Missini, Giulio

Dizionario di eretici, dissidenti e inquisitori nel mondo mediterraneo
Edizioni CLORI | Firenze | ISBN 978-8894241600 | DOI 10.5281/zenodo.1309444


Giulio Missini (Orvieto, 21 agosto 1608 - Firenze, 11 novembre 1654) è stato un inquisitore francescano.

Cenni biografici

Fra Giulio Missini, minore conventuale della provincia di Roma, nacque da una famiglia nobile, il padre si chiamava Vincenzo e la madre Maximilla Doralicie Edentuli (o Edentulo).
Intorno al 1635 terminò gli studi supplementari al collegio San Bonaventura di Roma. Fu poi baccelliere negli studi francescani di Firenze e di Napoli, reggente degli studi di Siena e di Genova e «lector publicus» nella sua città natale in anni non meglio precisati. Venne nominato inquisitore per le diocesi di Aquileia e Concordia il 24 agosto 1645, giurò a Roma il 30 agosto e il suo servizio iniziò ufficialmente il 1° settembre, ma da un suo scritto si apprende che giunse a Udine appena il 24 novembre 1645. La prima data in cui il suo nome compare nei verbali inquisitoriali è il 14 gennaio 1646, giorno in cui nominò cancelliere fra Paolo Loderici da Genova, minore conventuale, che lo avrebbe seguito durante tutta la sua attività. La presenza di fra Giulio a Udine è attestata nei verbali per l’ultima volta il 26 maggio 1653. Il 30 ottobre 1653 venne nominato inquisitore di Pisa, incarico che occupò fino alla sua morte avvenuta a Firenze, probabilmente nel convento di Santa Croce, l’11 novembre 1654.

I giudici di fede

L’attività giudiziaria non fu prerogativa del solo inquisitore, infatti nella conduzione dei processi formali fra Giulio condivise la loro gestione, come previsto dalle norme canoniche, con il patriarca di Aquileia Marco Gradenigo e il vescovo di Concordia Benedetto Cappello, mentre godette di ampia autonomia sia nella raccolta delle denunce sia nella stesura delle procedure sommarie (spontanee comparizioni). Dovette anche rispettare la disposizione emanata dalla Serenissima Repubblica il 26 settembre 1551 riguardo la presenza dei rappresentanti veneziani durante i processi con l’obbligo di sentire il parere dei due assistenti laici dottori in legge. Missini si avvalse di vicari dell’Inquisizione, commissari e vicari foranei per controllare il territorio soggetto alla sua giurisdizione, anche se il loro operato si limitò alla trasmissione alla sede udinese delle denunce e delle spontanee comparizione ricevute.

L’attività dell’inquisitore

Fra Giulio Missini in otto anni fece verbalizzare in 303 fascicoli i procedimenti contro 414 persone. I delitti perseguiti riguardarono 146 casi di magia e stregoneria, di cui 7 benandanti, 114 di lettura di libri proibiti, 21 di proposizioni eretiche, 17 di disciplina del clero non rispettata, 37 procedure sommarie relative a conversioni di eretici, 33 casi di irriverenza e irreligiosità, compreso uno di santità presunta, 22 vicende legate al consumo di cibi proibiti, 16 casi di reati contro il Sant’Ufficio, 7 di bigamia e uno di convivenza di una cristiana con ebrei. Nei 250 anni circa di storia dell’Inquisizione in Friuli la sua attività giudiziaria fu seconda solo a quella svolta da fra Girolamo Asteo da Pordenone tra il 1598 e il 1608.
Le carte processuali segnalano anche la sua attività omiletica, Missini si recò a predicare in periodo quaresimale in tre località: nel 1646 a Pieve di Cadore, nel 1649 a Palmanova e nel 1652 a Gemona.

