Borgia, Lucrezia

Dizionario di eretici, dissidenti e inquisitori nel mondo mediterraneo
Edizioni CLORI | Firenze | ISBN 978-8894241600 | DOI 10.5281/zenodo.1309444


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Lucrezia Borgia (Subiaco, 18 aprile 1480 – Ferrara, 24 giugno 1519) è stata una donna politica, figlia di papa Alessandro VI, duchessa di Ferrara.

Biografia

Lucrezia Borgia nacque a Subiaco nel 1480, figlia naturale del cardinale valenzano Rodrigo Borgia e di Vannozza Cattanei, nobildonna romana di origine lombarda. Dalla stessa unione erano nati i due fratelli maggiori di Lucrezia, Cesare e Giovanni, ai quali si aggiunse Goffredo nel 1481. Il cardinale Borgia, nei primi anni di vita dei figli, tentò di tenere il più possibile nascosta la sua paternità. La prima infanzia della giovane Borgia, pertanto, si svolse presso la più ritirata casa materna, a Roma, in piazza Pizzo di Merlo, mentre dalla metà degli anni ’80 del XV secolo fu affidata alle cure di una cugina del Borgia, Adriana de Mila, vedova di Ludovico Orsini.
Il rapporto che si creò tra Lucrezia e Adriana fu improntato alla genuina tenerezza e a una reale amicizia, con quest’ultima che prese molto seriamente l’educazione da impartire alla bambina. Non abbiamo molte notizie sui maestri che seguirono Lucrezia, ma possiamo ipotizzare che fossero di alto livello, plausibilmente provenienti dalla cerchia dell’umanista Pomponio Leto. In particolare, si può ipotizzare che tra i precettori che si presero cura dell’istruzione di Lucrezia vi fosse il letterato mantovano Carlo Canale, ultimo marito di sua madre. La piccola apprese oltre al castigliano, lingua d’origine della famiglia, e all’italiano, il latino, il greco, il canto, il ballo, la musica, insieme a un’educazione religiosa presso le monache di San Sisto sull’Appia, alle quali fu molto legata.
Si trovano in questa fase della vita di Lucrezia le radici di alcuni aspetti centrali nella sua personalità. Da un lato l’educazione principesca e mondana, confacente a un personaggio del suo rango, e l’amore per le cose del mondo, dall’altro una spiritualità profonda, vivace, a tratti tormentata, che segnò particolarmente gli anni della maturità.
Molto presto, tuttavia, Lucrezia dovette sperimentare i meccanismi della ragion di stato, che facevano di lei un prezioso strumento negoziale in mano alla diplomazia familista dei Borgia. Tra il 1491 e il 1492, la giovane venne promessa in sposa prima a Cherubino Juan de Centelles, signore di Val d’Ayora, del regno di Valencia dove i Borgia avevano origine, e successivamente, senza nemmeno disdire il primo contratto, all’ancora adolescente Gaspare d’Aversa, conte di Procida, anch’esso di origine valenzana. Se la prima unione aveva probabilmente come scopo rinsaldare i legami con la nobiltà della terra d’origine, il progetto del secondo matrimonio fu orientato dalla nuova sintonia politica raggiunta tra il pontefice, Innocenzo VIII, con il re di Napoli Ferdinando I d’Aragona. Tuttavia, a far sfumare anche quest’ultimo progetto matrimoniale fu l’elezione di Rodrigo Borgia al soglio papale, nell’agosto del 1492, con il nome di Alessandro VI. Lucrezia diventava ora una carta molto preziosa da giocarsi su scenari geopolitici più importanti di quello valenzano.
