Lucia da Giai

Dizionario di eretici, dissidenti e inquisitori nel mondo mediterraneo
Edizioni CLORI | Firenze | ISBN 978-8894241600 | DOI 10.5281/zenodo.1309444


Lucia da Giai è stata una donna processata per stregoneria dal Santo Ufficio di Aquileia e Concordia nel 1614.

Nata nel 1536 a Tiezzo, al tempo nel contado dell'attuale Prata di Pordenone, sposò un certo Antonio, di professione pescatore e pescivendolo, trasferendosi prima a Cinto Caomaggiore e poi a Giai, nei pressi di Portogruaro.
Poche le informazioni sui primi vent'anni di vita, se non la certezza che rimase nei pressi di Tiezzo con la famiglia. Iniziò giovane come domestica in casa di alcuni nobili veneziani, tra i quali Marcantonio Bragadin, proprio nel periodo della guerra di Cipro. A darne conferma sarà la stessa Lucia, che dichiarerà all'inquisitore di aver appreso l’arte di “guarire le infermità”, con tanto di “autorità di segnare” a Venezia, da un medico cittadino, proprio nel periodo in cui Marcantonio “fu scorticato in Cipro”.
La prima volta che al Santo Ufficio giunsero informazioni sulla donna fu nel 1605, a seguito di un'anonima denuncia, che non ebbe alcun seguito. L'accusa era di aver curato una bambina di nome Orsola a Sesto al Reghena, con unguenti di olio e varie erbe. Lucia era stata chiamata dalla madre, preoccupata per la salute della figlioletta e conscia delle capacità 'antistregonesche' di Lucia.
Inquisitore per Aquileia e Concordia, all'epoca, era il frate Girolamo Asteo, che lasciò cadere nel totale disinteresse la missiva.
Nel 1611 il nome di Lucia pervenne nuovamente nelle sale dell'inquisizione – allora condotta dal minore Ignazio Pino – attraverso il parroco di Gruaro Tommaso Cocolo, il quale si recò al convento di S. Francesco di Portogruaro a inizio gennaio di quell'anno.
Dopo il Cocolo, furono sentiti Filippo Martini da Giai e i parroci Giovanni Ralli e Paolo Trevisan, rispettivamente curati di Cinto e Pramaggiore. Dalle deposizione emerse la curiosa figura di tale monsignor Leonardo, affetto da malattia e solito rivolgersi a Lucia per ottenerne le cure.
Questo primo procedimento non ebbe alcun esito, forse perché il giudice era più interessato ad ascoltare i parroci e capire quanto questi avessero appreso i dettami tridentini, piuttosto che seguire le tracce di Lucia, approfondendone pratiche e azioni. Non a caso l'inquisitore cercò di far luce sulla figura del monsignore, il quale, riferendosi ad una guaritrice, trasgrediva quelle che erano le disposizioni dettate dal grande Concilio ai chierici. Tuttavia, essendo lo stesso Leonardo deceduto un paio d'anni prima, non sussisteva alcun motivo per proseguire le indagini e quindi si poteva chiudere il caso. Anche alla luce dell'aver constato la corretta formazione dei due parroci Ralli e Trevisan, curati di campagna che, contrariamente a Leonardo, avevano recepito e ben assimilato le soluzione tridentine.
Tre anni dopo si aprì il caso, con la denuncia di Franceschina da Frattuzza, la quale si era in realtà recata al tribunale per riferire della strega Marietta Trevisan di Villotta, facendo anche il nome di Lucia in qualità di “castiga streghe”, alla quale si era rivolta affinché sciogliesse il maleficio impartitogli dalla Trevisan.
Il nuovo inquisitore, Domenico Vico, non diede alcuna importanza alla figura di Marietta, al contrario di Lucia, della quale volle prendere visione di tutto l'incartamento conservato negli archivi del tribunale locale.
Prese così avvio il vero e proprio processo contro la moglie del pescatore, che nell'ottobre del 1614 fu interrogata dal giudice di fede, dopo che lo stesso aveva ascoltato le deposizioni di alcuni testimoni segnalati.
In un interrogatorio intenso, sviluppatosi in due fasi a seguito di un'interruzione dettata da stanchezza e nervosismo, vennero confermati i capi di accusa e le pratiche magiche, che prevedevano la cura dei 'pazienti' con unguenti, crocifissi, corone del rosario, immagini cultuali e orazioni a S. Liberale e S. Anastasia.
In data 11 ottobre il giudice sentenziò contro la donna, imponendole l'astensione dal “segnare”, sotto pena di scomunica e “pubblici fustigationis”.
Inoltre ordinò che le domeniche seguenti, partecipasse alla messa genuflessa, tenendo tra le mani un cero acceso e ben visibile. Prima nella chiesa di Gruaro, poi a Giai e a Cinto. Il giorno della festa dei Santi Simone e Giuda (28 ottobre) doveva invece recarsi nella chiesa dell’abazia di Sesto ed infine nel duomo di S. Andrea a Portogruaro.

Bibliografia

Article written by Mauro Fasan | Ereticopedia.org © 2023

et tamen e summo, quasi fulmen, deicit ictos
invidia inter dum contemptim in Tartara taetra
invidia quoniam ceu fulmine summa vaporant
plerumque et quae sunt aliis magis edita cumque

[Lucretius, "De rerum natura", lib. V]

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