Delitti contro la fede

Il reato che percentualmente risulta più perseguito fu quello di magia e stregoneria. Tenuto conto della distinzione di fondo tra le “semplici” operazioni magiche e la stregoneria diabolica, il discrimine per fra Giulio non era rappresentato dalla sola presenza del diavolo. Gli interventi sanzionatori dell’ufficio inquisitoriale seguirono anche un’altra logica: la gravità del reato e la conseguente pena erano determinati dall’intenzione individuale e dallo scandalo pubblico. Le sentenze comminate a chi aveva dato scandalo risultarono sempre dure e talvolta pubbliche: lo stare davanti alla chiesa, mentre si celebrava la messa solenne, a capo scoperto e con una candela in mano. Anche nel caso dei tre imputati morti in carcere durante il suo servizio: il benandante Michele Soppe, la “strega di Pordenone” Angioletta Dalle Rive e il libraio e commerciante Giovanni Pietro Franceschini, fu ancora lo scandalo prodotto a determinare la loro carcerazione. Per l’inquisitore i benandanti invece non rappresentarono una categoria particolare di trasgressori e furono trattati a seconda di come furono denunciati: curatori o stregoni malefici.
Il numero elevato di cause, ben 114, riguardanti la lettura e/o il possesso di libri proibiti, furono la conseguenza di due fattori scatenanti: il processo e la morte in carcere di Franceschini e il rogo pubblico voluto dall’inquisitore stesso nel dicembre del 1648.
Fra Giulio Missini venne autorizzato dai cardinali romani a torturare tre imputati: Giovanni Pietro Franceschini, Michele Soppe e Gregorio Amalteo, ma i primi due non furono sottoposti al tormento in quanto morirono in carcere; Amalteo venne invece torturato con il fuoco, ma non confessò.
I reati commessi dagli ecclesiastici furono di due tipi: sollicitatio ad turpia e usurpazione di funzioni sacerdotali. Nel primo caso questo delitto contro la fede, almeno in Friuli, venne trattato localmente dai giudici di fede, che evitarono pubblicità dannose all’immagine del clero e congedarono con indulgenza gli sponte comparenti, lasciando cadere le denunce presentate. Fu invece il secondo reato, l’usurpazione di funzioni sacerdotali, a interessare di più sia fra Giulio sia la Congregazione da lui informata.
I restanti delitti contro la fede furono per lo più commessi da fedeli “normali”: popolani, artigiani, contadini e soldati. I mercenari al soldo di Venezia appartenenti ad altre religioni o confessioni religiose furono i protagonisti delle conversioni al cattolicesimo; mentre i militari cattolici di stanza nella fortezza di Palmanova incorsero spesso nel reato di consumo di cibi proibiti, ma tutti vennero trattati con indulgenza.
Gli atti di irriverenza, per lo più mascherate nel periodo carnevalesco e l’abuso di sacramenti, furono trattati dai giudici di fede con diverso rigore, considerando il secondo reato molto più pericoloso in quanto poteva lasciare intendere un vero e proprio errore nel credere.
I processi per reati contro il Sant’Ufficio consentono di riflettere almeno su due aspetti che emergono dalla repressione di questo delitto contro la fede: la conferma che l’Inquisizione si presentava agli occhi dei fedeli come una stabile e incombente presenza all’interno della società, ne è dimostrazione evidente la procedura sommaria contro un medico che si presentò per non aver denunciato la moglie, e la considerazione, espressa dagli stessi confratelli dell’inquisitore, che il Sant’Ufficio veniva percepito come un organismo esterno ed estraneo.
L’unico processo aperto dall’inquisitore per santità affettata è quello contro Marta Fiascaris che ci dà conto della considerazione in cui veniva tenuta una donna “diversa” alla metà del Seicento.
Dell’attività pisana di Missini rimangono soltanto venti carte. Il primo fascicolo pisano in cui compaiono fra Giulio e il suo cancelliere fra Paolo Loderici è una procedura sommaria del 31 gennaio 1654 per un caso di bigamia, l’ultimo riferimento risale all’11 marzo 1654.
Dalla conduzione della sua attività giudiziaria si ricava che fra Giulio Missini fu un inquisitore attivo ed efficiente, che assolse il suo compito con un regolare ed elevato controllo sui fedeli.

Bibliografia

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Article written by Dario Visintin | Ereticopedia.org © 2014

et tamen e summo, quasi fulmen, deicit ictos
invidia inter dum contemptim in Tartara taetra
invidia quoniam ceu fulmine summa vaporant
plerumque et quae sunt aliis magis edita cumque

[Lucretius, "De rerum natura", lib. V]

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