Nell’immediato, il nuovo pontefice si curò di gratificare il cardinale Ascanio Sforza, fondamentale nella sua elezione, fidanzando Lucrezia con Giovanni Sforza, conte di Cotignola e signore di Pesaro, pertanto feudatario della Chiesa. Questa unione avrebbe sancito, inoltre, l’alleanza con una delle più importanti signorie italiane dell’epoca, garantendo un importante appoggio militare e politico al pontificato del Borgia. Il matrimonio venne celebrato a Roma nel giugno 1493, ma venne consumato solo nell’autunno di quell’anno, dopo il versamento completo della dote. Gli equilibri politici, tuttavia, mutavano rapidamente. Nel 1494 Ludovico il Moro concedeva il suo appoggio alle mire del re di Francia, Carlo VIII, sul regno di Napoli di cui il papa era signore feudale. Ad aggravare la situazione, si aggiungevano la nuova alleanza tra Alessandro VI e il re di Napoli, Alfonso II, raggiunta grazie al matrimonio tra Goffredo Borgia e Sancia d’Aragona, e il doppiogioco svolto dal marito di Lucrezia, che segretamente informava il Moro sui rapporti tra Roma e gli aragonesi. Nel corso dell’invasione francese, tuttavia, Lucrezia e Giovanni accolsero Alessandro VI a Perugia, allontanatosi per prudenza da Roma. Nonostante tra il 1495 e il 1497 i rapporti tra il marito e il padre di Lucrezia sembrassero tornati nel complesso armoniosi, lo Sforza fuggì da Roma nel marzo del ’97 dopo aver saputo di un complotto ordito per ucciderlo. All’ordine del papa di rientrare in città, Giovanni oppose un netto rifiuto, chiedendo che Lucrezia fosse inviata presso di lui. La reazione del pontefice fu di inviare presso lo Sforza il generale degli agostiniani, fra’ Mariano da Genazzano, incaricato di proporre al signore di Pesaro la sua pace in cambio dell’annullamento del matrimonio con la figlia, lasciandolo libero di decidere per quale causa, ovvero la non consumazione dell’unione o l’esistenza di un precedente accordo di matrimonio non annullato.
Alla luce dei fatti, è plausibile, stando alle cronache coeve, che fosse stata Lucrezia a svelare al marito del complotto ai suoi danni. In tal caso si può ritenere che la storia della congiura fosse un pretesto creato ad arte per indurre lo Sforza a fuggire e trattare con lui da una posizione di forza. Il marito di Lucrezia, dietro consiglio del Moro e del cardinale Ascanio, accettò l’annullamento scegliendo come causa la non avvenuta consumazione del matrimonio per sua incapacità, negando però in seguito la veridicità di tale affermazione e diffondendo per vendetta insinuazioni su presunti rapporti carnali tra Lucrezia e sua padre. È da queste affermazioni che nacque una delle più radicate (nonché false) credenze su Lucrezia Borgia, quella dell’incesto. Le voci, prontamente raccolte dai contemporanei (tra cui Guicciardini, nemico dei Borgia) si cristallizzarono e furono così trasmesse ai posteri.
L’annullamento del matrimonio, condotto dal cardinale Ascanio Sforza, fu completato nel dicembre del 1497. Lucrezia, nel frattempo, si era rifugiata nel convento di San Sisto, a lei caro fin dall’infanzia. In quel frangente, tra il 1497 e il 1498, le morti di alcuni individui vicini alla coppia da poco separata contribuirono ad alimentare il clima di sospetto nei confronti della casata dei Borgia. Tra questi si annoverano il ritrovamento nel Tevere del fratello di Giovanni Sforza e Pedro Calderón, servitore di Alessandro VI e della stessa Lucrezia.
Nel 1498, comunque, furono intavolate le trattative per rimaritare Lucrezia con il principe di Salerno, Alfonso d’Aragona. Il contratto fu firmato il 20 giugno 1498, e il matrimonio celebrato in Vaticano il 21 luglio dello stesso anno. La dote di Lucrezia prevedeva 40.000 ducati mentre il marito fu nominato per l’occasione duca di Bisceglie. Nonostante questa unione lasciasse inizialmente presagire per Lucrezia un futuro sereno, data la genuinità dei sentimenti che la giovane provava per il consorte, l’inesorabile macchina della politica non smetteva di muoversi. A causa dell’alleanza stretta tra il fratello di Lucrezia, Cesare, con Luigi XII, re di Francia, grazie al matrimonio tra il figlio di Alessandro VI e Carlotta d’Albret (portante in dote il ducato di Valentinois, da cui il soprannome: il Valentino), nel 