo stava diventando la causa cui dedicare l'intera esistenza, un impegno così assoluto e irrevocabile come quello assunto tanto tempo prima per la difesa della madre»10. La regina era sempre stata una fervente cattolica, ma una volta sul trono aveva compreso che l’unico modo per poter imporre nuovamente la dottrina cattolica sull’Inghilterra sarebbe stato identificarsi totalmente con essa, eliminando tutti coloro che vi si sarebbero opposti. Da qui, il motivo delle persecuzioni, delle torture e dei roghi: del resto, Maria era figlia di Caterina d’Aragona e nipote di Isabella di Castiglia, colei che aveva generato la Santa Inquisizione al tempo dei Mori in Spagna.
Proprio per la sua incrollabile difesa nei confronti del cattolicesimo e per il suo totale accanimento contro i protestanti, «la storia l’avrebbe ricordata con un epiteto tutt’altro che lusinghiero: “Bloody Mary”, “Maria la Sanguinaria”»11, facendo nascere la leggenda nera che avrebbe accompagnato Maria Tudor per sempre.

Gli ultimi anni di regno e la morte

Il 16 gennaio 1556, Carlo V cedette a suo figlio Filippo II la sua corona e i suoi possedimenti, facendone di fatto il re di Spagna e dandogli in eredità anche il conflitto contro la Francia. Maria avrebbe voluto immediatamente dare il suo appoggio alle imprese belliche della Spagna, ma il suo volere trovò alcuni ostacoli, come l’impegno dell’esercito inglese nella lotta contro i protestanti e le problematiche finanziarie in cui versava l’Inghilterra. Nonostante tali problemi, però, Filippo, tornato brevemente in Inghilterra, riuscì a convincere la regina ad appoggiare la sua causa: Maria inviò quindi, nel giugno del 1557, una dichiarazione di guerra alla Francia. Dopo quasi un mese, la flotta spagnola, che Filippo attendeva, fu avvistata al largo della Manica e il re spagnolo si preparò a partire: Maria accompagnò personalmente il marito nel tragitto tra Londra e la costa, da dove sarebbe salpato per raggiungere Calais, passando con lui gli ultimi giorni felici. Infatti, non lo avrebbe rivisto mai più.
La Francia, intanto, rispose alla dichiarazione di guerra di Maria con l’attacco e la conquista dell’ultimo possedimento inglese sul continente, la città di Calais, nel gennaio del 1558. La perdita di Calais, benché fosse solo un piccolo possedimento, fu drammatica per l’Inghilterra, dal momento che esso rimaneva l’ultimo baluardo di presenza inglese sul continente.
La regina, intanto, era tormentata dall’assenza del marito, ormai lontano da mesi, e afflitta dai suoi vecchi problemi di salute, cui univa il timore di essere ormai sterile e incapace di generare un figlio. Per quanto si fosse sforzata a ristabilire la fede cattolica nel regno e ad accrescere la potenza politica dell’Inghilterra, tutto sarebbe stato vano se alla sua morte non avesse avuto un erede cui affidare il frutto delle sue fatiche.
Nonostante le sue preoccupazioni, nell’autunno del 1557, Maria credette nuovamente di essere in attesa di un bambino, che sarebbe dovuto nascere nel marzo dell’anno successivo: «il suo ventre era visibilmente gonfio e Maria si illuse di essere incinta. Il solo frutto che tuttavia la regina portava in grembo era un tumore»12. Preoccupata da questa nuova gravidanza, avendo ormai superato i quarant’anni d’età, la regina decise di fare preventivamente testamento, dove menzionò: il futuro erede che aspettava, cui lasciava il regno; suo marito Filippo, cui donava alcuni preziosi ricordi; e sua madre Caterina d’Aragona, per la cui memoria chiese l’istituzione di varie messe.
Fu ben presto chiaro, però, che la regina non era affatto incinta, ma malata: i mesi passavano e del nascituro non vi era alcuna traccia, mentre la regina soffriva sempre più di febbri frequenti e di depressione.
Negli ultimi mesi di vita di Maria, i membri del partito cattolico, consapevoli che alla sua morte il trono sarebbe passato alla sorellastra Elisabetta, infine accettata totalmente dalla regina come sua consanguinea ed erede, cercarono di convincerla a firmare l’atto con cui condannava a morte la stessa sorella, ma la sovrana si rifiutò e, anzi, pregò Elisabetta di mantenere saldo il cattolicesimo in Inghilterra una volta che fosse salita al trono.
All’alba del 17 novembre del 1558, dopo aver fatto celebrare la messa, Maria I Tudor morì e il suo corpo fu esposto nel palazzo di St. James per oltre tre settimane, prima di essere tumulato nella cappella dell'Abbazia di Westminster, che avrebbe un giorno accolto anche le spoglie della sorellastra Elisabetta.
Terminava così la vita di una donna – principessa prima, figlia illegittima poi, regina alla fine - che aveva speso tutta la sua esistenza al servizio di quella che lei riteneva l’unica vera fede, il cattolicesimo, guadagnando la fama di persecutrice dei protestanti e lasciando il regno nelle mani di Elisabetta, figlia della donna da lei più odiata, che sarebbe diventata la più grande regina della storia inglese e restauratrice del protestantesimo in Inghilterra.

Bibliografia

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  • Susanna Berti Franceschi, Di regine, di sante e di streghe. Storie di donne del Medioevo, Umberto Soletti Editore, Cuneo, 2017.

Nota bene

Questa voce fa parte della sezione "Dominae fortunae suae". La forza trasformatrice dell’ingegno femminile, che approfondisce il contributo offerto dalle donne alla nascita e allo sviluppo dei diversi campi del sapere.

Article written by Martina Tufano | Ereticopedia.org © 2020

et tamen e summo, quasi fulmen, deicit ictos
invidia inter dum contemptim in Tartara taetra
invidia quoniam ceu fulmine summa vaporant
plerumque et quae sunt aliis magis edita cumque

[Lucretius, "De rerum natura", lib. V]

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