Magno, Celio

Dizionario di eretici, dissidenti e inquisitori nel mondo mediterraneo
Edizioni CLORI | Firenze | ISBN 978-8894241600 | DOI 10.5281/zenodo.1309444


Celio Magno (Napoli?, 12 maggio 1536 - Venezia, 6 aprile 1602) è stato un letterato e segretario veneziano.

Figlio di Marcantonio Magno, il traduttore italiano dell'Alphabeto cristiano di Juan de Valdés, nacque probabilmente a Napoli nel 1536. Esercitò la professione di avvocato fiscale, quindi entrò nella Cancelleria ducale (l'organo-principe dell’amministrazione centrale veneziana), frequentò il circolo dei letterati bembiani-petrarchisti riuniti attorno a Domenico Venier e fece parte dell'Accademia Veneziana fondata da Federico Badoer.
Si divise tra la sua attività di funzionario (numerose furono le sue missioni all'estero) e l'attività letteraria, pubblicando numerosi componimenti in prestigiose raccolte miscellanee del tempo. La sua opera più nota fu La bella et dotta canzone sopra la vittoria dell'armata della santissima lega, nuouamente seguita contra la turchesca, seguita da un Trionfo di Christo per la vittoria contra' Turchi, entrambe opere celebrative della battaglia di Lepanto (1571).

Negli ultimi anni di vita giunse quasi ai vertici dell'amministrazione veneziana. Già nel 1575 era stato nominato segretario del Senato, nel 1595 mancò di poco l'elezione a cancelliere (la massima carica dell'amministrazione veneziana, riservata ai "cittadini originari"), ma venne comunque eletto all'incarico prestigioso di segretario del Consiglio dei Dieci, che ricoprì fino alla morte avvenuta nell 1602.

Bibliografia di base

  • Martina Del Cengio, L’ombra inquieta nelle Rime di Celio Magno, in «Filologia e critica», XLIII (2018/1), pp. 34-56.
  • Carlo Dionisotti, La guerra d'Oriente nella letteratura veneziana del Cinquecento in Id., Geografia e storia della letteratura italiana, Einaudi, Torino 1967, pp. 201-226.
  • Daniele Ghirlanda, Magno, Celio, in DBI, vol. 67 (2007) (e bibliografia ivi).

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et tamen e summo, quasi fulmen, deicit ictos
invidia inter dum contemptim in Tartara taetra
invidia quoniam ceu fulmine summa vaporant
plerumque et quae sunt aliis magis edita cumque

[Lucretius, "De rerum natura", lib. V]

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