1499 Alfonso d’Aragona lasciò Roma. A Lucrezia fu affidato il governo delle città di Spoleto e Foligno, nelle quali ella si recò al sesto mese di gravidanza. Nel settembre del 1499 la coppia si riunì a Roma e nel mese di novembre Lucrezia diede alla luce il figlio, che prese il nome di Rodrigo. Lucrezia e Alfonso, tuttavia, rappresentavano agli occhi di Cesare Borgia il principale ostacolo alla creazione di un proprio stato all’interno degli stati pontifici, avendo la sorella ricevuto in feudo anche la città di Nepi. Sotto la protezione del marito, il potere di Lucrezia rappresentava un potenziale argine alle mire di conquista del Valentino nell’Italia centrale. Fu per questo motivo che, dopo un primo agguato fallito per poco, Alfonso d’Aragona fu assassinato, pare, da un capitano del Borgia, Michelotto Corella, il 18 agosto 1500 mentre ancora convalescente riposava nelle sale vaticane.
Lucrezia cercò allora riparo nel suo feudo di Nepi, tornando a Roma solo in dicembre, quando, tra le varie nuove ipotesi di matrimonio, accondiscese al progetto del padre di essere proposta al duca di Ferrara, Alfonso d’Este. Questa nuova alleanza, nell’ottica del papa, avrebbe dovuto consolidare il confinante dominio romagnolo di Cesare Borgia, da poco costituito, facendo da cuscinetto rispetto alle pretensioni veneziane in quell’area. L’accordo, però, non arrivò facilmente. L’Estense, infatti, facendo leva sui pettegolezzi relativi alla moralità di Lucrezia, pose condizioni gravose. In cambio del matrimonio si esigeva una dote di 100.000 ducati, la cessione dei castelli di Cento e della Pieve, oggetti preziosi per 75.000 ducati, la riduzione del canone annuo da versare a Roma per il feudo di Ferrara da 4.000 a 100 ducati e l’investitura diretta in linea di primogenitura dello stesso feudo per i primogeniti maschi, in quanto Ferrara era feudo pontificio e il papa signore eminente di quel territorio. Le condizioni furono accettate e l’atto di matrimonio redatto e firmato tra l’agosto e il settembre del 1501.
Lucrezia, dopo una breve parentesi in cui tenne il governo di Roma mentre il padre era impegnato in una campagna militare contro i nobili ribelli del Lazio, partì per Ferrara nel gennaio del 1502. Lasciò i propri feudi laziali al figlio e al fratellastro, e si recò con il proprio seguito, di cui facevano parte il cardinale Ippolito, Sigismondo e Ferrante d’Este suoi cognati, verso la nuova dimora, dove giunse il 2 febbraio del 1502.
Dopo la stagione dei fasti romani, la più piccola corte di Ferrara rappresentò probabilmente per Lucrezia una dimensione più consona alle proprie inclinazioni culturali e spirituali. Nella capitale estense, ella ebbe modo di intrecciare rapporti con letterati quali Tito Vespasiano Strozzi, Pietro Bembo e Ludovico Ariosto. Il tenore di vita tenuto da Lucrezia in questi anni, senza raggiungere l’importanza di quello della futura nuora, Renata di Valois, principessa di sangue reale, era comunque consono al suo rango, grazie al ricco appannaggio lasciatole dal padre. Giunta a Ferrara con al seguito 700 persone, la familia di corte di Lucrezia era composta da 60 individui, come rivelano i libri di amministrazione del 1506. In questi, troviamo «un camerlengo, un cavaliere d’onore spagnolo, il medico personale della gentildonna, segretari e cancellieri, cantori e suonatori, pittori, un cappellano e due maestri dei paggi. Vi erano
poi gli addetti alla dispensa, alla mensa, alla cucina, alla camera della duchessa, alle scuderie, due portinari e 4 facchini» (Zarri, 2007, p. 74).
Un altro aspetto centrale della vita di Lucrezia in questi anni è rappresentato dalla sua spiritualità, nella quale giungono a maturazione i semi posti in gioventù presso il monastero di San Sisto. Il confessore di Lucrezia, frà Tommaso Caiani, domenicano e seguace del Savonarola, nelle sue lettere ci fornisce un ritratto vivido della coscienza di Lucrezia. Caiani, per esempio, ci informa sui dissidi esistenziali che la agitavano relativi alla possibilità di andare all’inferno a causa della sua ricchezza. Il problema di coscienza in merito alla ricchezza terrena fu una costante della vita di Lucrezia, da cui una spiritualità orientata verso gli ordini mendicanti. Lucrezia, infatti, diventò terziaria francescana mentre a Ferrara fondò il monastero delle clarisse di San Bernardino. Alla corte ferrarese, inoltre, fu istruita dal confessore alla pratica dell’orazione mentale, secondo i canoni di una religiosità più intima e personale, coerentemente con gli insegnamenti della Devotio moderna che irradiava allora dai Paesi Bassi. Non stupisce, quindi, che Lucrezia in questi anni passasse regolarmente buona parte delle sue giornate meditando la bibbia, letta o ascoltata, coinvolgendo le proprie dame nei suoi esercizi di preghiera. Alcune di queste dame presero i voti sacri ed entrarono in monastero. Insieme ad esse, anche alcune damigelle di Isabella d’Este, cognata di Lucrezia e moglie di Francesco II Gonzaga, optarono per la vita religiosa, come emerge da una lettera tra le due principesse del 1513.
Lucrezia, a Ferrara, diede anche prova di una compiuta maturità politica e istituzionale. Nell’agosto del 1503 era morto suo padre, Alessandro VI, e al soglio papale veniva eletto, dopo il breve pontificato di Pio III, l’acerrimo nemico dei Borgia, papa Giulio II della Rovere. Il nuovo ordine politico portò, dopo una breve resistenza, alla riconquista pontificia della signoria romagnola di Cesare Borgia, nonostante gli aiuti militari inviati dalla sorella. Nel 1505, dopo la morte del duca Ercole I d’Este e l’incoronazione del marito Alfonso, Lucrezia divenne ufficialmente duchessa di Ferrara. In questi anni ella svolse con diligenza le mansioni che il marito le affidava sia in tempo di pace, sia durante le assenze per le campagne militari. Fu deputata dal marito alla gestione delle istanze dei cittadini presso il principe, che svolse, come riferisce un relatore contemporaneo, con “ingegno e bona gratia”. In particolare, un ruolo centrale di Lucrezia nel governo dello stato estense emerge nell’ambito degli eventi bellici del 1510, che videro le truppe imperiali, pontificie e veneziane contrapposte agli eserciti francesi e atestini. La recente decrittazione di una lettera di quell’anno inviata da Lucrezia al marito in occasione della caduta in mani nemiche della fortezza della Stellata, nella bassa ferrarese, ha messo in mostra quanto tra tardo Medioevo e Rinascimento, nei momenti di crisi bellica o politica l’apporto mulìebre alla gestione dell’emergenza si rivelasse spesso fondamentale. All’interno della lettera Lucrezia appare come un ingranaggio fondamentale nella macchina del governo estense, sia per quanto riguarda la politica interna, sia quella estera, esponendo i propri pareri e consigli al coniuge per far fronte alla momentanea crisi.
Il ducato ferrarese, infatti, dopo il 1510 rimase in mano estense. Tra le numerose prove che ebbe a sopportare, nella vita di Lucrezia non mancarono anche momenti di serenità. Nel 1508, dopo tre gravidanze concluse senza successo, aveva dato alla luce l’erede al trono Ercole, seguito nel 1509 da Ippolito, futuro cardinale. A questi figli seguirono nel 1514 Alessandro, morto due anni dopo, nel 1515 Eleonora, nel 1516 Francesco, e nel 1519 Isabella Maria. In occasione di quest’ultima gravidanza Lucrezia fu colta da un’infezione che la portò in breve tempo alla morte, il 14 giugno 1519. Fu sepolta a Ferrara nel monastero del Corpus Domini, vestita da terziaria francescana.

La leggenda nera: tra bilancio storiografico e approcci di ricerca

Come ha evidenziato Gabriella Zarri, nonostante la recente riscoperta della figura di Lucrezia Borgia da parte della storiografia, e in particolare dagli studi sul genere femminile, questa «non è ancora esente da polemiche e sospetti» (Zarri, 2007, p. 63). Ancora oggi, infatti, fare una storia critica di Lucrezia Borgia, significa rileggerne la biografia sfrondata dalle credenze che continuano tenacemente ad adornarne lo stereotipo dominante nella cultura popolare. Come visto, l’immagine di Lucrezia libertina e spietata fu creata dagli stessi contemporanei per motivi politici, come nel caso di Francesco Guicciardini. Quando si voleva screditare una famiglia o una fazione politica, che spesso coincidevano, si diffamava la virtù delle sue donne. Nel caso dei Borgia, l’unica donna era Lucrezia, e tutto il peso dell’odio contro il suo casato ricadde su di lei. Questo aspetto suggerisce riflessioni su possibili risvolti del ruolo femminile nella società e nella storiografia. Se per Cesare, fratello di Lucrezia, molto più attivo sul piano politico e militare nell’alimentare la potenza del casato, era possibile provare ammirazione, tanto da essere stato tra gli ispiratori del Principe di Machiavelli, sulla ‘donna’ poteva ricadere tutta l’infamia.
A ragioni di ordine politico e fazionario, nel tratteggiare un’immagine estrema di Lucrezia Borgia si aggiunsero nel XVIII-XIX secolo questioni di altra natura. Da un lato, alcuni esponenti della temperie illuminista e positivista in chiave anti-romana (in accezione sia religiosa sia culturale) trovarono in Lucrezia un simbolo dell’oscurantismo cattolico d’Ancien Régime. Voltaire, ad esempio, nell’Essai sur les moeurs del 1756, presenta Lucrezia come una donna incestuosa. Poco più di un secolo dopo, nel 1874, il tedesco Ferdinand Gregorovius scrive una biografia su Lucrezia che, nonostante la pretesa oggettività d’analisi, risente in modo evidente del clima di accesa ostilità culturale del mondo tedesco e mitteleuropeo di fine ‘800 contro la cultura latina e in particolare contro la chiesa cattolica romana (Kulturkampf). La “saga” dei Borgia, e ancor di più la figura di Lucrezia, si prestavano perfettamente ad assurgere a simbolo della corruzione romana, ancor meglio se confortati dal rigoroso metodo critico di uno storico di vaglia.
Sull’altro lato, benché non scevre da motivazioni politiche e ideologiche, le suggestioni gotiche e romantiche della letteratura che tra i secoli XVIII e il XIX attinsero a piene mani dal mondo latino/mediterraneo, o almeno da come questo veniva dipinto dall’immaginario nord-europeo. Il caso più celebre è forse quello di Victor Hugo che, nella sua tragedia Lucrezia Borgia, del 1833, dipinse la duchessa di Ferrara come l’idealtipo della malvagità femminile.
L’aspetto più interessante che emerge, a tratti apparentemente paradossale, è che in questa tradizione dell’immagine di Lucrezia si sia creato nel tempo una sorta di asse trasversale tra esponenti del mondo della cultura di area sia conservatrice, sia progressista, uniti nell’individuare nella ‘donna’ Lucrezia Borgia, il segno del male contro cui scagliarsi, retaggio di un tempo degenerato e riflesso di un presente da trasformare. In un certo senso, le stesse tensioni egalitariste e progressiste del ‘700 e dell’800 hanno fatto della ‘donna’ Lucrezia una vittima sacrificale.
Da ciò sono nati tentativi orientati in senso diametralmente opposto di “scagionare” Lucrezia tramite riletture quasi agiografiche della sua biografia. Queste, tuttavia, non hanno contribuito ad una giusta rilettura del suo profilo, come nel caso del domenicano Marie Joseph Ollivier e del suo Alexandre VI et les Borgia, pubblicato nel 1870, rifiutato dagli stessi ambienti cattolici a cui si rivolgeva.
La questione relativa alla condotta più o meno libertina di Lucrezia Borgia, soprattutto nei suoi anni romani, trovo che sia mal posta. Ha poca importanza se ella abbia preso o no parte a feste di carattere orgiastico negli anni della giovinezza, o che abbia avuto una relazione con il marchese di Mantova Francesco II Gonzaga negli anni ferraresi, se non si inseriscono questi fatti nel suo percorso di vita, contestualizzandoli in un percorso di maturazione intellettuale, spirituale e politica. Le categorie di vittima, carnefice o mero strumento politico, pertanto, ritengo siano fuorvianti.
Dal punto di vista politico, l’essere inserita negli ingranaggi di governo e del processo decisionale prima da parte del padre, Alessandro VI, e poi dal marito, Alfonso d’Este, è testimonianza di un’indubbia attitudine al comando e al governo. Sebbene la pratica di farsi sostituire nelle questioni politiche dalle donne di famiglia, in caso di necessità, non fosse una pratica rara nel Medioevo e nel Rinascimento europeo, certamente questa opzione non veniva messa in atto in caso di inettitudine da parte di queste.
Dal punto di vista religioso Lucrezia partecipò in modo appassionato al clima di tensione e fermento della sua epoca, sospeso tra ansie escatologiche, intimità spirituale e desiderio di riforma. Forse è proprio questo uno degli aspetti più trascurati. Non va dimenticato che il suo confessore, il domenicano Tommaso Caiani, fu discepolo di Girolamo Savonarola, impiccato e poi bruciato a Firenze nel 1498. La fine del Savonarola, è utile ricordare, fu spesso usata da Roma come monito contro Lutero dopo l’affissione delle 95 tesi nel 1517. Lucrezia, quindi, simbolo involontario della corruzione romana non fu lontana dalle pulsioni riformatrici che qualche anno dopo avrebbero sconvolto l’Europa e spaccato la cristianità.

Bibliografia

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  • Mario Dal Bello, La leggenda nera, Milano, Città Nuova, 2012.
  • Mario Foresi, Lucrezia Borgia e la sua relazione col Bembo, in «L’Italia moderna» III (1905), pp. 3-15.
  • Giuseppe Fusari, Il libro di devozione di Lucrezia Borgia, in Aspirazioni e devozioni. Brescia nel Cinquecento tra preghiera ed eresia, a cura di E. Ferraglio, Milano, Electa, 2006, pp. 86-96.
  • Ferdinand Gregorovius, Lucrezia Borgia, Milano, Edizioni Athena, 1932.
  • Alessandra Necci, Isabella e Lucrezia, le due cognate. Donne di potere e di corte nell’Italia del Rinascimento, Venezia, Marsilio, 2017.
  • Daniele Palma, Giuseppe Palma, Maria Veronica Palma, La lettera svelata di Lucrezia Borgia: analisi del sistema criptografico nel documento conservato in ASMo, in «Quaderni Estensi» V (2013).
  • Giovanni Pesiri, Sermoneta: 1499-1503, in Roma di fronte all’Europa al tempo di Alessandro VI, a cura di M. Chiabò, S. Maddalo, M. Miglio, A. M. Oliva, Roma, Roma nel Rinascimento, 2001, pp. 657-691.
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  • Gabriella Zarri, Il Rinascimento di Lucrezia Borgia, in «Scienza & Politica», 37 (2007), pp. 63–75.
  • Gabriella Zarri, La religione di Lucrezia Borgia, Roma, Roma nel Rinascimento, 2006.

Nota bene

Questa voce fa parte della sezione "Dominae fortunae suae". La forza trasformatrice dell’ingegno femminile, che approfondisce il contributo offerto dalle donne alla nascita e allo sviluppo dei diversi campi del sapere.

Article written by David Salomoni | Ereticopedia.org © 2017

et tamen e summo, quasi fulmen, deicit ictos
invidia inter dum contemptim in Tartara taetra
invidia quoniam ceu fulmine summa vaporant
plerumque et quae sunt aliis magis edita cumque

[Lucretius, "De rerum natura", lib. V]

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